"Il giardino dei limoni" regia di Eran Riklis (Israele, 2008)
Un film che racconta la storia di Salma e dei suoi alberi da limone.
Alberi che aveva piantato il padre cinquant'anni prima in un terreno
ricco e ben irrigato e che erano cresciuti negli anni sempre più
rigogliosi e forti. Fin qui è una storia normale, comune. Ma
Salma è palestinese della Cisgiordania, il suo terreno è
al confine con Israele e il suo vicino è il ministro della
difesa israeliano. Ecco allora che il limoneto non è più
una modesta fonte di reddito ricca di ricordi, ma un pericoloso
possibile nascondiglio da cui effettuare attacchi terroristici alla
casa del ministro. Di fatto, quest'ultimo è troppo preso dai
suoi impegni politici (la costruzione del muro) e dall'amante (non in
quest'ordine), per cui l'unica abitante della casa è la moglie,
circondata da guardie del corpo e da militari. Lo scenario di guerra
(coloniale) permanente e di apartheid ci viene mostrato attraverso la
storia delle due donne e della loro solitudine. La solitudine è
infatti il comun denominatore tra queste due donne che, per il resto,
hanno vite diametralmente opposte.
La solitudine di Salma, vedova, con i figli emigrati e quel modesto limoneto per sopravvivere.
La solitudine di Mira, con un marito assente, una figlia lontano, una
vita piena di cose, oggetti, ma senza affetti veri. Molti diranno "il
solito polpettone", e invece no, perché attraverso questo
sguardo intimo e personale, ci perviene di riflesso, filtrato e
ovattato ma non per questo meno straziante, l'assurdità
della segregazione del popolo palestinese e il suo status di
non-persone.
Tornando alla storia, il ministro della difesa ordina che gli alberi
siano sradicati. Il campo di Salma viene recintato e lei tenuta a
debita distanza dai fucili dei soldati. Lei non vuole arrendersi e, con
l'aiuto di un giovane avvocato, presenta ricorso al tribunale
israeliano, fino ad arrivare alla corte suprema. Non voglio svelarvi il
finale, lo lascio alla vostra immaginazione. La fine, silenziosa,
assorda per il carico di tristezza e "indignazione" che lascia. Cala,
ancora una volta, ricoprendo tutto, il sipario, pardon, il muro.
Jacopo