Umanità Nova, n.2 del 18 gennaio 2009, anno 89

Grecia: la rivolta


La rivolta dei "senza volto" che per tre e più settimane ha infiammato le piazze della Grecia, scatenata dall'uccisione a sangue freddo da parte di un poliziotto di Aleksis, un giovane adolescente, ha tenuto accesi i riflettori dei media e trascinato in lunghe notti insonni gli analisti politici, che non sono riusciti a comprendere la natura di questa insurrezione postmoderna.
La rivolta è nata in un quartiere del centro città, Exarchia, che ospita da decenni decine di realtà anarchiche e alternative ed è adiacente al Politecnico, che nel ricordo di tutti i greci antifascisti è il luogo simbolo della rivolta del 1973 dei giovani contro la dittatura dei colonnelli. Ben presto la rivolta si è allargata ad altri quartieri di Atene e città come Salonicco, Patrasso, Ioannina, Larisa, Heraklio (Creta), Volos, fino a toccare i centri anche più periferici della provincia.
Alcuni anziani testimoni hanno paragonato la rivolta, per dimensione e intensità, a quella contro i nazionalisti e le autorità inglesi, che nel dicembre 1944 dette l'avvio alla guerra civile. Ad oggi si calcola che circa 400 edifici (banche, centri commerciali, negozi di lusso, caserme di polizia, uffici statali ecc.) sono stati danneggiati o devastati dall'onda insurrezionale, senza contare le auto e gli automezzi delle forze dell'ordine incendiati e/o danneggiati. Centinaia sono stati i feriti – molti tra le forze di polizia impegnate a difendere i palazzi del potere politico ed economico – e altrettanti i fermi e gli arresti (sono oltre 70 i compagni anarchici attualmente detenuti, anche con accuse gravi, nelle carceri greche).
Tutti sono rimasti sorpresi dall'ampiezza e dalla forza dirompente di questa rivolta, gli stessi protagonisti delle prime battaglie di strada non si aspettavano che la lotta durasse così a lungo e con una partecipazione così ampia che ha coinvolto i giovanissimi studenti delle scuole superiori, gli universitari, i precari, gli immigrati di seconda generazione e in molti casi anche comuni cittadini stufi delle prepotenze della polizia e di un governo autoritario.
Gli "incappucciati" (kukulofori) sono stati accusati, da parte di alcuni osservatori, di aver strumentalizzato la morte del giovane Aleksis per far precipitare il paese nel caos. Prendendo spunto dalla notizia dell'arresto di alcune decine di immigrati alcuni organi di informazione hanno imbastito una campagna nazionalista, assurda e falsa, tesa a sostenere che chi devastava i centri commerciali e saccheggiava le merci erano solo gli stranieri mentre i greci, da bravi cittadini, manifestavano pacificamente il loro dissenso dal governo. Lo stesso Partito comunista (KKE) è arrivato ad affermare che i saccheggiatori e i rivoltosi in genere sono stati sobillati da "oscure forze straniere" e ha invitato il "movimento popolare" a tenersi a distanza da questi moderni provocatori.

Il volto del potere
Vassilis Corconeas, il poliziotto che ha ucciso Aleksis, non è un "depravato violento", un "imbecille" come qualche commentatore ha scritto, anche su quotidiani italiani. Da oltre vent'anni la Grecia è sotto osservazione da parte di Amnesty International per gli abusi della polizia e dei suoi corpi speciali, centinaia sono state le denunce per maltrattamenti e decine i casi di "assassini legali". Anche in relazione agli incidenti delle scorse settimane Amnesty International è tornata ad accusare la polizia di "usare la forza in maniera sproporzionata e illegale". La polizia greca che può avvalersi di un apparato repressivo di prim'ordine e di leggi, come quella sulla carcerazione preventiva, che permette di trattenere un sospetto anche per 18 mesi in cella senza contestargli nulla di specifico, è intrinsecamente allevata in un brodo culturale neofascista, ipernazionalista e xenofobo. Inoltre, l'attuale governo, sulla scia dei suoi predecessori, ha varato, dal 2004 in poi, una politica di sicurezza basata sulla caccia all'extraparlamentare e all'anarchico, accusati di minacciare la stabilità del paese, per distogliere l'opinione pubblica dai problemi più gravi e importanti della società. Questa politica, impregnata di odio verso le organizzazioni e i movimenti della sinistra, ha prodotto, come nel caso del quartiere Exarchia, la militarizzazione del territorio e un continuo stato di tensione che spesso è sfociato in incidenti e scontri tra le forze dell'ordine e i giovani dei centri sociali e dei gruppi anarchici.
Il vero responsabile della crisi greca ha un nome preciso, si chiama Kostas Karamanlis che governa il paese dal marzo 2004. Karamanlis, leader del partito conservatore Nuova Democrazia è il prototipo del politico greco: autoritario, senza scrupoli, nazionalista e tradizionalista, fortemente legato alle lobby economiche speculative. Karamanlis, discendente di un clan familiare che da oltre quattro decenni divide il destino del paese con l'altro clan della politica greca, quello socialista dei Papandreou, ha varato un programma neoliberista convinto di poter cavalcare con successo il processo di modernizzazione economica, con un tasso di crescita in questi ultimi anni intorno al 4% che posiziona la Grecia nei primi posti dei nuovi paesi emergenti del vecchio continente. Modernizzazione economica non ha significato però un miglioramento del sistema sanitario e sociale, di quello della sicurezza sul lavoro, né tanto meno di quello educativo e universitario. Inoltre, la situazione di circa un milione di immigrati (il 10% della popolazione complessiva), in gran parte clandestini, spesso definiti "ekonomikos menastes" (emigranti economici), è assai peggiorata: sono braccia destinate al lavoro nero nell'agricoltura e nell'edilizia, oltre il 50% sono di origine albanese gli altri sono provenienti in gran parte dall'area del Mediterraneo orientale e dai paesi asiatici, diverse migliaia di giovanissimi afghani. Il governo Karamanlis insediatosi con l'ambizioso progetto di riformare profondamente il sistema politico economico del paese è riuscito solo ad aumentare le disparità sociali, ad arricchire i ricchi e ad impoverire i poveri. Ha iniziato a privatizzare alcune aziende pubbliche, ha proposto la riforma previdenziale – alzando l'età pensionabile – e quella universitaria. Minato da scandali finanziari e speculativi, caduto alla fine dell'estate del 2007 a causa della sua incapacità di organizzare i soccorsi alle popolazioni e alle regioni devastate dall'incendio che causò la morte di 66 persone e la distruzione di 270mila ettari di territorio, è riuscito "miracolosamente" a rivincere le elezioni con una stretta maggioranza di due seggi. Le ultime elezioni del settembre 2007 hanno però registrato l'aumento dell'astensionismo, arrivato al 29%, e l'affermazione di una nuova forza politica di estrema destra, il Laos di George Karatzaferis che ha conquistato 10 seggi con una campagna basata sulla xenofobia, un esasperato nazionalismo e un tradizionalismo di stampo ortodosso. Inoltre, le ultime elezioni hanno visto anche la crescita della coalizione di estrema sinistra Syriza con 14 seggi e il raddoppio circa dei consensi per il KKE (partito comunista stalinista) che è passato da 12 a 22 seggi. Oggi Karamanlis sta proponendo un rimpasto di governo per cercare di salvare un "trono" traballante (i sondaggi parlano di un calo drastico della popolarità del primo ministro) e nascondere la propria incapacità nel trovare soluzioni alla crisi economica e sociale. L'opposizione guidata dal PASOK, al cui interno si confrontano due tendenze, una propriamente socialista, l'altra democratica (simile a quella del PD italiano), spera di poter arrivare entro l'anno a nuove elezioni, ma senza avere un progetto ben definito, anzi per certi versi, come è accaduto in Italia, il programma economico e sociale dell'opposizione alla fine non è poi tanto diverso da quello dell'attuale governo.

Le prospettive
La rivolta greca è uno dei segnali della reazione di una parte della società al male profondo che mina le attuali democrazie europee che alcuni opinionisti definiscono "democrazie oligarchiche". Un sistema politico sempre più chiuso in se stesso, diffidente e arrogante nei confronti di una società civile che sopporta sulle proprie spalle il peso economico di una burocrazia politica che disprezza la libertà ed è avida di potere e denaro. La separazione tra lo Stato, chi lo governa e la società è un dato di fatto che sta segnando profondamente tutta l'Europa, una netta divisione alimentata da una crisi economica e di sistema di cui si stanno vedendo i primi effetti. Sembra, in particolare, che sarà l'area del Mediterraneo quella più esposta alla crisi economica e sociale, un'area caratterizzata da una forte disoccupazione giovanile (in Grecia il 23% dei giovani, soprattutto diplomati e neolaureati, non riesce a trovare una qualsiasi occupazione), da un consistente e costante flusso migratorio proveniente dal Nord Africa e dall'Asia, da sperequazioni sociali altissime e in società dove lo smantellamento dei Welfare State ha raggiunto livelli molto alti.
Sono soprattutto le giovani generazioni le protagoniste della rivolta greca: studenti, precari e lavoratori immigrati, che subiscono di più la crisi e sono quelle maggiormente condizionate da un futuro incerto e senza prospettive.
Una nuova generazione che non si sente rappresentata dai partiti politici e dai sindacati che sfugge alle classiche regole della politica, che pratica l'azione e la democrazia diretta, senza mediazioni e con determinazione. In questi ultimi anni dai movimenti contro la globalizzazione fino ad arrivare ai movimenti studenteschi, come in Italia in autunno, non sono state forse le giovani generazioni le protagoniste delle rivolte contro il potere neoliberista? Qualche giorno fa «il manifesto» parlava di questa nuova generazione come la Next Left che sarebbe il frutto di un mix politico sociale che si ispira all'autogestione, all'antirazzismo, all'antimilitarismo, all'anarcosindacalismo, all'anarcofemminismo, all'animalismo ed un ecologismo radicale ecc., nettamente contrapposta alla vecchia New Left e al sistema politico dei partiti istituzionali. Sarebbe però un grave errore considerare questa insorgenza, come un fenomeno "giovanilistico" di "subculture sovversive", limitata e che si esprime solo esclusivamente attraverso forme clamorose di proteste violente. Sarebbe un altro errore considerare la rivolta greca come una rivolta esclusivamente anarchica. Gli anarchici hanno avuto un ruolo importante, sono stati protagonisti di molte battaglie e occupazioni, ma la rivolta di dicembre è andata ben al di là delle dimensioni del movimento stesso. Possiamo parlare sicuramente dell'affermazione di una prassi antiautoritaria che per la prima volta ha varcato i confini della geografia di un movimento come quello greco che è sicuramente tra i più diffusi, vario e vivace dell'Europa. L'esperienza greca dimostra che oltre alla protesta di piazza e agli scontri c'è altro, nel senso che esiste un milieu culturale, un agire collettivo, esperienze significative di relazioni umane e sociali che incidono profondamente su un modello di società tradizionale e conformista, come quella greca, proponendo un "altro mondo". Ne sono testimonianza le lotte intraprese nelle seconda fase del mese di dicembre quando, oltre alle manifestazioni di piazza, si è assistito all'occupazione dei comuni, come nei casi della municipalità di Aghios Dimitrios, Halandri nel circondario di Atene o a Sikees e Ano Poli, a Salonicco e in alcuni casi anche delle sedi della centrale sindacale GSEE. In queste realtà il movimento ha costruito momenti di "democrazia diretta" coinvolgendo oltre studenti, lavoratori e cittadini, soprattutto i non "garantiti" e che fino a questo momento per vari motivi erano rimasti ai margini delle proteste, con la costruzione di esperienze autogestite di lotta che prefigurano la possibilità di una presa diretta della gestione della "cosa pubblica" che ha tanto il sapore di una nuova "utopia postmoderna".

Franco B.

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