Il "pacchetto sicurezza", ormai alla fase finale del suo iter
parlamentare, è un altro passo verso un diritto diseguale, in
cui non conta quello che fai ma quello che sei. È il presupposto
di ogni legge razzista. È il presupposto di ogni stato di
polizia. Nel mirino i migranti, i poveri, i senza casa e chiunque si
opponga all'ingiustizia e alla discriminazione. Il pacchetto sicurezza
aumenta il potere discrezionale della polizia, colpisce i senza casa,
rende difficili i ricongiungimenti familiari e il matrimonio degli
stranieri, sanziona duramente chi scrive la propria su un muro o dice
ad alta voce quello che pensa di giudici, poliziotti, parlamentari,
ministri, vigili.
Un po' ovunque è cresciuta l'opposizione alla sua approvazione e
nel contempo la spinta a lottare per incepparne il meccanismo. La
Federazione Anarchica di Torino ha organizzato due iniziative di
informazione e lotta: un punto informativo e un'assemblea. Al punto
info, aperto nella centralissima via Po giovedì 29, oltre a
volantini informativi, è stata esposta una mostra con la
descrizione dei punti salienti del provvedimento.
Venerdì 30 si è svolta un'assemblea molto partecipata,
che, dopo l'introduzione di Simone Bisacca, un compagno avvocato, ha
visto svilupparsi un intenso dibattito.
Particolare attenzione è stata riservata alle norme che
obbligano i medici a chiedere i documenti e a denunciare chi non li ha.
Questa disposizione, se applicata, di fatto metterà in pericolo
la salute dei senza carte, che, per timore della deportazione, non
oseranno rivolgersi ad un dottore o andare al pronto soccorso. Per
fortuna sta crescendo il disagio di medici e infermieri nei confronti
di una legge che li obbliga a venir meno al loro compito di assistenza:
numerose sono state le adesioni ad un appello all'obiezione diffuso da
"medici senza frontiere", nel quale dicono di non essere e di non voler
diventare spie. La disamina del pacchetto si è poi centrata su
altri aspetti non meno gravi: dalla detenzione nei CPT/CIE prolungata
sino ad un anno e mezzo alla galera sino a tre anni per insulto a
pubblico ufficiale sino alla schedatura dei senza dimora e alla
negazione della residenza per chi non ottiene l'idoneità
abitativa per il proprio alloggio. Ne conseguirà che i poveri,
quelli che non possono permettersi di pagare una casa decente, privati
della residenza, non potranno avere un medico né iscrivere i
figli a scuola. La povertà diventa reato da punire.
In questo modo, dicono, ci sentiremo tutti più sicuri.
R. Em.
Domenica 1 febbraio, dalle 10.00 alle 18.00 si è tenuta,
presso il Circolo Anarchico dei Malfattori, una coordinazione anarchica
a cui hanno partecipato una trentina di individualità
provenienti dal Centro-Nord e Sardegna avente principale argomento come
arrivare alla scadenza del G8 che si terrà ai primi di luglio
all'isola della Maddalena in Sardegna.
Si è convenuto che il percorso di contestazione debba
caratterizzarsi in senso antimilitarista anarchico con una sua
specificità data dalla capacità di radicarsi sul
territorio attraverso pratiche quotidiane che sappiano raccordare tutti
i diversi aspetti dell'attuale militarizzazione della vita nelle
città e territori e che sappia anche rifuggire da logiche di
scontro e assalti a future "zone rosse" enfatizzate mass-mediaticamente.
I convenuti si sono dati una agenda di lavoro che produrrà
volantoni e opuscoli attraverso sia l'utilizzo della rete internet sia
attraverso specifiche iniziative assembleari e di lotta
(contro-vertice Nato, ecc.).
Il prossimo appuntamento sarà il 15 marzo 2009, a partire dalle
10.30, presso il "Perla Nera" di Alessandria e lo sviluppo del percorso
sarà possibile seguirlo attraverso il sito
www.anarchiainazione.org
L'assemblea si è conclusa con la partecipazione ad un corteo
spontaneo per il quartiere Ticinese nato in solidarietà al
C.S.O.A. "Cox 18" da poco sgomberato dal Comune di Milano.
L'incaricato
Oltre trecento profughi e rifugiati dal Sudan, Somalia, Eritrea,
Etiopia vivono in due case occupate, l'ex palazzina dei vigili urbani
di via Bologna e l'ex clinica S. Paolo di corso Peschiera.
L'ex clinica S. Paolo, ribattezzata dagli africani "casa bianca",
ospita 200 uomini, donne e bambini. La "casa bianca" è da tempo
sotto sgombero: i proprietari non vogliono rinunciare ad uno stabile di
gran valore e il comune non è disposto ad acquisirlo per un uso
pubblico. In questi mesi la giunta Chiamparino deve fare i conti con il
prevedibile buco olimpico e, per fare cassa, si sta vendendo persino i
giardinetti pubblici. Non ultimo quello di via Medici, dove si trova la
Boccia Squat.
Il comitato di sostegno ai profughi, costituito principalmente da
esponenti dei centri sociali post disobbedienti e post autonomi ha
comunque scelto la strada della trattativa con il comune.
Martedì 27 gennaio era previsto un incontro tra una delegazione
di profughi e gli assessori Borgione e Borgogno: per l'occasione era
stato indetto un presidio di fronte al Comune di Torino. L'incontro era
stato organizzato da alcune moderatissime associazioni antirazziste,
quelle che vivono grazie alle sovvenzioni comunali.
Borgione e Borgogno chiariscono che lo sgombero può essere
"soft" ma deve essere rapido: in ballo ci sono i 200mila euro che il
Comune ha stanziato per la cosiddetta "emergenza freddo" e che certo
non può spendere a marzo. 200mila euro fanno gola a tanti ed
ecco pronta la proposta dei due assessori. A 80/90 uomini (niente
donne, niente bambini, niente per tutti gli altri) la Croce Rossa mette
a disposizione le brande del nuovo cpa informale che gestisce a Settimo
Torinese. Di giorno i profughi potranno recarsi in qualche circolo Arci
per una non meglio precisata formazione. Colazione e cena al sacco e
poi tutti a nanna con le galline. Lauti guadagni per tutti i compagni
di merende.
I profughi rispediscono al mittente l'indecente proposta, i due
assessori se ne lavano le mani rimandando la decisione sullo sgombero
al prefetto.
Il presidio di fronte al municipio si trasforma in corteo verso la
prefettura, dove, invece del prefetto, sono in attesa gli uomini
dell'antisommossa. Parte una prima carica alla quale i manifestanti
rispondono come possono: cassonetti, panchine e qualche sasso. Le
cariche si susseguono con grande violenza: gli uomini in divisa
inseguono i cento profughi e solidali sin nelle vie limitrofe. Cinque
poliziotti si fanno medicare per lievi ferite, diversi manifestanti
hanno sul corpo i segni dell'attenzione dello Stato nei confronti delle
questioni sociali.
Un ragazzo del comitato di sostegno, caduto a terra durante la
ritirata, viene circondato da otto poliziotti che infieriscono a lungo
su di lui. Una mano rotta, una spalla lussata e la faccia gonfia sono
il risultato dell'azione dei tutori del disordine statale.
A Torino il governo ha celebrato a suo modo il giorno della memoria.
Il giorno dopo i giornali parlano di "assalto alla questura" e
"guerriglia" per le vie del centro. Profughi e solidali sono
pesantemente criminalizzati.
Il sabato successivo al presidio di fronte alla prefettura convocato
per il pomeriggio i partecipanti sono almeno il triplo del
martedì precedente. Dopo un'ora di comizi i trecento
antirazzisti, tra cui uno spezzone della FAI torinese, partono in
corteo alla volta di Porta Palazzo, dove attraversano il grande
mercato, per poi dirigersi alla RAI dove la manifestazione si conclude.
I rifugiati ribadiscono quanto già affermato durante l'assemblea
svoltasi subito dopo le cariche: la loro volontà di resistere,
di lottare per un futuro, per una vita come "ogni altro essere umano".
R. Em.
Cinquanta profughi provenienti da Eritrea, Etiopia e Somalia hanno
dato vita a una manifestazione di protesta per le strade di Massa. La
loro richiesta era semplice quanto necessaria: ottenere lo status di
rifugiato politico e poi raggiungere Germania e Francia dove risiedono
le famiglie di molti di loro e dove alcuni avrebbero già trovato
lavoro.
Arrivati a Massa alla fine di luglio da Lampedusa e parcheggiati presso
il centro di prima accoglienza della CRI a La Partaccia, erano ancora
in attesa di ottenere quella carta bollata che gli era stata promessa
qualche mese fa durante un primo incontro con il prefetto di Massa
Carrara.
Dopo mesi di attesa, vissuti in condizione di precarietà e
indecisione, senza sapere cosa sarebbe stato del loro futuro, hanno
deciso di rompere gli indugi e scendere in piazza. Protestare per un
diritto inalienabile, quello di vivere liberi, che oggi viene negato
sempre più spesso; protestare per una libertà che
dovrebbe essere requisito fondamentale di ogni società civile
che tale si ritiene. Lunedì mattina, usciti dal centro della
CRI, si sono incamminati diretti alla prefettura con l'intento di
occuparla, ma sono stati bloccati da una cinquantina tra poliziotti e
carabinieri. A quel punto hanno deciso di bloccare una delle piazze
centrali di Massa con un sit-in improvvisato.
Dopo un paio d'ore passate tra spinte e urla, reclamando il proprio
diritto è arrivata la risposta: una bella dose di manganellate,
cura oramai riservata a chiunque si opponga a questo stato.
Bilancio della giornata: vari feriti, un arrestato per lesioni e
resistenza a pubblico ufficiale, 28 denunciati per resistenza e
manifestazione non autorizzata e il questore di Massa Carrara, Paul
Nash, che afferma: "Gli agenti non attaccano, ma si difendono dalla
resistenza di chi si butta per terra…"!!!!!
L'incaricato
Nella ricorrenza della Giornata della Memoria il centro sociale TPO
ha organizzato un'affollata assemblea cittadina sul tema
«Chiudere CasaPound. A Bologna e ovunque. Ora». In effetti,
spesso l'apertura di nuove sedi di CasaPound è concomitante con
l'aumento di aggressioni e intimidazioni sul territorio. E la loro
propaganda razzista è tanto più insidiosa in quanto
è fondata sul mimetismo, su demagogiche campagne
«sociali», sulla capacità di imitare i linguaggi
della contemporaneità. Non è certo una forzatura
coniugare la memoria dello sterminio nazista e la presa di coscienza
che esistono ancor oggi realtà neofasciste d'ispirazione
xenofoba, omofoba e copertamente antisemita. Di qui la
necessità, ribadita da più interventi, di fare inchiesta
e controinformazione per smascherare e isolare quei gruppi che
diffondono violenza e intolleranza.
Nel suo intervento, Luca Alessandrini (Istituto Parri) ha osservato che
l'imitazione di linguaggi e pratiche di sinistra (anticapitalismo,
antimperialismo, case occupate, centri sociali) non è affatto un
fenomeno nuovo: già il fascismo fu una declinazione autoritaria
e razzista delle prospettive di rivoluzione sociale. Ciò che
è nuovo e distingue il fascismo storico dal neofascismo è
il meccanismo della «vittimizzazione»: i «fascisti
del terzo millennio» di CasaPound si atteggiano costantemente a
«vittime». Anzi, come è accaduto a Piazza Navona,
preparano e pianificano la scena commovente della loro
«vittimizzazione» mediatica.
Ma dietro tutto questo artefatto vittimismo, vi è la
rivendicazione del diritto preventivo a reagire e a
«difendere» la «nazione» con la violenza. Vi
è la pretesa di combattere contro quei soggetti
«impuri» che «contaminano» la loro delirante
idea di società chiusa (stranieri, gay, lesbiche, antifascisti,
capelloni, femministe, malvestiti, antipatrioti, spiriti critici,
ecc.). Proprio il nesso vittimismo-violenza, secondo Alessandrini,
promuove un nazionalismo identitario fondato sull'esclusione e tipico
delle destre (Lega Nord, Forza Nuova, AN, ecc.).
Era presente il presidente del quartiere S. Stefano Andrea Forlani (PD)
che ha assicurato l'apertura di un'inchiesta istituzionale sul
neofascismo a Bologna. Forlani, che un anno fa era rimasto sordo alle
richieste di non concedere sale pubbliche ai neofascisti, ha
dichiarato: «CasaPound non potrà utilizzare sale pubbliche
per la presentazione di idee e principi in contrasto con le idee e i
principi su cui questa società si basa»... Sono poi
intervenuti anche compagni di Antagonismogay, dell'Onda, del collettivo
femminista "Guai a chi ci tocca!", dell'Assemblea antifascista
permanente, di ECN antifa.
Certo, secondo noi la parola d'ordine «chiudere CasaPound»
non va presa alla lettera. Non si tratta infatti di chiedere alle
istituzioni la chiusura delle sedi neofasciste. Ogni volta che lo stato
ha decretato dall'alto lo scioglimento di sigle e partiti neonazisti,
essi si sono sempre ricostituiti sotto nuove forme, con in più
una legittimazione anti-sistema. Si pensi solo allo scioglimento di
Base Autonoma nel 1993 (secondo la legge Mancino): il risultato fu
quello di farli uscire dall'angolo con una più acuta
capacità di trasformismo e di iniziativa culturale. Per noi
«chiudere CasaPound» vuol dire piuttosto contrastare nella
testa della gente ogni spazio per stereotipi razzisti e nazionalisti.
Vuol dire chiudere gli spazi di agibilità sociale e mentale per
chi predica e pratica l'odio e l'intolleranza. Non a caso l'assemblea
del 27 gennaio è diventata il punto di partenza di una
più ampia mobilitazione cittadina: il primo appuntamento
sarà sabato 7 febbraio, giornata dedicata a informare il
quartiere e chi lo vive della presenza del gruppo neofascista
CasaPound, secondo la modalità dell'«escrache» (il
volantinaggio a zonzo per un quartiere, usato in Cile per denunciare
gli ex-torturatori del regime di Pinochet). Contrastare il neofascismo
si può, si deve, con l'azione sociale e la solidarietà di
tutti gli oppressi!
Redb
Venerdi 30 e sabato 31 gennaio il Coordinamento migranti ha tenuto
diversi presidi di protesta in solidarietà con un lavoratore
recentemente licenziato dalla Coop adriatica (vedi UN n.2) smascherando
le politiche antioperaie di quest'organizzazione. Una cooperativa
guidata dalle logiche del profitto e dell'ipersfruttamento, come
qualsiasi azienda. Tanto davanti agli uffici, quanto ai punti vendita e
alle nuove librerie sono stati dati mille volantini, megafonato,
esposto striscioni. Studenti e sindacati di base, hanno portato la
propria solidarietà. "Babacar deve essere reintegrato!", questo
è il chiaro messaggio. Il suo licenziamento ha il sapore della
vendetta contro chi - sfidando l'acquiescenza della CGIL sindacato
egemone ampiamente coinvolto più dalla parte degli uffici
amministrativi che dalla parte operaia - reclama dignità, ad
esempio un orario "umano" e difende i propri diritti, come esigere il
normale pagamento dei turni serali. Per altre info:
http://www.coordinamentomigranti.splinder.com
Redb
«Al fine di salvaguardare la tradizione culinaria e la
tipicità architettonica, strutturale, culturale, storica e di
arredo non è ammessa l'attivazione di esercizi di
somministrazione, la cui attività sia riconducibile ad etnie
diverse».
Diverse da chi, da cosa? Viene spontaneo chiedersi. Dimmi cosa mangi e
ti dirò chi sei; pare che a Lucca abbiano bene in mente questo
detto visto che per salvaguardare "la cultura e la tradizione locale"
hanno pensato bene di vietare all'interno delle mura cittadine
l'apertura di nuovi locali adibiti alla ristorazione che non siano di
stretta osservanza culinaria Lucchese.
Quindi d'ora in avanti niente ristoranti cinesi o giapponesi, niente
locali tipici Western Style, niente Kebab, niente MacDonald?
Oppure questi ultimi saranno invece graziati? E le pizzerie al taglio?
Nemmeno queste sfuggiranno alla severità del divieto in quanto
portatrici di una tradizione gastronomica "riconducibile ad etnia
diversa"?
Per mangiare qualcosa che non sia la classica zuppa di farro, un piatto
di fagiolo rosso, il castagnaccio il comune cittadino Lucchese
dovrà quindi emigrare in periferia?
La scempiaggine della Giunta Comunale Lucchese – destrorsa per antica
tradizione cittadina – evidenzia che ci si è oramai spinti oltre
i limiti dell'umana intelligenza sino a pretendere di mettere le mani a
proprio insindacabile giudizio nel piatto altrui.
Al di là però della prima e superficiale sensazione di
fastidio, è opportuno approfondire il significato recondito di
tale disposizione comunale, un divieto che ci offre – se ancora ce ne
fosse bisogno in questa spaventata Italietta di inizio 21mo secolo – un
indizio lampante della inadeguatezza culturale che aleggia nel nostro
sventurato Paese, una prova di come il comune sentire si sia man mano
rinserrato tra le mura di casa, spaventato e quasi oltraggiato da
qualsiasi segno, evento o simbolo che non possa essere immediatamente
ricondotto al proprio vissuto specifico, ovvero alla Tradizione,
vera o creata ad arte come il mito Celtico o Padano della Lega
(ricordiamoci l'annuale cerimonia alle sorgenti del Po).
Colui che pretende di vietare ad altri tutto ciò che è in
contrasto con la Tradizione lo fa, o almeno crede di farlo, per
tutelare la pretesa "identità" del suo popolo e vive come un
affronto qualsiasi cosa non faccia parte delle abitudini che lui
immagina siano comuni a tutti. Ha, della cultura di un popolo, una
visione errata, perché la considera unicamente sulla base
delle credenze più diffuse, o di quelle che lui reputa
tali, considerandole al tempo stesso gravemente minacciate mentre, in
realtà, è proprio lui – nella sua singola
identità, nel suo vissuto quotidiano - che avverte la
presunta minaccia.
Di conseguenza, tende a considerare tutto ciò che a questa
presunta cultura non si adegua come un pericolo, da isolare
immediatamente prima che dilaghi ed insozzi o disgreghi la Tradizione,
un "bene" che i tradizionalisti vivono invece con una perenne sindrome
da assedio, come se ogni possibile fenditura rappresenti il sicuro
presagio di un crollo sistemico e definitivo della propria personale
miseria.
Il vero tradizionalista non capirà MAI che l'identità di
un popolo o di una comunità è storicamente stata oggetto
di mutamenti dovuti ai contatti con altre culture, alle migrazioni
interne ed esterne, e persino alla contaminazione della tradizione
culinaria! Non riesce a capire che la cultura non è un qualcosa
di immobile e definitivo, ma una sintesi di culture diverse, formatasi
nel corso della storia umana e che quindi ha bisogno, pena la decadenza
e l'insterilimento, di continuare a formasi, evolvendosi anche mediante
il contatto e la contaminazione con culture diverse provenienti da
altri paesi.
A riprova della destabilizzazione e della miseria culturale Italica,
resta solo da dire che il divieto Lucchese sta purtroppo facendo scuola
altrove; dove direte voi? Ovviamente nel profondo Nord Leghista con la
benedizione del Ministro Zaia!
Arriveremo a dover cucinare piatti tipici pugliesi, la pizza margherita o il Cous Cous nelle catacombe?
V. Nozières