Umanità Nova, n.7 del 22 febbraio 2009, anno 89

Frontiere: affari e manette


Lo scorso 4 febbraio è stato firmato a Tripoli il protocollo di attuazione dell'Accordo di collaborazione fra Italia e Libia già approvato nel dicembre 2007.
Da un punto di vista strettamente mediatico, il provvedimento è stato pubblicizzato sull'onda emotiva dei fatti di Lampedusa come rimedio all'emergenza sbarchi e come misura di contrasto all'immigrazione clandestina. Infatti, il ministro dell'interno Maroni ha dichiarato che il pattugliamento congiunto delle coste sarà immediatamente operativo, con equipaggi misti, e che – addirittura – sarà possibile azzerare gli sbarchi entro la prossima estate.
Un altro punto inserito nel protocollo di attuazione, è quello del monitoraggio dei confini meridionali della Libia. Un controllo che sarà eseguito da una nota azienda italiana, Finmeccanica. Quella che, per intenderci, si occupa di costruire aerei militari e di realizzare sistemi integrati di difesa, radar, ecc. Guerra agli immigrati, per davvero.
Il trattato tra Libia e Italia è ufficialmente volto al rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità nell'area del Mediterraneo, impegna le parti a non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza, a non ingerire nei reciproci affari interni, a ricercare soluzioni pacifiche delle controversie e a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali.
Quest'ultimo punto è a dir poco discutibile. Almeno se ci si sofferma sul grado di rispetto dei diritti umani garantito dalle parti. Lo stato italiano lo conosciamo bene: leggi razziste, centri di detenzione, retate, schedature, deportazioni e, da ultimo, la possibilità di denunciare i clandestini fin dentro le corsie degli ospedali. Per quanto riguarda la Libia, raccomandiamo caldamente la lettura del rapporto «Fuga da Tripoli» curato da Gabriele Del Grande e scaricabile liberamente dal sito fortresseurope.blogspot.com. Torture e stupri nei centri di detenzione libici finanziati dall'Italia, deportazioni nel Sahara, respingimenti collettivi in mare, omicidi nei commissariati, abusi di ogni tipo perpetrati dai trafficanti di esseri umani, razzismo e vessazioni consumati a Tripoli e coperti dalle autorità locali. Tutte informazioni debitamente raccolte e formalmente sanzionate a suo tempo anche dalla stessa Unione europea che, nel frattempo, ha sempre contribuito in maniera determinante alla chiusura del versante libico attraverso il sistema di controllo delle frontiere denominato Frontex. Sono ormai alcuni anni che Gheddafi può contare su massicci finanziamenti e sulla fornitura di armi, uomini, mezzi e tecnologie per la militarizzazione dei propri confini.
Oggi, con l'applicazione dell'accordo italo-libico, il nostro paese contribuirà alla realizzazione di progetti infrastrutturali in Libia e si darà impulso alle relazioni politiche, alla cooperazione scientifica, culturale,  economico-industriale ed energetica tra i due paesi. Ovvero, corsie più che preferenziali per lo stato italiano e per le sue aziende nell'approvvigionamento energetico.
Gli interessi economici del capitalismo italiano e delle élite politiche ed economiche della Libia sono quindi la chiave di lettura più corretta e meno ipocrita per decrittare la propaganda con cui il governo italiano intende contrabbandare l'accordo bilaterale come soluzione all'immigrazione cosiddetta clandestina. Ma queste carte firmate dai rappresentanti degli stati grondano del sangue di migliaia di donne e uomini che muoiono alle frontiere o marciscono nelle carceri nell'indifferenza dei più.

TAZ
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