Umanità Nova, n.4 del 1 febbraio 2009, anno 89

Isola di massima "sicurezza"


Nel bel mezzo del Mediterraneo, alla frontiera più meridionale dell'Europa, le politiche del governo in materia di immigrazione hanno scatenato un vero e proprio cortocircuito. Tensioni accumulate per anni che, in queste ore convulse, hanno trovato sfogo in una protesta popolare che si è fusa in maniera del tutto inedita con le rivendicazioni degli immigrati. Gli abitanti di Lampedusa non hanno affatto gradito la decisione del ministro Maroni di rendere operativo un Centro di identificazione ed espulsione sul versante occidentale dell'isola. Non certo perché i lampedusani siano diventati improvvisamente dei convinti antirazzisti. L'istituzione di un CIE (ex CPT, per intenderci) presuppone la presenza prolungata sull'isola degli immigrati che, in attesa di essere rimpatriati (ovvero deportati), vanno sottoposti a una formale procedura di identificazione che dura sessanta giorni. Ciò significa che la presenza di immigrati sull'isola siciliana aumenterebbe in maniera esponenziale caratterizzando ulteriormente Lampedusa come un'isola-lager, vero e proprio carcere a cielo aperto.
Nelle parole del sindaco De Rubeis e dei vari capi-popolo che hanno guidato i cortei e i presidi contro l'istituzione del nuovo campo di internamento, emerge la preoccupazione che l'immagine turistica di Lampedusa possa essere compromessa irrimediabilmente dalle scelte del governo. A tutto questo bisogna aggiungere la particolarità del contesto storico-sociale lampedusano senza il quale diventa impossibile leggere gli avvenimenti di questi giorni in maniera corretta. Lampedusa è sempre stata trattata dallo stato come un'isola di frontiera, fortemente militarizzata e utilizzata con funzioni repressive e carcerarie. La sua lontananza geografica ha sempre fatto il paio (sin dai tempi dei Borboni che la fecero ripopolare dopo secoli di abbandono) con una lontananza economica e sociale che non si è certamente alleviata con l'avvento dell'unità d'Italia. Ancora oggi, il carattere tipicamente "isolano" degli abitanti di Lampedusa rappresenta un tratto peculiare costantemente esacerbato se si considera l'atavica frustrazione di chi si è sempre sentito abbandonato dalle istituzioni che non erogano servizi e non garantiscono l'effettiva uguaglianza di opportunità e diritti che sono invece riservati agli italiani che vivono nel continente. Ecco perché, solo pochi anni fa, Lampedusa ha votato in massa Lega Nord promuovendo l'ineffabile Angela Maraventano alla carica di vicesindaco.
Negli ultimi anni, Lampedusa è riuscita a consolidare per la sua economia una nicchia di mercato turistico particolarmente prestigioso. Artisti, attori, cantanti e altra "bella gente" hanno fatto di Lampedusa la loro meta preferita per le loro vacanze di lusso. La paventata trasformazione di questo paradiso terrestre in lugubre carcere a cielo aperto diventa quindi intollerabile per chi – sindaco, rappresentanti di categorie produttive, comuni cittadini – vogliono difendere con le unghie e i denti la loro bella isola.
Alla luce di ciò è opportuno non fraintendere quanto è accaduto il 24 gennaio, quando centinaia di immigrati, dopo aver forzato i cancelli del centro di prima accoglienza, si sono recati in paese per unirsi alle manifestazioni popolari raccogliendo gli applausi solidali della folla che manifestava contro il nuovo lager. Che non si siano verificati episodi di intolleranza o di rabbia irragionevole è di per sé confortante. Ma non bisogna trascurare il fatto che, dopo le manifestazioni, gli stessi lampedusani si sono prodigati – telefonini alla mano – a rintracciare i migranti che girovagavano per Lampedusa riportandoli giudiziosamente al centro di accoglienza.
Le aspre contestazioni all'indirizzo della Maraventano (oggi senatrice del Carroccio) rappresentano, in maniera quasi teatrale, le contraddizioni di un governo che – proprio a Lampedusa – credeva di poter giocare in casa. D'altra parte, le politiche sull'immigrazione sono sempre state improntate alla repressione più feroce. E proprio la Lega Nord ha sempre invocato più CPT e più deportazioni per gestire i flussi migratori. Oggi, il ministro dell'interno non fa che ribadire un approccio ampiamente collaudato coinvolgendo in queste scelte la frontiera sud dell'Italia, quella stessa Lampedusa che ha regalato alla Lega Nord un consenso elettorale apparentemente paradossale.
Al di là delle proteste lampedusane e della proverbiale cialtroneria della classe politica di questo paese, il caso-Lampedusa è emblematico della drammatica impossibilità di gestire i flussi migratori attraverso la repressione nuda e cruda. C'è un mondo di disperati che preme alle nostre porte e non saranno certo i governi a impedire che gli esseri umani si riapproprino del loro diritto a vivere in libertà.

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