Umanità Nova, n.4 del 1 febbraio 2009, anno 89

Il giardino dei limoni


"Il giardino dei limoni" regia di Eran Riklis (Israele, 2008)

Un film che racconta la storia di Salma e dei suoi alberi da limone. Alberi che aveva piantato il padre cinquant'anni prima in un terreno ricco e ben irrigato e che erano cresciuti negli anni sempre più rigogliosi e forti. Fin qui è una storia normale, comune. Ma Salma è palestinese della Cisgiordania, il suo terreno è al confine con Israele e il suo vicino è il ministro della difesa israeliano. Ecco allora che il limoneto non è più una modesta fonte di reddito ricca di ricordi, ma un pericoloso possibile nascondiglio da cui effettuare attacchi terroristici alla casa del ministro. Di fatto, quest'ultimo è troppo preso dai suoi impegni politici (la costruzione del muro) e dall'amante (non in quest'ordine), per cui l'unica abitante della casa è la moglie, circondata da guardie del corpo e da militari. Lo scenario di guerra (coloniale) permanente e di apartheid ci viene mostrato attraverso la storia delle due donne e della loro solitudine. La solitudine è infatti il comun denominatore tra queste due donne che, per il resto, hanno vite diametralmente opposte.
La solitudine di Salma, vedova, con i figli emigrati e quel modesto limoneto per sopravvivere.
La solitudine di Mira, con un marito assente, una figlia lontano, una vita piena di cose, oggetti, ma senza affetti veri. Molti diranno "il solito polpettone", e invece no, perché attraverso questo sguardo intimo e personale, ci perviene di riflesso, filtrato e ovattato ma non per questo meno straziante,  l'assurdità della segregazione del popolo palestinese e il suo status di non-persone.
Tornando alla storia, il ministro della difesa ordina che gli alberi siano sradicati. Il campo di Salma viene recintato e lei tenuta a debita distanza dai fucili dei soldati. Lei non vuole arrendersi e, con l'aiuto di un giovane avvocato, presenta ricorso al tribunale israeliano, fino ad arrivare alla corte suprema. Non voglio svelarvi il finale, lo lascio alla vostra immaginazione. La fine, silenziosa, assorda per il carico di tristezza e "indignazione" che lascia. Cala, ancora una volta, ricoprendo tutto, il sipario, pardon, il muro.

Jacopo

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