Mentre scrivo questo pezzo le notizie sulla guerra a Gaza riportano
oltre 800 morti e già migliaia di feriti; non è inutile
ribadire che si tratta, nella grandissima maggioranza, di civili e fra
questi di centinaia di bambini.
Una, delle molte foto che imperversano in rete, mi ha colpito. Non
è, come le altre, la più truculenta, non è quella
più ad effetto come direbbero in gergo giornalistico. La foto
ritrae un bambino appoggiato con la schiena ad un muro, lo ritrae di
fianco con le mani dietro e lo sguardo rivolto verso l'obiettivo.
Il volto tutto è intriso di paura, lo sguardo trasmette terrore,
faccio fatica a guardarlo, mi sono bastati pochi attimi per capire
l'immensità di questa ennesima strage.
Ed è forse il simbolo di un ragionamento che spesso vedo
vacillare, di una lucidità che ci è concessa come un
lusso e a cui molti decidono di rinunciare lasciando spazio alle
più trite retoriche ideologiche o alle presunte partigianerie da
ultima guerra dove in una sorta di battaglia a colpi di comunicati e
volantini ci si arrogherebbe una qualche patente di combattenti in
seconda a fianco di resistenti palestinesi.
Non è una novità tuttavia noi dobbiamo fare buon uso di
quello che è il nostro patrimonio di antimilitaristi, di
anarchici; non possiamo sprecare l'opportunità che ci è
concessa oggi di andare alla radice del problema, alla causa di questa
guerra che insiste in medioriente da oltre mezzo secolo intervallando
periodi di bassa ed altri di alta intensità.
E la causa di questo conflitto è la creazione di uno stato, lo stato di Israele.
La creazione di uno stato e gli sponsor
Noi sappiamo che dietro alla creazione di uno stato c'è sempre
una guerra, che la storia non lascia dubbi a proposito: ci debbono
essere vinti e vincitori, padroni e sudditi, che siano subordinati ad
un potere di elite politiche/industriale come nelle cosiddette
democrazie mature o ad un regime parafascista non cambia la sostanza.
Se alla radice c'è uno stato non è certo attraverso la
creazione di un altro la possibile soluzione; a riprova di ciò
basta constatare che è proprio sulla base di questo "programma"
che da oltre sessant'anni non c'è pace in Palestina.
In questo conflitto i veri attori sono gli sponsor, tutti trincerati
dietro agli organi internazionali, dagli Stati Uniti in primis che
vantano un rapporto diretto con gli interessi Israeliani e l'Europa che
gioca di sponda e tenta goffamente da decenni di accontentare le
proposte filoarabe puntualmente osteggiate o peggio inapplicate dalla
minoranza mondiale più potente del globo.
La "road map" disattesa da quasi tutti i principali protagonisti,
Israele, ANP e le varie correnti avanguardiste in armi in Palestina,
continua ad essere usata come strumento politico al quale unirsi
"moralmente" affinché in Palestina "si confrontino le parole e
non le armi": l'equivalente della carta straccia, come lo sono tutti i
trattati e gli accordi internazionali, dalla messa al bando del
nucleare e il disarmo unilaterale, dall'ONU che rimane neutrale nei
confronti di conflitti fra staterelli infimi e si accoda subito alla
NATO quando i potenti che contano fissano le regole del gioco, come in
Kosovo, Iraq e Afganistan.
Come antimilitaristi anarchici non abbiamo mai abboccato all'accorata
propaganda politica del potere che si adopera nella censura degli
interessi reali che costituiscono i motivi di un conflitto. Dalle armi
di distruzione di massa al fantomatico Bin Laden; passando per
l'allarme profughi come in Kossovo, quando in altri stati (Sudamerica)
nello stesso periodo le dimensioni erano triple: e questo
disinteressava non solo la NATO, ma la stessa ONU, che anche quando
esprimeva disappunto o sanzionava i responsabili (e penso gli USA per
il Nicaragua), di certo non ha mai pensato di procedere
all'applicazione delle sanzioni. Così come succede per Israele
che pur violando le disposizioni internazionali (in ultimo proprio
l'utilizzo del fosforo bianco contro la popolazione di Gaza) non trova
ostacoli alcuni essendo la quinta potenza bellica al mondo.
Terra e liberta: molti popoli nessuno stato
In quella stessa terra dove oggi imperversano le più tragiche
nefandezze del militarismo, nei primi del '900 cominciavano a
sperimentarsi i Kibbuz, esperienze socialiste di convivenza fra arabi
ed ebrei; a minare situazioni interessanti come queste contribuirono
dapprima gli ebrei fondamentalisti e in seguito il sionismo con la
creazione di uno stato colonialista i cui esiti sono sotto i nostri
occhi.
Questo significa che dal punto di vista anarchico la convivenza "di
fatto" fra popolazioni diverse (anteriormente ancora più
diversificate e intrecciate) s'è già data e costituisce
l'unico precedente accettabile stroncato nel 1948 con la nascita dello
stato di Israele e guarda caso con la prima guerra arabo-israeliana.
Oggi noi non possiamo che riprendere quel filo interrotto e
riallacciarlo con una realtà taciuta dai media nazionali e
internazionali e sono le lotte congiunte ed unitarie degli Anarchici
contro il Muro di Israele e il comitato Bil'In di Palestina. Lotte nate
contro il muro, che prende una buona fetta del territorio di Gaza,
voluto dal sionismo israeliano per assicurarsi di poter continuare la
politica di apartheid che lo contraddistingue e che relega i
palestinesi in spazi aridi e senza sbocco: alimentare, sanitario e di
progresso sociale.
Queste lotte sono ormai diffuse in vari villaggi in Palestina e sono
tutt'ora l'esempio più eclatante della possibilità di
convivenza pacifica e solidale tra popoli che abitano la stessa terra
divisa da confini artificiali, presidiati da esercito e polizia,
considerati l'unica risorsa dai governi e sulla quale piantare il germe
dell'odio, della discriminazione, del razzismo, in definitiva della
guerra (1).
Per questi motivi l'equidistanza spesso addossata a chi guarda oltre lo
steccato angusto dell'ideologia è un mero pretesto, anche a
sinistra, per non assumersi la responsabilità fattiva di
alimentare lo stesso odio, lo stesso razzismo che oggi però
appartiene a minoranze avanguardiste che mirano a farsi stato e che
possono attestarsi in difesa solo per la scarsità di mezzi
militari a disposizione, per la litigiosità e concorrenza fra
loro, le cui accuse reciproche sono di corruzione, scarso patriottismo
se non addirittura di collaborazione col nemico.
Dietro a certe accuse vi è spesso la necessità di
mascherare altre verità inconfessabili e che spesso consistono
nello strumentalizzare questa, come tante altre guerre, per opporre un
antimperialismo speculare, frutto della sconfitta storica di un
capitalismo di stato, che ancora s'arrogano di chiamare comunismo,
è che tanto male ha fatto all'emancipazione reale e possibile
del proletariato internazionale.
Va da sé che non è questa la nostra lotta, la nostra
lotta è al fianco dei senzapotere, sfruttati, discriminati,
depredati e bombardati per una solidarietà sociale
internazionalista, libertaria ed egualitaria.
Stefano Raspa
(1) Così come ci è possibile praticare un boicottaggio
consapevole degli interessi del capitale israeliano, ad esempio
sostenendo la campagna denominata BDS (Boicottaggio,
Disinvestimento, Sanzioni) ideata e lanciata sin dal 2001 proprio da
una rete di ebrei che lottano contro l'occupazione israeliana della
Palestina e a tutt'oggi approvata da una vastissima coalizione di
realtà (associazioni e sindacati) palestinesi ed internazionali.
Diffonderla per invitare a non acquistare merci e prodotti provenienti
da Israele. da noi caratterizzati col codice a barre 729; diffonderla
presso i lavoratori degli scali merci, dei trasporti e della logistica
perché non scarichino container o merci provenienti da Israele.
Ancora non farsi prescrivere dal medico o acquistare in farmacia
medicinali generici della TEVA, non acquistare elettrodomestici Ocean,
né frutta con il marchio "Jaffa" o "Carmel".