Umanità Nova, n.2 del 18 gennaio 2009, anno 89

Gaza alla fine di Gaza


Mentre scrivo questo pezzo le notizie sulla guerra a Gaza riportano oltre 800 morti e già migliaia di feriti; non è inutile ribadire che si tratta, nella grandissima maggioranza, di civili e fra questi di centinaia di bambini.
Una, delle molte foto che imperversano in rete, mi ha colpito. Non è, come le altre, la più truculenta, non è quella più ad effetto come direbbero in gergo giornalistico. La foto ritrae un bambino appoggiato con la schiena ad un muro, lo ritrae di fianco con le mani dietro e lo sguardo rivolto verso l'obiettivo.
Il volto tutto è intriso di paura, lo sguardo trasmette terrore, faccio fatica a guardarlo, mi sono bastati pochi attimi per capire l'immensità di questa ennesima strage.
Ed è forse il simbolo di un ragionamento che spesso vedo vacillare, di una lucidità che ci è concessa come un lusso e a cui molti decidono di rinunciare lasciando spazio alle più trite retoriche ideologiche o alle presunte partigianerie da ultima guerra dove in una sorta di battaglia a colpi di comunicati e volantini ci si arrogherebbe una qualche patente di combattenti in seconda a fianco di resistenti palestinesi.
Non è una novità tuttavia noi dobbiamo fare buon uso di quello che è il nostro patrimonio di antimilitaristi, di anarchici; non possiamo sprecare l'opportunità che ci è concessa oggi di andare alla radice del problema, alla causa di questa guerra che insiste in medioriente da oltre mezzo secolo intervallando periodi di bassa ed altri di alta intensità.
E la causa di questo conflitto è la creazione di uno stato, lo stato di Israele.

La creazione di uno stato e gli sponsor
Noi sappiamo che dietro alla creazione di uno stato c'è sempre una guerra, che la storia non lascia dubbi a proposito: ci debbono essere vinti e vincitori, padroni e sudditi, che siano subordinati ad un potere di elite politiche/industriale come nelle cosiddette democrazie mature o ad un regime parafascista non cambia la sostanza.
Se alla radice c'è uno stato non è certo attraverso la creazione di un altro la possibile soluzione; a riprova di ciò basta constatare che è proprio sulla base di questo "programma" che da oltre sessant'anni non c'è pace in Palestina.
In questo conflitto i veri attori sono gli sponsor, tutti trincerati dietro agli organi internazionali, dagli Stati Uniti in primis che vantano un rapporto diretto con gli interessi Israeliani e l'Europa che gioca di sponda e tenta goffamente da decenni di accontentare le proposte filoarabe puntualmente osteggiate o peggio inapplicate dalla minoranza mondiale più potente del globo.
La "road map" disattesa da quasi tutti i principali protagonisti, Israele, ANP e le varie correnti avanguardiste in armi in Palestina, continua ad essere usata come strumento politico al quale unirsi "moralmente" affinché in Palestina "si confrontino le parole e non le armi": l'equivalente della carta straccia, come lo sono tutti i trattati e gli accordi internazionali, dalla messa al bando del nucleare e il disarmo unilaterale, dall'ONU che rimane neutrale nei confronti di conflitti fra staterelli infimi e si accoda subito alla NATO quando i potenti che contano fissano le regole del gioco, come in Kosovo, Iraq e Afganistan.
Come antimilitaristi anarchici non abbiamo mai abboccato all'accorata propaganda politica del potere che si adopera nella censura degli interessi reali che costituiscono i motivi di un conflitto. Dalle armi di distruzione di massa al fantomatico Bin Laden; passando per l'allarme profughi come in Kossovo, quando in altri stati (Sudamerica) nello stesso periodo le dimensioni erano triple: e questo disinteressava non solo la NATO, ma la stessa ONU, che anche quando esprimeva disappunto o sanzionava i responsabili (e penso gli USA per il Nicaragua), di certo non ha mai pensato di procedere all'applicazione delle sanzioni. Così come succede per Israele che pur violando le disposizioni internazionali (in ultimo proprio l'utilizzo del fosforo bianco contro la popolazione di Gaza) non trova ostacoli alcuni essendo la quinta potenza bellica al mondo.

Terra e liberta: molti popoli nessuno stato
In quella stessa terra dove oggi imperversano le più tragiche nefandezze del militarismo, nei primi del '900 cominciavano a sperimentarsi i Kibbuz, esperienze socialiste di convivenza fra arabi ed ebrei; a minare situazioni interessanti come queste contribuirono dapprima gli ebrei fondamentalisti e in seguito il sionismo con la creazione di uno stato colonialista i cui esiti sono sotto i nostri occhi.
Questo significa che dal punto di vista anarchico la convivenza "di fatto" fra popolazioni diverse (anteriormente ancora più diversificate e intrecciate) s'è già data e costituisce l'unico precedente accettabile stroncato nel 1948 con la nascita dello stato di Israele e guarda caso con la prima guerra arabo-israeliana.
Oggi noi non possiamo che riprendere quel filo interrotto e riallacciarlo con una realtà taciuta dai media nazionali e internazionali e sono le lotte congiunte ed unitarie degli Anarchici contro il Muro di Israele e il comitato Bil'In di Palestina. Lotte nate contro il muro, che prende una buona fetta del territorio di Gaza, voluto dal sionismo israeliano per assicurarsi di poter continuare la politica di apartheid che lo contraddistingue e che relega i palestinesi in spazi aridi e senza sbocco: alimentare, sanitario e di progresso sociale.
Queste lotte sono ormai diffuse in vari villaggi in Palestina e sono tutt'ora l'esempio più eclatante della possibilità di convivenza pacifica e solidale tra popoli che abitano la stessa terra divisa da confini artificiali, presidiati da esercito e polizia, considerati l'unica risorsa dai governi e sulla quale piantare il germe dell'odio, della discriminazione, del razzismo, in definitiva della guerra (1).
Per questi motivi l'equidistanza spesso addossata a chi guarda oltre lo steccato angusto dell'ideologia è un mero pretesto, anche a sinistra, per non assumersi la responsabilità fattiva di alimentare lo stesso odio, lo stesso razzismo che oggi però appartiene a minoranze avanguardiste che mirano a farsi stato e che possono attestarsi in difesa solo per la scarsità di mezzi militari a disposizione, per la litigiosità e concorrenza fra loro, le cui accuse reciproche sono di corruzione, scarso patriottismo se non addirittura di collaborazione col nemico.
Dietro a certe accuse vi è spesso la necessità di mascherare altre verità inconfessabili e che spesso consistono nello strumentalizzare questa, come tante altre guerre, per opporre un antimperialismo speculare, frutto della sconfitta storica di un capitalismo di stato, che ancora s'arrogano di chiamare comunismo, è che tanto male ha fatto all'emancipazione reale e possibile del proletariato internazionale.

Va da sé che non è questa la nostra lotta, la nostra lotta è al fianco dei senzapotere, sfruttati, discriminati, depredati e bombardati per una solidarietà sociale internazionalista, libertaria ed egualitaria.

Stefano Raspa


(1) Così come ci è possibile praticare un boicottaggio consapevole degli interessi del capitale israeliano, ad esempio sostenendo  la campagna denominata BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) ideata e lanciata sin dal 2001 proprio da una rete di ebrei che lottano contro l'occupazione israeliana della Palestina e a tutt'oggi approvata da una vastissima coalizione di realtà (associazioni e sindacati) palestinesi ed internazionali.
Diffonderla per invitare a non acquistare merci e prodotti provenienti da Israele. da noi caratterizzati col codice a barre 729; diffonderla presso i lavoratori degli scali merci, dei trasporti e della logistica perché non scarichino container o merci provenienti da Israele. Ancora non farsi prescrivere dal medico o acquistare in farmacia medicinali generici della TEVA, non acquistare elettrodomestici Ocean, né frutta con il marchio "Jaffa" o "Carmel".


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