La rivolta dei "senza volto" che per tre e più settimane ha
infiammato le piazze della Grecia, scatenata dall'uccisione a sangue
freddo da parte di un poliziotto di Aleksis, un giovane adolescente, ha
tenuto accesi i riflettori dei media e trascinato in lunghe notti
insonni gli analisti politici, che non sono riusciti a comprendere la
natura di questa insurrezione postmoderna.
La rivolta è nata in un quartiere del centro città,
Exarchia, che ospita da decenni decine di realtà anarchiche e
alternative ed è adiacente al Politecnico, che nel ricordo di
tutti i greci antifascisti è il luogo simbolo della rivolta del
1973 dei giovani contro la dittatura dei colonnelli. Ben presto la
rivolta si è allargata ad altri quartieri di Atene e
città come Salonicco, Patrasso, Ioannina, Larisa, Heraklio
(Creta), Volos, fino a toccare i centri anche più periferici
della provincia.
Alcuni anziani testimoni hanno paragonato la rivolta, per dimensione e
intensità, a quella contro i nazionalisti e le autorità
inglesi, che nel dicembre 1944 dette l'avvio alla guerra civile. Ad
oggi si calcola che circa 400 edifici (banche, centri commerciali,
negozi di lusso, caserme di polizia, uffici statali ecc.) sono stati
danneggiati o devastati dall'onda insurrezionale, senza contare le auto
e gli automezzi delle forze dell'ordine incendiati e/o danneggiati.
Centinaia sono stati i feriti – molti tra le forze di polizia impegnate
a difendere i palazzi del potere politico ed economico – e altrettanti
i fermi e gli arresti (sono oltre 70 i compagni anarchici attualmente
detenuti, anche con accuse gravi, nelle carceri greche).
Tutti sono rimasti sorpresi dall'ampiezza e dalla forza dirompente di
questa rivolta, gli stessi protagonisti delle prime battaglie di strada
non si aspettavano che la lotta durasse così a lungo e con una
partecipazione così ampia che ha coinvolto i giovanissimi
studenti delle scuole superiori, gli universitari, i precari, gli
immigrati di seconda generazione e in molti casi anche comuni cittadini
stufi delle prepotenze della polizia e di un governo autoritario.
Gli "incappucciati" (kukulofori) sono stati accusati, da parte di
alcuni osservatori, di aver strumentalizzato la morte del giovane
Aleksis per far precipitare il paese nel caos. Prendendo spunto dalla
notizia dell'arresto di alcune decine di immigrati alcuni organi di
informazione hanno imbastito una campagna nazionalista, assurda e
falsa, tesa a sostenere che chi devastava i centri commerciali e
saccheggiava le merci erano solo gli stranieri mentre i greci, da bravi
cittadini, manifestavano pacificamente il loro dissenso dal governo. Lo
stesso Partito comunista (KKE) è arrivato ad affermare che i
saccheggiatori e i rivoltosi in genere sono stati sobillati da "oscure
forze straniere" e ha invitato il "movimento popolare" a tenersi a
distanza da questi moderni provocatori.
Il volto del potere
Vassilis Corconeas, il poliziotto che ha ucciso Aleksis, non è
un "depravato violento", un "imbecille" come qualche commentatore ha
scritto, anche su quotidiani italiani. Da oltre vent'anni la Grecia
è sotto osservazione da parte di Amnesty International per gli
abusi della polizia e dei suoi corpi speciali, centinaia sono state le
denunce per maltrattamenti e decine i casi di "assassini legali". Anche
in relazione agli incidenti delle scorse settimane Amnesty
International è tornata ad accusare la polizia di "usare la
forza in maniera sproporzionata e illegale". La polizia greca che
può avvalersi di un apparato repressivo di prim'ordine e di
leggi, come quella sulla carcerazione preventiva, che permette di
trattenere un sospetto anche per 18 mesi in cella senza contestargli
nulla di specifico, è intrinsecamente allevata in un brodo
culturale neofascista, ipernazionalista e xenofobo. Inoltre, l'attuale
governo, sulla scia dei suoi predecessori, ha varato, dal 2004 in poi,
una politica di sicurezza basata sulla caccia all'extraparlamentare e
all'anarchico, accusati di minacciare la stabilità del paese,
per distogliere l'opinione pubblica dai problemi più gravi e
importanti della società. Questa politica, impregnata di odio
verso le organizzazioni e i movimenti della sinistra, ha prodotto, come
nel caso del quartiere Exarchia, la militarizzazione del territorio e
un continuo stato di tensione che spesso è sfociato in incidenti
e scontri tra le forze dell'ordine e i giovani dei centri sociali e dei
gruppi anarchici.
Il vero responsabile della crisi greca ha un nome preciso, si chiama
Kostas Karamanlis che governa il paese dal marzo 2004. Karamanlis,
leader del partito conservatore Nuova Democrazia è il prototipo
del politico greco: autoritario, senza scrupoli, nazionalista e
tradizionalista, fortemente legato alle lobby economiche speculative.
Karamanlis, discendente di un clan familiare che da oltre quattro
decenni divide il destino del paese con l'altro clan della politica
greca, quello socialista dei Papandreou, ha varato un programma
neoliberista convinto di poter cavalcare con successo il processo di
modernizzazione economica, con un tasso di crescita in questi ultimi
anni intorno al 4% che posiziona la Grecia nei primi posti dei nuovi
paesi emergenti del vecchio continente. Modernizzazione economica non
ha significato però un miglioramento del sistema sanitario e
sociale, di quello della sicurezza sul lavoro, né tanto meno di
quello educativo e universitario. Inoltre, la situazione di circa un
milione di immigrati (il 10% della popolazione complessiva), in gran
parte clandestini, spesso definiti "ekonomikos menastes" (emigranti
economici), è assai peggiorata: sono braccia destinate al lavoro
nero nell'agricoltura e nell'edilizia, oltre il 50% sono di origine
albanese gli altri sono provenienti in gran parte dall'area del
Mediterraneo orientale e dai paesi asiatici, diverse migliaia di
giovanissimi afghani. Il governo Karamanlis insediatosi con l'ambizioso
progetto di riformare profondamente il sistema politico economico del
paese è riuscito solo ad aumentare le disparità sociali,
ad arricchire i ricchi e ad impoverire i poveri. Ha iniziato a
privatizzare alcune aziende pubbliche, ha proposto la riforma
previdenziale – alzando l'età pensionabile – e quella
universitaria. Minato da scandali finanziari e speculativi, caduto alla
fine dell'estate del 2007 a causa della sua incapacità di
organizzare i soccorsi alle popolazioni e alle regioni devastate
dall'incendio che causò la morte di 66 persone e la distruzione
di 270mila ettari di territorio, è riuscito "miracolosamente" a
rivincere le elezioni con una stretta maggioranza di due seggi. Le
ultime elezioni del settembre 2007 hanno però registrato
l'aumento dell'astensionismo, arrivato al 29%, e l'affermazione di una
nuova forza politica di estrema destra, il Laos di George Karatzaferis
che ha conquistato 10 seggi con una campagna basata sulla xenofobia, un
esasperato nazionalismo e un tradizionalismo di stampo ortodosso.
Inoltre, le ultime elezioni hanno visto anche la crescita della
coalizione di estrema sinistra Syriza con 14 seggi e il raddoppio circa
dei consensi per il KKE (partito comunista stalinista) che è
passato da 12 a 22 seggi. Oggi Karamanlis sta proponendo un rimpasto di
governo per cercare di salvare un "trono" traballante (i sondaggi
parlano di un calo drastico della popolarità del primo ministro)
e nascondere la propria incapacità nel trovare soluzioni alla
crisi economica e sociale. L'opposizione guidata dal PASOK, al cui
interno si confrontano due tendenze, una propriamente socialista,
l'altra democratica (simile a quella del PD italiano), spera di poter
arrivare entro l'anno a nuove elezioni, ma senza avere un progetto ben
definito, anzi per certi versi, come è accaduto in Italia, il
programma economico e sociale dell'opposizione alla fine non è
poi tanto diverso da quello dell'attuale governo.
Le prospettive
La rivolta greca è uno dei segnali della reazione di una parte
della società al male profondo che mina le attuali democrazie
europee che alcuni opinionisti definiscono "democrazie oligarchiche".
Un sistema politico sempre più chiuso in se stesso, diffidente e
arrogante nei confronti di una società civile che sopporta sulle
proprie spalle il peso economico di una burocrazia politica che
disprezza la libertà ed è avida di potere e denaro. La
separazione tra lo Stato, chi lo governa e la società è
un dato di fatto che sta segnando profondamente tutta l'Europa, una
netta divisione alimentata da una crisi economica e di sistema di cui
si stanno vedendo i primi effetti. Sembra, in particolare, che
sarà l'area del Mediterraneo quella più esposta alla
crisi economica e sociale, un'area caratterizzata da una forte
disoccupazione giovanile (in Grecia il 23% dei giovani, soprattutto
diplomati e neolaureati, non riesce a trovare una qualsiasi
occupazione), da un consistente e costante flusso migratorio
proveniente dal Nord Africa e dall'Asia, da sperequazioni sociali
altissime e in società dove lo smantellamento dei Welfare State
ha raggiunto livelli molto alti.
Sono soprattutto le giovani generazioni le protagoniste della rivolta
greca: studenti, precari e lavoratori immigrati, che subiscono di
più la crisi e sono quelle maggiormente condizionate da un
futuro incerto e senza prospettive.
Una nuova generazione che non si sente rappresentata dai partiti
politici e dai sindacati che sfugge alle classiche regole della
politica, che pratica l'azione e la democrazia diretta, senza
mediazioni e con determinazione. In questi ultimi anni dai movimenti
contro la globalizzazione fino ad arrivare ai movimenti studenteschi,
come in Italia in autunno, non sono state forse le giovani generazioni
le protagoniste delle rivolte contro il potere neoliberista? Qualche
giorno fa «il manifesto» parlava di questa nuova
generazione come la Next Left che sarebbe il frutto di un mix politico
sociale che si ispira all'autogestione, all'antirazzismo,
all'antimilitarismo, all'anarcosindacalismo, all'anarcofemminismo,
all'animalismo ed un ecologismo radicale ecc., nettamente contrapposta
alla vecchia New Left e al sistema politico dei partiti istituzionali.
Sarebbe però un grave errore considerare questa insorgenza, come
un fenomeno "giovanilistico" di "subculture sovversive", limitata e che
si esprime solo esclusivamente attraverso forme clamorose di proteste
violente. Sarebbe un altro errore considerare la rivolta greca come una
rivolta esclusivamente anarchica. Gli anarchici hanno avuto un ruolo
importante, sono stati protagonisti di molte battaglie e occupazioni,
ma la rivolta di dicembre è andata ben al di là delle
dimensioni del movimento stesso. Possiamo parlare sicuramente
dell'affermazione di una prassi antiautoritaria che per la prima volta
ha varcato i confini della geografia di un movimento come quello greco
che è sicuramente tra i più diffusi, vario e vivace
dell'Europa. L'esperienza greca dimostra che oltre alla protesta di
piazza e agli scontri c'è altro, nel senso che esiste un milieu
culturale, un agire collettivo, esperienze significative di relazioni
umane e sociali che incidono profondamente su un modello di
società tradizionale e conformista, come quella greca,
proponendo un "altro mondo". Ne sono testimonianza le lotte intraprese
nelle seconda fase del mese di dicembre quando, oltre alle
manifestazioni di piazza, si è assistito all'occupazione dei
comuni, come nei casi della municipalità di Aghios Dimitrios,
Halandri nel circondario di Atene o a Sikees e Ano Poli, a Salonicco e
in alcuni casi anche delle sedi della centrale sindacale GSEE. In
queste realtà il movimento ha costruito momenti di "democrazia
diretta" coinvolgendo oltre studenti, lavoratori e cittadini,
soprattutto i non "garantiti" e che fino a questo momento per vari
motivi erano rimasti ai margini delle proteste, con la costruzione di
esperienze autogestite di lotta che prefigurano la possibilità
di una presa diretta della gestione della "cosa pubblica" che ha tanto
il sapore di una nuova "utopia postmoderna".
Franco B.