Se dopo un autunno di mobilitazioni continue, il movimento
studentesco vive una fase per lo meno di stallo, è forse il
momento buono per cercare di fare qualche analisi seppur parziale.
"Umanità Nova" ha dato conto degli avvenimenti autunnali dal
punto di vista della cronaca e dell'analisi. Via via sono usciti vari
articoli sulla cosiddetta "riforma" – un attacco diretto a tutto il
mondo della scuola e dell'università – e sul movimento, cercando
di cogliere e di mettere in contatto diversi punti di vista: quello dei
lavoratori, degli studenti, dei ricercatori.
A questo riguardo l'atteggiamento generale è stato di
partecipazione e appoggio alle mobilitazioni, ma, certo, non siamo
stati in pochi a storcere il naso. Quel che si coglieva, soprattutto da
parte universitaria, era da un lato la voglia di mettersi in gioco, la
capacità di autorganizzarsi e la volontà di porre un
argine alla devastazione del sistema d'istruzione, dall'altro un
generale "moderatismo" che si manifestava in più modi, ma il cui
neo più grosso stava in questo: la riflessione verteva spesso su
come riformare il sistema universitario.
Contro le politiche di cooptazione e corruzione diffusa si levava un
grido che sembrava volere dire: evviva la meritocrazia! Insomma il
messaggio era: una volta scongiurati i tagli e introdotti dei metodi di
trasparenza nelle politiche universitarie, tutto andrebbe se non
perfettamente, di sicuro molto meglio. Certo non era necessario essere
degli irriducibili settantasettini, né gridare che "la scuola
borghese si abbatte e non si cambia" per capire che c'era qualcosa che
non andava. Per fortuna abbiamo potuto udire qualche voce di dissenso e
qualcuno ha messo in atto pensieri e pratiche diversi. Non grandi cose,
ma forse utili affinché sotto la cenere un qualche focherello di
opposizione covi ancora. È il caso dell'assemblea nazionale che
si è tenuta a Tor Vergata, Roma, il 13 e 14 dicembre.
E' bene dire subito che essa sanciva la fine di un'occupazione durata
sette settimane. Non un grande auspicio: tuttavia il documento ha
aspetti interessanti su cui far ripartire le prossime, necessarie,
mobilitazioni. Prendendo le mosse da una critica netta al concetto di
"autoriforma" che una parte del movimento ha avanzato come proposta al
governo, si voleva mettere in evidenza come essa non abbia implicato
nessuna analisi della fase economica, né del ruolo del sistema
formativo all'interno della società.
Per due giorni il dibattito si è incentrato su due piani: il
rapporto tra scuola e università e capitale e lavoro; e quello
tra università e movimenti sociali. L'attuale crisi finanziaria
è stata letta come conseguenza della crisi di accumulazione del
capitalismo: governi e imprenditori, con la collaborazione sindacale,
tentano quindi di ridisegnare tutta la società, compreso il
mondo dell'istruzione e della ricerca. I governi dei paesi europei
cercano di portare avanti ovunque simili "riforme" del sistema
formativo: introduzione del 3+2, di stage e tirocini obbligatori e non
pagati, dei crediti formativi (CFU), il crescente ruolo dei privati
vanno di pari passo con lo smantellamento di quel che resta del diritto
allo studio: mensa, borse di studio ecc. In particolare il sistema dei
crediti spinge a una progressiva parcellizzazione del sapere, a
discapito dell'acquisizione di un metodo e della complessiva crescita
culturale e personale: buona parte del movimento (vedi assemblea della
Sapienza il 15 novembre) ha proposto che i propri corsi di
autoformazione vengano riconosciuti come crediti. L'assemblea di Tor
Vergata crede invece che l'autoformazione con i crediti serva a
rafforzare i poteri economici e accademici e considera unica opzione
possibile quella di lottare per l'abrogazione del sistema dei crediti.
D'altra parte la paventata trasformazione delle università in
fondazioni è vista come estremo effetto della privatizzazione e
avrà come esito di moltiplicare le contraddizioni
dell'università: così come si moltiplicheranno gli stage
e i tirocini gratuiti, forme di sfruttamento e estremo ricatto per i
lavoratori-studenti che permettono di abbassare i costi per il
personale di università e aziende. Se è necessario
difendere la "ricerca pubblica", con questa non si deve intendere
genericamente la ricerca finanziata dallo Stato e non dai
privati, ma una ricerca che sia a beneficio della società. Oggi,
anche quando i fondi sono pubblici, spesso servono a interessi privati:
industria bellica, farmaceutica, chimica, informatica, brevettano e
ricavano profitti. Così come nelle scienze umane la ricerca
è veicolata verso tecniche di promozione pubblicitaria,
speculazioni filosofiche fini a se stesse o ricerche storiche che in
nulla scalfiscono…il corso della storia.
La due giorni di Tor Vergata ha anche avuto modo di analizzare
criticamente la cosiddetta "centralità del potere cognitivo",
sottolineando come il lavoro manuale sia stato "fatto sparire
dall'informazione e dal dibattito culturale, con la complicità
proprio delle elucubrazioni postfordiste" e come d'altro canto esso
abbia "sempre più assorbito funzioni intellettuali (cfr. il
problem solving nei processi produttivi, a cui gli operai partecipano
quotidianamente), mentre il lavoro 'cognitivo' è spesso basato
su precise funzioni materiali (cfr. le mansioni amministrative svolte
da molti dottorandi e ricercatori)". Ammesso e non concesso che questo
passaggio sia almeno in parte veritiero verrebbe da dire: il sistema ha
"colto e capovolto" uno degli slogan del '68, ovvero: gli operai, a
parità di salario, sono chiamati anche ad una parte di lavoro
intellettuale (ma sempre asservito, ovviamente), i ricercatori,
ugualmente a parità di salario (e persino gratis) svolgono anche
un certo lavoro manuale. La cosa ricorda una delle ultime uscite del
Brunetta, quando propose che sì bisognava "lavorare meno,
lavorare tutti", ma anche di conseguenza "guadagnare meno".
L'ultimo punto dell'assemblea è ruotato intorno alla
necessità di rafforzare legami tra i diversi ambiti del
conflitto sociale: movimenti territoriali e dei lavoratori. Certo, idee
non molto originali, ma sicuramente condivisibili: e quando un qualche
movimento ripartirà, molto meglio che lo faccia da qui piuttosto
che da uno di quei tanti discorsi "post" e riformisti che abbiamo
ascoltato negli ultimi mesi.
Antonio S.