Umanità Nova, n.5 dell'8 febbraio 2009, anno 89

Alcune considerazioni sull'accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali


L'accordo sulla riforma della contrattazione firmato nei giorni scorsi da governo, associazioni padronali e sindacati concertativi, proietta chi lavora in Italia in un futuro veramente nero.
Per ora la C.G.I.L. si è smarcata, probabilmente è una presa di posizione tattica per non dover affrontare un uragano di coriandoli fatti con le tessere stracciate e nel contempo per tentare di riempire quel vuoto a sinistra lasciato libero dai partitelli comunisti trombati alle elezioni (a pensar male si fa peccato ma…).
Com'era facile prevedere, la proposta presentata dai tre segretari generali di C.G.I.L. C.I.S.L. e U.I.L. lo scorso maggio è stata superata in peggio – e di parecchio – da questo nuovo accordo che dà il colpo finale a salari e stipendi già massacrati dagli accordi di luglio '93.
Già dalle premesse si capisce il tenore dell'accordo: vi si parla infatti di obiettivi come "lo sviluppo economico e la crescita occupazionale fondata sull'aumento della produttività, l'efficiente dinamica retributiva e il miglioramento di prodotti e servizi resi dalle pubbliche amministrazioni".
La difesa del potere d'acquisto delle retribuzioni non compare, sostituita dall'efficienza della dinamica retributiva, dove dinamica vuol dire che si muove, efficiente che si muove verso il basso.
Da quando gli accordi di luglio del '93 affossarono definitivamente la scala mobile, un parziale recupero dell'inflazione era ottenuto nella contrattazione nazionale sulla base della famigerata "inflazione programmata"; ora quell'incredibile presa in giro ha fatto il suo tempo e viene sostituita da un altro indice che si fregia dell'oscuro acronimo I.P.C.A. e che sarà applicato non su tutto il salario, ma solo su un "valore retributivo individuato dalle specifiche intese" ossia ad una non meglio specificata quota della retribuzione, probabilmente il solo "tabellare" o "paga base".
Ma non è finita: da quell'indice verrà tolta l'inflazione derivata dai prodotti energetici importati, semplicemente la maggior fonte di aumento dei prezzi negli ultimi anni, basti pensare alle bollette, ma anche agli aumenti dei prodotti, compresi gli alimentari, conseguenti agli aumenti dei prezzi di gas, elettricità importata e petrolio; tutti noi paghiamo quegli aumenti, ma la contrattazione li esclude dalla busta paga.
Detto questo parrebbe abbastanza, ma non è così: al punto 16 dell'accordo è prevista la possibilità – che profetizziamo sarà ampiamente sfruttata dai padroni – che il CCNL subisca modifiche "sia per la parte salariale che normativa" nella contrattazione di secondo livello, aziendale e territoriale, al fine di "tener conto di situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico e occupazionale." Questa è la fine del contratto nazionale, strumento imperfetto e farraginoso, ma che pure introduceva un elemento di pur tenue omogeneità nei trattamenti economici, stabilendo un minimo al di sotto del quale non si poteva scendere, e stabilendolo per tutto il paese; da ora ritornano le gabbie salariali, a livello territoriale e di settore.
Altro aspetto peggiorativo rispetto al modello precedente, la vigenza sarà triennale sia per la parte normativa che salariale, come dire che da ora in avanti potranno peggiorare le condizioni di lavoro ogni tre anni invece che ogni quattro e il potere d'acquisto sarà parzialmente adeguato ogni tre anni invece che ogni due.
L'eventuale differenza tra I.P.C.A. e inflazione "reale", sempre decurtata della componente energetica, saranno conguagliate nel corso della vigenza da parte di una commissione paritetica composta come al solito da padronato e sindacati collaborazionisti; questo per il privato, perché nel pubblico impiego va ancora peggio, non prevedendo nessun aggiustamento in corso d'opera e demandando gli "adeguamenti" al successivo triennio.
Tra l'altro nel pubblico gli adeguamenti salariali saranno definiti dai ministeri in concerto con le solite burocrazie sindacali, quindi non c'è inflazione che tenga: le risorse le stabilisce il governo.
C'è poi la questione della rappresentanza e dei diritti sindacali: di fatto questi ultimi non sono più in capo ad ogni singolo lavoratore, ma saranno accordi successivi, siglati sempre dai soliti compari, a decidere quali sindacati possono trattare e quali no, quali proclamare gli scioperi e quali no.
Inutile fare scommesse su quali organizzazioni resteranno fuori dalla lista.
Per di più gli scioperi non potranno aver luogo nel periodo di "tregua sindacale" durante le trattative per i rinnovi contrattuali: ma se non si sciopera durante le trattative quando ha senso farlo?
Con questo vogliono dare la mazzata finale alla pratica dello sciopero, dopo che negli ultimi anni con le norme sempre più restrittive nei pubblici servizi, con la concertazione e con la sterilizzazione delle lotte da parte di C.G.I.L. C.I.S.L. e U.I.L. si era indebolito questo essenziale strumento di lotta.
La contrattazione di secondo livello – sempre triennale – sarà regolata da "specifiche intese" e determinata sulla base "di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all'andamento economico delle imprese"
Se le aziende decideranno di elargire tale salario accessorio saranno premiate da sgravi fiscali e contributivi, tutto a spese pubbliche; se gli strumenti di finanza creativa che oggigiorno tutti gli imprenditori adottano saranno congegnati in modo da far risultare pochi utili, non dovranno nemmeno corrispondere il secondo livello: come si dice, sono in una botte di ferro.
E' prevista la riduzione del numero dei C.C.N.L. nei diversi settori con accorpamenti e allineamenti al peggio tra i vari contratti e con conseguenze gravi sulla rappresentatività sindacale, con il tentativo di estromettere i sindacati di base oltre che di annullare o limitare fortemente qualunque possibilità di partecipazione dei lavoratori in sede di definizione delle piattaforme e di proclamazione delle lotte.
Ma a questo punto ci si chiederanno le ragioni che hanno spinto le confederazioni firmatarie ad essere complici di un così duro attacco ai lavoratori: è presto detto, e non riguarda solo la faccenda della rappresentanza, sarebbe troppo poco.
Quello che ottengono in cambio sta scritto in tre righine al punto 4: "la contrattazione collettiva nazionale o confederale può definire ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento di servizi integrativi di welfare".
Significa che imprese e sindacati potranno costituire INSIEME enti di diritto privato per l'erogazione ad esempio di sussidi o integrazioni al reddito, finora compiti esclusivi di enti pubblici come l'INPS, oppure collocamento e intermediazione di manodopera: il solito caporalato, solo che da ora in poi non sarà più gestito da loschi personaggi che reclutano i muratori all'alba in un parcheggio fuori mano, ma dai rispettabili funzionari di C.I.S.L. U.I.L. CONFINDUSTRIA e soci.
Dopo i fondi pensione, un'altra occasione per speculare sulla pelle dei lavoratori.
Inutile dire che di fronte ad un attacco del genere serve una mobilitazione altrettanto forte, che abbia per obiettivo non solo rispedire al mittente ed invalidare questo accordo infame, ma che metta in chiaro una volta per tutte che gli interessi dei lavoratori da una parte e quelli di aziende, politicanti e sindacati di regime dall'altra sono inconciliabili; finirla una buona volta con il modello concertativo e rifiutare l'assimilazione e il corporativismo saranno le condizioni minime per risalire la china e riprendere la lotta partendo dalla giusta prospettiva di classe.

La commissione mondo del lavoro della F.A.I


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