Ci sarebbe da festeggiare, da gioire della notizia: una parvenza di
vittoria dei movimenti cittadini dopo mesi di agitazione urbana. La
pubblicazione della foto trofeo con cui i "tutori dell'ordine" si
facevano ritrarre dopo l'arresto e il pestaggio di un migrante ha avuto
come seguito le dimissioni di Costantino Monteverdi da assessore alla
sicurezza del Comune di Parma, nonché la sospensione dei dieci
vigili urbani indagati; per quattro di loro sono stati ottenuti gli
arresti domiciliari. I dieci sono accusati a vario titolo di sequestro
di persona, violenza privata, perquisizione arbitraria, falso,
calunnie, più la significativa aggravante di discriminazioni
razziale, odio etnico o razziale. La notizia delle dimissioni sembra in
verità una mossa puramente politica, in primis perché le
stesse dimissioni giungono dopo più di due mesi da quella sera,
dopo che lo stesso assessore aveva avallato come "operazione esemplare"
il pestaggio e il trattamento da squadra fascista di Emmanuel da parte
della sezione speciale dei vigili urbani. In secondo luogo
perché, come recita la stessa lettera, le dimissioni di
Monteverdi sono parziali: valgono solo per la carica di assessore alla
sicurezza e non comprendono minimamente le altre che Monteverdi copre
all'interno della giunta. Proprio grazie a una di questa cariche, il
giorno stesso delle sue dimissioni Monteverdi ha provveduto ad
assicurare copertura legale agli agenti indagati, incaricando due
avvocati della loro difesa e assicurando copertura delle spese a carico
del Comune. Gli sviluppi della vicenda, insomma, non fanno che
confermare ciò che si teme da tempo: Parma sta diventando sempre
di più un laboratorio in cui si tenta di far passare come
standard i metodi neofascisti adottati dalle istituzioni, ovviamente
senza che queste ultime subiscano ripercussioni. Grazie ad una mirata
campagna emergenziale, culminata con la firma della famosa "carta di
Parma sulla sicurezza", si cerca di dare legittimità a modelli
di controllo sociale ritenuti indispensabili a mantenere lo status di
separazione fra cittadini di serie A e di serie B, conoscendo
bene tutte le conseguenze cui questa divisione porta.
Alcuni compagni
Roma
La manifestazione del 17 gennaio a Roma in solidarietà con Gaza
è stata ampia e partecipata. Per oltre un'ora e mezza il corteo
ha continuato a fluire e non se ne vedeva ancora il fondo. Da Milano a
Taranto, sono arrivate a Roma numerose comunità di migranti,
associazioni islamiche, sindacati di base, vari centri sociali,
collettivi autorganizzati, reti studentesche come l'Onda romana e
napoletana, famiglie, moltissimi bambini e ragazzi. Nonostante il
continuo andirivieni di persone, il corteo era articolato in due grandi
blocchi: prima le comunità palestinesi, arabe e curde; poi le
realtà di lotta sociale e sindacale (Cobas, RdB, qualche
compagno dell'Usi) e in coda i vari partiti comunisti (PCdL, SC, PRC,
ecc.). Vi erano, fra tanti altri, lo striscione degli Ebrei contro
l'occupazione, quello delle femministe e lesbiche, quello delle donne
in nero, quello antimilitarista dello "Sport sotto assedio".
La parola d'ordine fondamentale è stata quella di "Fermare il
massacro": "Bush Barak assassini, giù le mani dai bambini",
"Basta guerra, basta morte", "Restiamo umani". Numerosissime le
immagini atroci di corpi fatti a pezzi, a brandelli, bruciati,
agonizzanti. E la denuncia delle menzogne e della faziosità di
tv e giornali è stato l'altro grande tema che ha attraversato il
corteo: "Contro le guerre degli eserciti, contro le menzogne dei
media", "Le bombe uccidono le persone, i media uccidono le coscienze".
Più delle parole "pacifismo" e "nonviolenza", così di
moda nelle manifestazioni arcobaleno degli anni passati, si sentiva
riecheggiare la necessità sociale e mentale della "resistenza".
La manifestazione ha voluto essere anche un momento per dar voce e
visibilità a chi subisce la doppia violenza delle bombe e del
silenzio: nel comizio finale la voce di Vittorio Arrigoni, in
collegamento telefonico da Gaza, ha smentito la menzogna della "tregua
unilaterale" e ha testimoniato che le bombe israeliane continuano a
cadere e che una scuola era stata appena colpita. Altri hanno ribadito
l'invito al boicottaggio dal basso dei prodotti israeliani
(caratterizzati da un numero che inizia per 729 nel codice a barre).
Certo il corteo è stato caratterizzato anche dal mescolarsi di
linguaggi dissonanti e contraddittori: anzitutto quello religioso e
quello politico, con lo strano effetto per cui, ad esempio, dal
camioncino di una moschea si arringava "il proletariato in lotta contro
il capitale" e da un altro di antimperialisti si elogiava invece la
religione islamica come l'unica "vera umanità" contro "le lagne
del laicismo" (contestato da un gruppetto di manifestanti al grido
"laicità, laicità!"). A metà percorso due piccoli
spezzoni del corteo hanno partecipato alla preghiera islamica comune
del tramonto. Da uno di questi è stato chiesto a tutti (!)
silenzio, e veniva da interrogarsi su quanto sottile sia il confine tra
libertà religiosa e imposizione del proprio credo. Comunque,
meno di un migliaio di persone ha partecipato alla preghiera islamica
comune del tramonto.
In corteo vi erano tantissimi giovani migranti, che iniziano ora a
formarsi delle idee politiche, e sarebbe importante portare in queste
manifestazioni la nostra prospettiva laica, libertaria,
antimilitarista, antirazzista. Senza rinunciare a nessuna delle nostre
parole, ma cercando però di farle capire. Di misurarsi senza
reticenze con altri linguaggi e altre culture.
G&T
Torino
In solidarietà alla popolazione di Gaza gli anarchici della FAI
torinese hanno organizzato un punto informativo giovedì 15
gennaio nella centralissima via Po. La polizia ha ritenuto opportuno
schierare tre camionette e numerosi agenti. Due striscioni enormi
campeggiavano sulla strada: uno contro tutti gli eserciti e le
frontiere, l'altro con la gente di Gaza, massacrata dalle bombe.
Grande interesse ha riscosso il volantino "Dalla parte degli ultimi",
lo stesso che era stato diffuso al corteo per Gaza del sabato
precedente.
Di seguito alcuni passi più significativi: "In queste ore
c'è chi si schiera con questi o con quelli: i più
sostengono il "diritto" all'autodifesa di uno dei due contendenti e
chiamano "terrorista" e "genocida" l'altro.
Ma la guerra è terrorismo, come il terrorismo è guerra:
non ci sono guerre pulite, giuste o sante. Chi uccide in nome dello
Stato – quello palestinese come quello israeliano – è nostro
nemico perché è nemico di un'umanità
internazionale senza confini, né barriere a dividerla.
L'enorme disparità delle forze in gioco rende doveroso
impegnarsi a fianco della martoriata popolazione di Gaza. Un esercito
potentissimo si contrappone a formazioni militari decisamente
più deboli. Ma – e questo deve essere ben chiaro – le vittime,
colpite a morte nelle loro case, sono tutte uguali: a Khan Younis come
a Sderot.
L'emergenza umanitaria in una Gaza già stremata dall'embargo
è una tragedia di fronte alla quale non si può restare
indifferenti. Urge ovunque mettersi in mezzo per fermare la guerra, per
denunciare i bombardamenti, per rendere la vita difficile a chi, in
nome della nazione, della bandiera, della religione colpisce ed uccide.
Oggi la maggior parte delle vittime sono da una parte e noi non
possiamo che stare con loro. Senza se e senza ma, perché non
abbiamo nazioni da fondare o da difendere, preti, rabbini e imam di
fronte a cui chinare il capo, perché sappiamo che solo
cancellando la follia della religione e della nazione si può
immaginare un futuro per i figli della gente che vive tra il
Mediterraneo e il Giordano. E per chiunque. Ovunque.
I politici confezionano le ricette giuste per tutte le occasioni –
quelli che vorrebbero due stati per due popoli come quelli che ne
auspicano uno solo per entrambi – ma non ci sono ricette che tengano
finché non si abbatte il muro dell'odio, del razzismo,
dell'ingiustizia sociale."
R. Em.
Treviso
Sabato 10 gennaio si è svolto, nella centralissima Piazza dei
Signori a Treviso, un presidio per chiedere la cessazione immediata
dell'intervento militare israeliano a Gaza. Nonostante il preavviso
minimo con cui è stato convocato, il presidio ha visto la
partecipazione di più di cento persone: una presenza consistente
per una realtà narcotizzata come quella Trevigiana. Erano
presenti in piazza rappresentanti sindacali, in particolare della cgil
scuola e della funzione pubblica, uno dei segretari provinciali della
camera del lavoro, esponenti di Prc, Pdci, Pdac, associazioni pacifiste
come "Un ponte per...", giovani e meno giovani del centro sociale
autogestito "UbikLab", esponenti dell'Anpi trevigiana. Nutrita la
presenza anarchica, il cui punto di vista sul conflitto
israelo-palestinese è stato ben espresso dallo striscione "Una
sola terra, un solo popolo" del Collettivo Libertario "C. Giuliani" di
Vittorio Veneto e dal volantino distribuito ai passanti da alcuni
militanti della fdca locale presenti, in cui si sottolineava che "...le
uniche prospettive di reale emancipazione per la popolazione
palestinese che si possono intravedere in un futuro prossimo è
che si accrescano e si estendano quelle pratiche di auto-organizzazione
portate avanti in molti villaggi palestinesi, sorte dalla
solidarietà tra i comitati popolari palestinesi e organizzazioni
di base e trasversali come gli Anarchici Contro il Muro....che
costantemente combattono, con pratiche prevalentemente di resistenza
pacifica, l'arroganza dei coloni israeliani e dell'esercito che li
appoggia. E non è un caso che è proprio in questi
villaggi che è stata scelta un'altra strada rispetto al
militarismo di Hamas". Da segnalare anche l'ottima vendita del numero
deluxe di Umanità Nova (andato veramente a ruba).
Un compagno presente
Milano
Lunedì 12 gennaio si sono svolte, nel tardo pomeriggio, due
iniziative di solidarietà con il popolo palestinese. Una
è stata organizzata dalle donne in nero davanti alla sede della
RAI, dove circa duecento manifestanti hanno protestato contro la
disinformazione dei media italiani sull'aggressione e i massacri subiti
dal popolo palestinese. Come simbolo della protesta è stata
portata l'ormai famosa scarpa (con la quale si è tentato di
colpire Bush). L'altra iniziativa, organizzata dall'area antagonista,
si è trovata a protestare davanti al Piccolo Teatro contro una
manifestazione che si svolgeva al suo interno, convocata da varie
entità sioniste ed ebraiche milanesi, in sostegno a Israele.
Oratori annunciati erano personaggi quali Magdi Allam, Fiamma
Nirenstein, Piero Ostellino oltre i già fascisti De Corato
(vice-sindaco) e La Russa (ministro della difesa). Le ingenti forze di
polizia presenti hanno caricato a freddo i manifestanti appena si sono
avvicinati, causando anche alcuni feriti. I manifestanti non hanno
desistito, occupando la strada adiacente, gridando slogan contro lo
Stato d'Israele e per l'autodeterminazione del popolo palestinese. La
cosa ancora più grave è stata quando, mentre il corteo
stava defluendo, nel percorso tra Cairoli (luogo di incontro) e il
Cordusio, un gruppo di manifestanti ha subito una seconda e più
violenta carica poliziesca. Tutta la nostra solidarietà va alle
compagne e compagni del C.sa Vittoria rimasti feriti dalle cariche.
Compagni anarchici della FAM hanno partecipato a tutte due le
iniziative.
Enrico
Palermo
Sabato 17 gennaio si svolto un corteo in solidarietà al
popolo palestinese contro l'aggressione militare israeliana. La
manifestazione, promossa da un cartello di sigle costituite per lo
più da collettivi e spazi occupati, ha visto la partecipazione
della comunità palestinese che vive a Palermo e di alcune
formazioni della sinistra extraparlamentare, PRC compreso.
Erano presenti, e assai visibili, gli anarchici: con uno striscione su
cui campeggiava la scritta "Due popoli, nessuno stato", i compagni
scesi in piazza hanno manifestato la posizione, chiara e
inequivocabile, di chi sta dalla parte di tutti gli oppressi, di tutte
le vittime di ogni guerra, contro ogni stato, ogni potere e ogni
avanguardia. La bontà della scelta di collocarsi subito alla
coda del corteo (per altro meno partecipato rispetto a quello di una
settimana prima) ha trovato conferma nella pessima piega che ha preso
la manifestazione sin dalle prime battute. Al grido di "Dio è
grande" più volte scandito durante il percorso, molti
partecipanti hanno dato una connotazione pesantemente religiosa e
identitaria alla protesta associando maldestramente bandiere rosse e
islamismo militante. E così, il corteo si praticamente
diviso in tre parti: PRC e creature simili hanno immediatamente preso
le distanze seminando il resto della manifestazione e ponendosi alla
testa del corteo; in mezzo, gli esaltatori del nazionalismo più
aggressivo e reazionario; in coda gli anarchici con le uniche bandiere
che possiamo sventolare: quelle della libertà, della
solidarietà internazionalista, del rifiuto di tutti i poteri
politici e religiosi che, da sempre, soffiano sul fuoco dell'odio e
della violenza.
Un incisivo megafonaggio e un massiccio volantinaggio a cura dei
compagni del Gruppo "Failla" della FAI hanno suscitato l'approvazione
dei passanti e di diversi manifestanti che, messi a disagio
dall'esaltazione di Allah, hanno preferito unirsi a chi urlava:
"Né Dio, né stato, né servi, né padroni!".
TAZ laboratorio
di comunicazione libertaria
Bologna
Una trasversale assemblea cittadina, partecipata da comunità
arabe, Comitato Palestina, centri sociali, sindacati di base, Assemblea
Antifascista Permanente, Rete dei Comunisti, PCL e Giovani Comunisti,
sta organizzando per sabato 24 un corteo regionale in
solidarietà a Gaza. Si prevede la presenza di migliaia di
migranti. D'altronde, parla chiaro il precedente del corteo dello
scorso 3 gennaio, convocato frettolosamente e in pochi giorni, ma che
vide partecipare quasi duemila persone. Al termine di quel corteo,
intorno alle 17, alcune centinaia di fedeli musulmani si raccolsero in
preghiera in Piazza Maggiore, davanti alla basilica di S.Petronio. Si
noti che la preghiera del tramonto è per un musulmano un obbligo
da osservare ovunque ci si trovi.
Curia e partiti del centrodestra, con una certa condiscendenza del Pd,
si sono subito schierati contro quello che definiscono uno schiaffo
alla cristianità di Bologna, e le polemiche sui media locali
sono durate per settimane.
La servile questura ha dunque ritenuto di imporre delle rigide
prescrizioni alla manifestazione prevista per sabato 24: niente
preghiera durante il corteo (sebbene fosse stata ipotizzata in una
piazza dove non sorgono chiese), e soprattutto divieto di attraversare
le vie dello shopping (via Indipendenza e Rizzoli) e di arrivare in
Piazza Maggiore: insomma, fuori l'islam dal salotto buono della
città.
Mentre chiudiamo questo numero del giornale, i promotori del corteo
devono ancora riunirsi per valutare la risposta a tali divieti. Pare
tuttavia molto probabile che verrà rifiutato il divieto di
accedere al centro storico.
Da atei e anarchici, poco o nulla ci interessano, solitamente, le
dispute religiose. Ma qui la questione confessionale è un
paravento dietro cui nascondere una grave limitazione istituzionale
alla libertà d'espressione, la volontà di marginalizzare
le comunità migranti e la loro rabbia, e di tenere al di fuori
lo sdegno per la ferocia dello Stato d'Israele dei luoghi dove Bologna
si rappresenta opulenta, ordinata e pacificata.
BzK
Trieste
Sabato 17 un affollato corteo-fiaccolata ha attraversato il centro
città. Oltre 1.500 persone hanno raccolto l'appello lanciato da
una serie di associazioni pacifiste e della sinistra più o meno
istituzionale: un numero oltre ogni previsione vista anche la non
ottima organizzazione dell'iniziativa. Alla testa del corteo la piccola
comunità palestinese presente in città che urlava a gran
voce la propria rabbia. Fra i vari spezzoni anche uno striscione degli
skinheads della RASH (red and anarchist skinheads) alla loro prima
uscita pubblica.La presenza anarchica era visibile anche con un paio di
bandiere e la diffusione di Umanità Nova e Germinal. Il corteo
–che si è svolto tranquillamente e senza provocazioni- si
è concluso nella piazza di partenza dove nei vari interventi al
microfono, oltre alla solidarietà alla popolazione palestinese,
è stata espressa solidarietà a tutte le minoranze
israeliane che lottano contro il proprio governo responsabile di questa
strage.
F.
Pordenone
Anche a Pordenone s'è svolto l'info-point "fermare il massacro a
Gaza" lanciato da Iniziativa Libertaria e USI-AIT accolto poi dal
Coordinamento "per la pace a Gaza". L'iniziativa, svolta in una delle
piazzette più frequentate del centro, ha veduto un centinaio di
partecipanti fissi al presidio e momenti di quasi 200 persone nella
prima mezz'ora di proiezione e interventi. Sono state videoproiettate
delle foto sul massacro in corso che ci restituisce all'oggi 1200
vittime di cui 500 bambini. Il presidio aveva l'intento di andare oltre
gli slogan e i cortei per fermarsi e "mostrare, raccontare, informare"
sapendo che la prima vittima della guerra è la verità.
Infatti in contemporanea da un altra piazza partiva un corteo indetto
da Michelangelo Agrusti, oltre che ex onorevole, inprenditore di Onda
Communication, azienda "di successo" che ha direttamente e
indirettamente rapporti commerciali con Israele; alla manifestazione
pro-Israele hanno aderito tutti i partiti del centrodestra oltre che, a
titolo individuale, alcuni esponenti del PD e dei radicali pordenonesi.
La denuncia del carattere affaristico/razzista del corteo integralista
dei politici (massiccia la presenza della Lega con lo slogan "Pordenone
cristiana, mai mussulmana") è stata fatta prima sui giornali e
poi dal presidio che ha avuto come manifesto condiviso tra le
realtà aderenti: la fine dell'aggressione criminale dello stato
di Israele alla popolazione palestinese, l'accesso agli aiuti umanitari
e sanitari, la restituzione delle terre, delle case e della
libertà ai palestinesi, la fine dell'apartheid da parte di
Israele. L'approccio nettamente antimilitarista, antireligioso e
antinazionalista con cui abbiamo chiesto di partecipare al presidio in
solidarietà ai palestinesi è stato accolto anche da oltre
40 immigrati palestinesi e nordafricani che sono rimasti fino alla fine
testimoniando apprezzamento per i diversi interventi al microfono di
anarchici, donne in nero e organizzazioni sindacali di base. Ha invece
preso una posizione di equidistanza alle due manifestazioni il Centro
di preghiera Islamica tramite l'imam di Pordenone a cui però
diversi fedeli non hanno dato ascolto. Non è mancata infine la
condanna ad ogni fondamentalismo che sia ebraico, islamico o cattolico
e a tutti i nazionalismi con l'appoggio incondizionato a tutte quelle
forme di lotta unitaria tra arabi ed ebrei che da diversi anni, taciute
dai media, si danno in quei territori martoriati.
Nestor