Il 29 aprile 2006 oltre un centinaio di precari irruppero mascherati
nel supermercato PLUS nella Calle Arroyo di Siviglia accompagnati dalla
"Virgen de la Precariedad". Per quasi un'ora bloccarono le casse del
supermercato cantando slogan, chiedendo lavoro e diritti sociali per
tutti e uscirono infine dai locali insieme a tre carrelli carichi di
merce. La protesta era stata organizzata per denunciare il
licenziamento di Fatima Fernandez, allontanata dalla proprietà
perchè in stato di gravidanza, e in generale per denunciare la
situazione del lavoro precario e la mancanza di diritti per i
lavoratori, nel quadro delle mobilitazioni per la MayDay 2006. Nicolas
Sguiglia e Javier Toret, rappresentanti sindacali rispettivamente della
CGT e della SOC-SAT intervennero per giungere a un accordo con la
proprietà, sottolineando il carattere pacifico della protesta.
Il gestore del supermercato ha invece denunciato i due compagni alla
polizia accusandoli di essere i responsabile dell'azione. Per questo il
pubblico ministero ha chiesto 2 anni di carcere per il reato di "rapina
con intimidazioni" a seguito dell'esproprio di 3 carrelli con merce per
il valore approssimativo di 287 euro. Il 23 gennaio 2009
inizierà il processo presso il tribunale di Siviglia. E' stato
pertanto diffuso un appello al sostegno ed alla solidarietà da
parte di tutti per chiedere l'assoluzione per i due compagni e per dare
una risposta forte ed unitaria alla criminalizzazione delle lotte
sociali. E' possibile inviare un messaggio di appoggio alla
Confederación General del Trabajo de Andalucía (CGT-A)
andalucia@cgt.es
http://es.youtube.com/watch?v=fTuX8VK4Keg&feature=channel_page
Mercoledì mattina 15 gennaio c.a. una cinquantina tra
poliziotti e carabinieri, assistiti dalla Digos, per la seconda volta
si sono presentati ai cancelli della Innse, azienda metalmeccanica, in
via Rubattino (Milano) per consentire agli 8 camion del proprietario
Silvano Genta di caricare i macchinari, svuotando la fabbrica.
picchetto di duecento persone, tra operai, studenti e militanti
dell'area antagonista, si è opposto decisamente. La tensione,
senza arrivare allo scontro, è durata dalle 6 alle 13,
dopodichè quelle che chiamano "le forze dell'ordine" hanno
desistito.
Come abbiamo già spiegato in un nostro comunicato pubblicato sul
n 31 di UN 2008, quando i 50 dipendenti della Innse in data 31-5-08
hanno ricevuto la lettera di licenziamento, con la comunicazione della
cessazione dell'attività, hanno occupato la fabbrica praticando
l'autogestione della produzione. L'esperienza si è interrotta il
17 settembre, dopo 100 giorni, quando la polizia, in esecuzione del
decreto della magistratura, ha attuato lo sgombero.
Da quel giorno i 49 lavoratori, uno è deceduto nel periodo della
lotta, in maniera compatta presiedono i cancelli, con turni
giornalieri, notturni e festivi, insediati nella portineria, dove hanno
anche allestito una propria mensa.
Vogliono impedire lo smantellamento della fabbrica, determinata solo da
motivi di speculazione edilizia sul territorio, malgrado sia tuttora
produttivamente redditizia.
L'azienda minaccia di cacciare via gli interinali e tu,
sindacalista, decidi di schierarti al loro fianco e combattere questa
ingiustizia? Scontato e matematico che l'azienda, prima o poi, te la
faccia pagare. Il pretesto non fanno fatica a trovarlo,
l'importante per i padroni è dare l'esempio. Infatti, Eugenio
Scogamiglio, delegato della Fiom (membro della Rete 28 aprile) alla
Maserati di Modena, è stato punito con il licenziamento. Non
sempre, però, per le aziende le cose vanno per il giusto verso.
Una sostenuta mobilitazione dei colleghi (sia precari che a tempo
indeterminato) si è schierata contro il licenziamento, decisa a
dire no a questa sopraffazione e a rispondere a quello che viene
vissuto come un vero e proprio sopruso.
Circa un anno fa la strage alla ThyssenKrupp di Torino: 4 operai
bruciati vivi, altri 3 morti dopo giorni di terribile agonia. Oggi ha
preso il via il processo ai vertici dell'azienda, ai quali per la prima
volta viene contestato l'omicidio volontario. Nella fabbrica, con la
complicità dei sindacati confederali, erano stati imposti turni
di lavoro di 12 ore. Subito dopo, tutti a spargere lacrime false e
retoriche: i padroni, i politici, i sindacati confederali.
Nonostante il "nuovo" Testo unico sulla sicurezza, le morti sul lavoro
continuano, al drammatico ritmo "ufficiale" di 4 al giorno, 1.500
all'anno.
In realtà, se ai dati Inail si aggiungono gli incidenti dei
lavoratori, italiani e stranieri, che lavorano in nero e le morti
causate dalle malattie professionali, il numero dei morti sul lavoro e
di lavoro supera l'indegna cifra di 10 morti al giorno.
I morti sul lavoro non sono mai una fatalità: sono parte della
brutalità e della violenza del capitalismo e della sua logica
del profitto; non ci sono vittime del destino, ma lavoratori
assassinati dall'aumento dello sfruttamento e dal cinismo dei padroni.
I lavoratori della Honda Siel Power Products, situata nelle vicinanze di Rudrapur (stato dell'Uttaranchal) India, stanno portando avanti da quasi 2 anni una tenace lotta per opporsi al tentativo della multinazionale nipponica di spostare altrove gli impianti. Situato ai piedi dell'Himalaya, lo stato dell'Uttarachal aveva a suo tempo offerto generosi incentivi ai capitali privati che avessero impiantato industrie nel suo territorio, fornendo gratuitamente energia elettrica, acqua, esenzioni fiscali e addirittura una moratoria nel pagamento delle tasse locali. La Honda aveva quindi nel 1987 iniziato la produzione di pompe per l'acqua, motori e generatori elettrici. Venti anni dopo però, cessate le esenzioni, i sussidi e i benefit governativi, la Honda aveva annunciato la fine delle attività rivelando che, nonostante ciò richiedesse un permesso dello stato dove erano, esse sarebbero state spostate nella Greater Noida Special Economic Zone, nelle vicinanze di Delhi, stato dell'Uttar Pradesh. Con nipponica sicurezza, invece di attendere il beneplacito del governo locale, la Honda aveva annunciato il 1 agosto 2007 l'inizio della dismissione. Di qui erano partite le prime azioni dei lavoratori che hanno alternato iniziative legali ad azioni più immediate, quali il picchettaggio degli impianti. Per molti mesi infatti i lavoratori hanno letteralmente circondato il sito per impedire alla Honda di rimuovere i macchinari e continuano tuttora il blocco nonostante siano stati più volte attaccati dalla Polizia locale ed abbiano addirittura dovuto ingaggiare battaglia contro i picchiatori inviati dalla multinazionale nipponica. Per la fine del mese di gennaio si attende un parere favorevole da parte della locale Corte Suprema sia contro la Honda che contro il comportamento delle forze di polizia locali.
A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
Per contattare questa rubrica: bel-lavoro@federazioneanarchica.org