Umanità Nova, n.3 del 25 gennaio 2009, anno 89

Onda e risacca da dove ripartire?


Se dopo un autunno di mobilitazioni continue, il movimento studentesco vive una fase per lo meno di stallo, è forse il momento buono per cercare di fare qualche analisi seppur parziale. "Umanità Nova" ha dato conto degli avvenimenti autunnali dal punto di vista della cronaca e dell'analisi. Via via sono usciti vari articoli sulla cosiddetta "riforma" – un attacco diretto a tutto il mondo della scuola e dell'università – e sul movimento, cercando di cogliere e di mettere in contatto diversi punti di vista: quello dei lavoratori, degli studenti, dei ricercatori.
A questo riguardo l'atteggiamento generale è stato di partecipazione e appoggio alle mobilitazioni, ma, certo, non siamo stati in pochi a storcere il naso. Quel che si coglieva, soprattutto da parte universitaria, era da un lato la voglia di mettersi in gioco, la capacità di autorganizzarsi e la volontà di porre un argine alla devastazione del sistema d'istruzione, dall'altro un generale "moderatismo" che si manifestava in più modi, ma il cui neo più grosso stava in questo: la riflessione verteva spesso su come riformare il sistema universitario.
Contro le politiche di cooptazione e corruzione diffusa si levava un grido che sembrava volere dire: evviva la meritocrazia! Insomma il messaggio era: una volta scongiurati i tagli e introdotti dei metodi di trasparenza nelle politiche universitarie, tutto andrebbe se non perfettamente, di sicuro molto meglio. Certo non era necessario essere degli irriducibili settantasettini, né gridare che "la scuola borghese si abbatte e non si cambia" per capire che c'era qualcosa che non andava. Per fortuna abbiamo potuto udire qualche voce di dissenso e qualcuno ha messo in atto pensieri e pratiche diversi. Non grandi cose, ma forse utili affinché sotto la cenere un qualche focherello di opposizione covi ancora. È il caso dell'assemblea nazionale che si è tenuta a Tor Vergata, Roma, il 13 e 14 dicembre.
E' bene dire subito che essa sanciva la fine di un'occupazione durata sette settimane. Non un grande auspicio: tuttavia il documento ha aspetti interessanti su cui far ripartire le prossime, necessarie, mobilitazioni. Prendendo le mosse da una critica netta al concetto di "autoriforma" che una parte del movimento ha avanzato come proposta al governo, si voleva mettere in evidenza come essa non abbia implicato nessuna analisi della fase economica, né del ruolo del sistema formativo all'interno della società.
Per due giorni il dibattito si è incentrato su due piani: il rapporto tra scuola e università e capitale e lavoro; e quello tra università e movimenti sociali. L'attuale crisi finanziaria è stata letta come conseguenza della crisi di accumulazione del capitalismo: governi e imprenditori, con la collaborazione sindacale, tentano quindi di ridisegnare tutta la società, compreso il mondo dell'istruzione e della ricerca. I governi dei paesi europei cercano di portare avanti ovunque simili "riforme" del sistema formativo: introduzione del 3+2, di stage e tirocini obbligatori e non pagati, dei crediti formativi (CFU), il crescente ruolo dei privati vanno di pari passo con lo smantellamento di quel che resta del diritto allo studio: mensa, borse di studio ecc. In particolare il sistema dei crediti spinge a una progressiva parcellizzazione del sapere, a discapito dell'acquisizione di un metodo e della complessiva crescita culturale e personale: buona parte del movimento (vedi assemblea della Sapienza il 15 novembre) ha proposto che i propri corsi di autoformazione vengano riconosciuti come crediti. L'assemblea di Tor Vergata crede invece che l'autoformazione con i crediti serva a rafforzare i poteri economici e accademici e considera unica opzione possibile quella di lottare per l'abrogazione del sistema dei crediti.
D'altra parte la paventata trasformazione delle università in fondazioni è vista come estremo effetto della privatizzazione e avrà come esito di moltiplicare le contraddizioni dell'università: così come si moltiplicheranno gli stage e i tirocini gratuiti, forme di sfruttamento e estremo ricatto per i lavoratori-studenti che permettono di abbassare i costi per il personale di università e aziende. Se è necessario difendere la "ricerca pubblica", con questa non si deve intendere genericamente la ricerca  finanziata dallo Stato e non dai privati, ma una ricerca che sia a beneficio della società. Oggi, anche quando i fondi sono pubblici, spesso servono a interessi privati: industria bellica, farmaceutica, chimica, informatica, brevettano e ricavano profitti. Così come nelle scienze umane la ricerca è veicolata verso tecniche di promozione pubblicitaria, speculazioni filosofiche fini a se stesse o ricerche storiche che in nulla scalfiscono…il corso della storia.
La due giorni di Tor Vergata ha anche avuto modo di analizzare criticamente la cosiddetta "centralità del potere cognitivo", sottolineando come il lavoro manuale sia stato "fatto sparire dall'informazione e dal dibattito culturale, con la complicità proprio delle elucubrazioni postfordiste" e come d'altro canto esso abbia "sempre più assorbito funzioni intellettuali (cfr. il problem solving nei processi produttivi, a cui gli operai partecipano quotidianamente), mentre il lavoro 'cognitivo' è spesso basato su precise funzioni materiali (cfr. le mansioni amministrative svolte da molti dottorandi e ricercatori)". Ammesso e non concesso che questo passaggio sia almeno in parte veritiero verrebbe da dire: il sistema ha "colto e capovolto" uno degli slogan del '68, ovvero: gli operai, a parità di salario, sono chiamati anche ad una parte di lavoro intellettuale (ma sempre asservito, ovviamente), i ricercatori, ugualmente a parità di salario (e persino gratis) svolgono anche un certo lavoro manuale. La cosa ricorda una delle ultime uscite del Brunetta, quando propose che sì bisognava "lavorare meno, lavorare tutti", ma anche di conseguenza "guadagnare meno".
L'ultimo punto dell'assemblea è ruotato intorno alla necessità di rafforzare legami tra i diversi ambiti del conflitto sociale: movimenti territoriali e dei lavoratori. Certo, idee non molto originali, ma sicuramente condivisibili: e quando un qualche movimento ripartirà, molto meglio che lo faccia da qui piuttosto che da uno di quei tanti discorsi "post" e riformisti che abbiamo ascoltato negli ultimi mesi.

Antonio S.


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