Umanità Nova, n.3 del 25 gennaio 2009, anno 89

informAzione - 2


Parma: laboratorio di razzismo

Ci sarebbe da festeggiare, da gioire della notizia: una parvenza di vittoria dei movimenti cittadini dopo mesi di agitazione urbana. La pubblicazione della foto trofeo con cui i "tutori dell'ordine" si facevano ritrarre dopo l'arresto e il pestaggio di un migrante ha avuto come seguito le dimissioni di Costantino Monteverdi da assessore alla sicurezza del Comune di Parma, nonché la sospensione dei dieci vigili urbani indagati; per quattro di loro sono stati ottenuti gli arresti domiciliari. I dieci sono accusati a vario titolo di sequestro di persona, violenza privata, perquisizione arbitraria, falso, calunnie, più la significativa aggravante di discriminazioni razziale, odio etnico o razziale. La notizia delle dimissioni sembra in verità una mossa puramente politica, in primis perché le stesse dimissioni giungono dopo più di due mesi da quella sera, dopo che lo stesso assessore aveva avallato come "operazione esemplare" il pestaggio e il trattamento da squadra fascista di Emmanuel da parte della sezione speciale dei vigili urbani. In secondo luogo perché, come recita la stessa lettera, le dimissioni di Monteverdi sono parziali: valgono solo per la carica di assessore alla sicurezza e non comprendono minimamente le altre che Monteverdi copre all'interno della giunta. Proprio grazie a una di questa cariche, il giorno stesso delle sue dimissioni Monteverdi ha provveduto ad assicurare copertura legale agli agenti indagati, incaricando due avvocati della loro difesa e assicurando copertura delle spese a carico del Comune. Gli sviluppi della vicenda, insomma, non fanno che confermare ciò che si teme da tempo: Parma sta diventando sempre di più un laboratorio in cui si tenta di far passare come standard i metodi neofascisti adottati dalle istituzioni, ovviamente senza che queste ultime subiscano ripercussioni. Grazie ad una mirata campagna emergenziale, culminata con la firma della famosa "carta di Parma sulla sicurezza", si cerca di dare legittimità a modelli di controllo sociale ritenuti indispensabili a mantenere lo status di separazione fra cittadini di serie A e di serie B, conoscendo bene  tutte le conseguenze cui questa divisione porta.

Alcuni compagni

Vita, terra e libertà per le donne e gli uomini della Palestina


Roma
La manifestazione del 17 gennaio a Roma in solidarietà con Gaza è stata ampia e partecipata. Per oltre un'ora e mezza il corteo ha continuato a fluire e non se ne vedeva ancora il fondo. Da Milano a Taranto, sono arrivate a Roma numerose comunità di migranti, associazioni islamiche, sindacati di base, vari centri sociali, collettivi autorganizzati, reti studentesche come l'Onda romana e napoletana, famiglie, moltissimi bambini e ragazzi. Nonostante il continuo andirivieni di persone, il corteo era articolato in due grandi blocchi: prima le comunità palestinesi, arabe e curde; poi le realtà di lotta sociale e sindacale (Cobas, RdB, qualche compagno dell'Usi) e in coda i vari partiti comunisti (PCdL, SC, PRC, ecc.). Vi erano, fra tanti altri, lo striscione degli Ebrei contro l'occupazione, quello delle femministe e lesbiche, quello delle donne in nero, quello antimilitarista dello "Sport sotto assedio".
La parola d'ordine fondamentale è stata quella di "Fermare il massacro": "Bush Barak assassini, giù le mani dai bambini", "Basta guerra, basta morte", "Restiamo umani". Numerosissime le immagini atroci di corpi fatti a pezzi, a brandelli, bruciati, agonizzanti. E la denuncia delle menzogne e della faziosità di tv e giornali è stato l'altro grande tema che ha attraversato il corteo: "Contro le guerre degli eserciti, contro le menzogne dei media", "Le bombe uccidono le persone, i media uccidono le coscienze". Più delle parole "pacifismo" e "nonviolenza", così di moda nelle manifestazioni arcobaleno degli anni passati, si sentiva riecheggiare la necessità sociale e mentale della "resistenza".
La manifestazione ha voluto essere anche un momento per dar voce e visibilità a chi subisce la doppia violenza delle bombe e del silenzio: nel comizio finale la voce di Vittorio Arrigoni, in collegamento telefonico da Gaza, ha smentito la menzogna della "tregua unilaterale" e ha testimoniato che le bombe israeliane continuano a cadere e che una scuola era stata appena colpita. Altri hanno ribadito l'invito al boicottaggio dal basso dei prodotti israeliani (caratterizzati da un numero che inizia per 729 nel codice a barre).
Certo il corteo è stato caratterizzato anche dal mescolarsi di linguaggi dissonanti e contraddittori: anzitutto quello religioso e quello politico, con lo strano effetto per cui, ad esempio, dal camioncino di una moschea si arringava "il proletariato in lotta contro il capitale" e da un altro di antimperialisti si elogiava invece la religione islamica come l'unica "vera umanità" contro "le lagne del laicismo" (contestato da un gruppetto di manifestanti al grido "laicità, laicità!"). A metà percorso due piccoli spezzoni del corteo hanno partecipato alla preghiera islamica comune del tramonto. Da uno di questi è stato chiesto a tutti (!) silenzio, e veniva da interrogarsi su quanto sottile sia il confine tra libertà religiosa e imposizione del proprio credo. Comunque, meno di un migliaio di persone ha partecipato alla preghiera islamica comune del tramonto.
In corteo vi erano tantissimi giovani migranti, che iniziano ora a formarsi delle idee politiche, e sarebbe importante portare in queste manifestazioni la nostra prospettiva laica, libertaria, antimilitarista, antirazzista. Senza rinunciare a nessuna delle nostre parole, ma cercando però di farle capire. Di misurarsi senza reticenze con altri linguaggi e altre culture.
G&T

Torino
In solidarietà alla popolazione di Gaza gli anarchici della FAI torinese hanno organizzato un punto informativo giovedì 15 gennaio nella centralissima via Po. La polizia ha ritenuto opportuno schierare tre camionette e numerosi agenti. Due striscioni enormi campeggiavano sulla strada: uno contro tutti gli eserciti e le frontiere, l'altro con la gente di Gaza, massacrata dalle bombe.
Grande interesse ha riscosso il volantino "Dalla parte degli ultimi", lo stesso che era stato diffuso al corteo per Gaza del sabato precedente.
Di seguito alcuni passi più significativi: "In queste ore c'è chi si schiera con questi o con quelli: i più sostengono il "diritto" all'autodifesa di uno dei due contendenti e chiamano "terrorista" e "genocida" l'altro.
Ma la guerra è terrorismo, come il terrorismo è guerra: non ci sono guerre pulite, giuste o sante. Chi uccide in nome dello Stato – quello palestinese come quello israeliano – è nostro nemico perché è nemico di un'umanità internazionale senza confini, né barriere a dividerla.
L'enorme disparità delle forze in gioco rende doveroso impegnarsi a fianco della martoriata popolazione di Gaza. Un esercito potentissimo si contrappone a formazioni militari decisamente più deboli. Ma – e questo deve essere ben chiaro – le vittime, colpite a morte nelle loro case, sono tutte uguali: a Khan Younis come a Sderot.
L'emergenza umanitaria in una Gaza già stremata dall'embargo è una tragedia di fronte alla quale non si può restare indifferenti. Urge ovunque mettersi in mezzo per fermare la guerra, per denunciare i bombardamenti, per rendere la vita difficile a chi, in nome della nazione, della bandiera, della religione colpisce ed uccide. Oggi la maggior parte delle vittime sono da una parte e noi non possiamo che stare con loro. Senza se e senza ma, perché non abbiamo nazioni da fondare o da difendere, preti, rabbini e imam di fronte a cui chinare il capo, perché sappiamo che solo cancellando la follia della religione e della nazione si può immaginare un futuro per i figli della gente che vive tra il Mediterraneo e il Giordano. E per chiunque. Ovunque.
I politici confezionano le ricette giuste per tutte le occasioni – quelli che vorrebbero due stati per due popoli come quelli che ne auspicano uno solo per entrambi – ma non ci sono ricette che tengano finché non si abbatte il muro dell'odio, del razzismo, dell'ingiustizia sociale."

R. Em.

Treviso
Sabato 10 gennaio si è svolto, nella centralissima Piazza dei Signori a Treviso, un presidio per chiedere la cessazione immediata dell'intervento militare israeliano a Gaza. Nonostante il preavviso minimo con cui è stato convocato, il presidio ha visto la partecipazione di più di cento persone: una presenza consistente per una realtà narcotizzata come quella Trevigiana. Erano presenti in piazza rappresentanti sindacali, in particolare della cgil scuola e della funzione pubblica, uno dei segretari provinciali della camera del lavoro, esponenti di Prc, Pdci, Pdac, associazioni pacifiste come "Un ponte per...", giovani e meno giovani del centro sociale autogestito "UbikLab", esponenti dell'Anpi trevigiana. Nutrita la presenza anarchica, il cui punto di vista sul conflitto israelo-palestinese è stato ben espresso dallo striscione "Una sola terra, un solo popolo" del Collettivo Libertario "C. Giuliani" di Vittorio Veneto e dal volantino distribuito ai passanti da alcuni militanti della fdca locale presenti, in cui si sottolineava che "...le uniche prospettive di reale emancipazione per la popolazione palestinese che si possono intravedere in un futuro prossimo è che si accrescano e si estendano quelle pratiche di auto-organizzazione portate avanti in molti villaggi palestinesi, sorte dalla solidarietà tra i comitati popolari palestinesi e organizzazioni di base e trasversali come gli Anarchici Contro il Muro....che costantemente combattono, con pratiche prevalentemente di resistenza pacifica, l'arroganza dei coloni israeliani e dell'esercito che li appoggia. E non è un caso che è proprio in questi villaggi che è stata scelta un'altra strada rispetto al militarismo di Hamas". Da segnalare anche l'ottima vendita del numero deluxe di Umanità Nova (andato veramente a ruba).

Un compagno presente

Milano
Lunedì 12 gennaio si sono svolte, nel tardo pomeriggio, due iniziative di solidarietà con il popolo palestinese. Una è stata organizzata dalle donne in nero davanti alla sede della RAI, dove circa duecento manifestanti hanno protestato contro la disinformazione dei media italiani sull'aggressione e i massacri subiti dal popolo palestinese. Come simbolo della protesta è stata portata l'ormai famosa scarpa (con la quale si è tentato di colpire Bush). L'altra iniziativa, organizzata dall'area antagonista, si è trovata a protestare davanti al Piccolo Teatro contro una manifestazione che si svolgeva al suo interno, convocata da varie entità sioniste ed ebraiche milanesi, in sostegno a Israele. Oratori annunciati erano personaggi quali Magdi Allam, Fiamma Nirenstein, Piero Ostellino oltre i già fascisti De Corato (vice-sindaco) e La Russa (ministro della difesa). Le ingenti forze di polizia presenti hanno caricato a freddo i manifestanti appena si sono avvicinati, causando anche alcuni feriti. I manifestanti non hanno desistito, occupando la strada adiacente, gridando slogan contro lo Stato d'Israele e per l'autodeterminazione del popolo palestinese. La cosa ancora più grave è stata quando, mentre il corteo stava defluendo, nel percorso tra Cairoli (luogo di incontro) e il Cordusio, un gruppo di manifestanti ha subito una seconda e più violenta carica poliziesca. Tutta la nostra solidarietà va alle compagne e compagni del C.sa Vittoria rimasti feriti dalle cariche. Compagni anarchici della FAM hanno partecipato a tutte due le iniziative.

Enrico

Palermo
Sabato 17 gennaio si  svolto un corteo in solidarietà al popolo palestinese contro l'aggressione  militare israeliana. La manifestazione, promossa da un cartello di sigle costituite per lo più da collettivi e spazi occupati, ha visto la partecipazione della comunità palestinese che vive a Palermo e di alcune formazioni della sinistra extraparlamentare, PRC compreso.
Erano presenti, e assai visibili, gli anarchici: con uno striscione su cui campeggiava la scritta "Due popoli, nessuno stato", i compagni scesi in piazza hanno manifestato la posizione, chiara e inequivocabile, di chi sta dalla parte di tutti gli oppressi, di tutte le vittime di ogni guerra, contro ogni stato, ogni potere e ogni avanguardia. La bontà della scelta di collocarsi subito alla coda del corteo (per altro meno partecipato rispetto a quello di una settimana prima) ha trovato conferma nella pessima piega che ha preso la manifestazione sin dalle prime battute. Al grido di "Dio è grande" più volte scandito durante il percorso, molti partecipanti hanno dato una connotazione pesantemente religiosa e identitaria alla protesta associando maldestramente bandiere rosse e islamismo militante. E così, il corteo si  praticamente diviso in tre parti: PRC e creature simili hanno immediatamente preso le distanze seminando il resto della manifestazione e ponendosi alla testa del corteo; in mezzo, gli esaltatori del nazionalismo più aggressivo e reazionario; in coda gli anarchici con le uniche bandiere che possiamo sventolare: quelle della libertà, della solidarietà internazionalista, del rifiuto di tutti i poteri politici e religiosi che, da sempre, soffiano sul fuoco dell'odio e della violenza.
Un incisivo megafonaggio e un massiccio volantinaggio a cura dei compagni del Gruppo "Failla" della FAI hanno suscitato l'approvazione dei passanti e di diversi manifestanti che, messi a disagio dall'esaltazione di Allah, hanno preferito unirsi a chi urlava:
"Né Dio, né stato, né servi, né padroni!".

TAZ laboratorio
di comunicazione libertaria

Bologna
Una trasversale assemblea cittadina, partecipata da comunità arabe, Comitato Palestina, centri sociali, sindacati di base, Assemblea Antifascista Permanente, Rete dei Comunisti, PCL e Giovani Comunisti, sta organizzando per sabato 24 un corteo regionale in solidarietà a Gaza. Si prevede la presenza di migliaia di migranti. D'altronde, parla chiaro il precedente del corteo dello scorso 3 gennaio, convocato frettolosamente e in pochi giorni, ma che vide partecipare quasi duemila persone. Al termine di quel corteo, intorno alle 17, alcune centinaia di fedeli musulmani si raccolsero in preghiera in Piazza Maggiore, davanti alla basilica di S.Petronio. Si noti che la preghiera del tramonto è per un musulmano un obbligo da osservare ovunque ci si trovi.
Curia e partiti del centrodestra, con una certa condiscendenza del Pd, si sono subito schierati contro quello che definiscono uno schiaffo alla cristianità di Bologna, e le polemiche sui media locali sono durate per settimane.
La servile questura ha dunque ritenuto di imporre delle rigide prescrizioni alla manifestazione prevista per sabato 24: niente preghiera durante il corteo (sebbene fosse stata ipotizzata in una piazza dove non sorgono chiese), e soprattutto divieto di attraversare le vie dello shopping (via Indipendenza e Rizzoli) e di arrivare in Piazza Maggiore: insomma, fuori l'islam dal salotto buono della città.
Mentre chiudiamo questo numero del giornale, i promotori del corteo devono ancora riunirsi per valutare la risposta a tali divieti. Pare tuttavia molto probabile che verrà rifiutato il divieto di accedere al centro storico.
Da atei e anarchici, poco o nulla ci interessano, solitamente, le dispute religiose. Ma qui la questione confessionale è un paravento dietro cui nascondere una grave limitazione istituzionale alla libertà d'espressione, la volontà di marginalizzare le comunità migranti e la loro rabbia, e di tenere al di fuori lo sdegno per la ferocia dello Stato d'Israele dei luoghi dove Bologna si rappresenta opulenta, ordinata e pacificata.

BzK

Trieste
Sabato 17 un affollato corteo-fiaccolata ha attraversato il centro città. Oltre 1.500 persone hanno raccolto l'appello lanciato da una serie di associazioni pacifiste e della sinistra più o meno istituzionale: un numero oltre ogni previsione vista anche la non ottima organizzazione dell'iniziativa. Alla testa del corteo la piccola comunità palestinese presente in città che urlava a gran voce la propria rabbia. Fra i vari spezzoni anche uno striscione degli skinheads della RASH (red and anarchist skinheads) alla loro prima uscita pubblica.La presenza anarchica era visibile anche con un paio di bandiere e la diffusione di Umanità Nova e Germinal. Il corteo –che si è svolto tranquillamente e senza provocazioni- si è concluso nella piazza di partenza dove nei vari interventi al microfono, oltre alla solidarietà alla popolazione palestinese, è stata espressa solidarietà a tutte le minoranze israeliane che lottano contro il proprio governo responsabile di questa strage.

F.

Pordenone
Anche a Pordenone s'è svolto l'info-point "fermare il massacro a Gaza" lanciato da Iniziativa Libertaria e USI-AIT accolto poi dal Coordinamento "per la pace a Gaza". L'iniziativa, svolta in una delle piazzette più frequentate del centro, ha veduto un centinaio di partecipanti fissi al presidio e momenti di quasi 200 persone nella prima mezz'ora di proiezione e interventi. Sono state videoproiettate delle foto sul massacro in corso che ci restituisce all'oggi 1200 vittime di cui 500 bambini. Il presidio aveva l'intento di andare oltre gli slogan e i cortei per fermarsi e "mostrare, raccontare, informare" sapendo che la prima vittima della guerra è la verità. Infatti in contemporanea da un altra piazza partiva un corteo indetto da Michelangelo Agrusti, oltre che ex onorevole, inprenditore di Onda Communication, azienda "di successo" che ha direttamente e indirettamente rapporti commerciali con Israele; alla manifestazione pro-Israele hanno aderito tutti i partiti del centrodestra oltre che, a titolo individuale, alcuni esponenti del PD e dei radicali pordenonesi. La denuncia del carattere affaristico/razzista del corteo integralista dei politici (massiccia la presenza della Lega con lo slogan "Pordenone cristiana, mai mussulmana") è stata fatta prima sui giornali e poi dal presidio che ha avuto come manifesto condiviso tra le realtà aderenti: la fine dell'aggressione criminale dello stato di Israele alla popolazione palestinese, l'accesso agli aiuti umanitari e sanitari, la restituzione delle terre, delle case e della libertà ai palestinesi, la fine dell'apartheid da parte di Israele. L'approccio nettamente antimilitarista, antireligioso e antinazionalista con cui abbiamo chiesto di partecipare al presidio in solidarietà ai palestinesi è stato accolto anche da oltre 40 immigrati palestinesi e nordafricani che sono rimasti fino alla fine testimoniando apprezzamento per i diversi interventi al microfono di anarchici, donne in nero e organizzazioni sindacali di base. Ha invece preso una posizione di equidistanza alle due manifestazioni il Centro di preghiera Islamica tramite l'imam di Pordenone a cui però diversi fedeli non hanno dato ascolto. Non è mancata infine la condanna ad ogni fondamentalismo che sia ebraico, islamico o cattolico e a tutti i nazionalismi con l'appoggio incondizionato a tutte quelle forme di lotta unitaria tra arabi ed ebrei che da diversi anni, taciute dai media, si danno in quei territori martoriati.

 Nestor

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