Lo scorso 4 febbraio è stato firmato a Tripoli il protocollo
di attuazione dell'Accordo di collaborazione fra Italia e Libia
già approvato nel dicembre 2007.
Da un punto di vista strettamente mediatico, il provvedimento è
stato pubblicizzato sull'onda emotiva dei fatti di Lampedusa come
rimedio all'emergenza sbarchi e come misura di contrasto
all'immigrazione clandestina. Infatti, il ministro dell'interno Maroni
ha dichiarato che il pattugliamento congiunto delle coste sarà
immediatamente operativo, con equipaggi misti, e che – addirittura –
sarà possibile azzerare gli sbarchi entro la prossima estate.
Un altro punto inserito nel protocollo di attuazione, è quello
del monitoraggio dei confini meridionali della Libia. Un controllo che
sarà eseguito da una nota azienda italiana, Finmeccanica. Quella
che, per intenderci, si occupa di costruire aerei militari e di
realizzare sistemi integrati di difesa, radar, ecc. Guerra agli
immigrati, per davvero.
Il trattato tra Libia e Italia è ufficialmente volto al
rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità
nell'area del Mediterraneo, impegna le parti a non ricorrere alla
minaccia o all'impiego della forza, a non ingerire nei reciproci affari
interni, a ricercare soluzioni pacifiche delle controversie e a
rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali.
Quest'ultimo punto è a dir poco discutibile. Almeno se ci si
sofferma sul grado di rispetto dei diritti umani garantito dalle parti.
Lo stato italiano lo conosciamo bene: leggi razziste, centri di
detenzione, retate, schedature, deportazioni e, da ultimo, la
possibilità di denunciare i clandestini fin dentro le corsie
degli ospedali. Per quanto riguarda la Libia, raccomandiamo caldamente
la lettura del rapporto «Fuga da Tripoli» curato da
Gabriele Del Grande e scaricabile liberamente dal sito
fortresseurope.blogspot.com. Torture e stupri nei centri di detenzione
libici finanziati dall'Italia, deportazioni nel Sahara, respingimenti
collettivi in mare, omicidi nei commissariati, abusi di ogni tipo
perpetrati dai trafficanti di esseri umani, razzismo e vessazioni
consumati a Tripoli e coperti dalle autorità locali. Tutte
informazioni debitamente raccolte e formalmente sanzionate a suo tempo
anche dalla stessa Unione europea che, nel frattempo, ha sempre
contribuito in maniera determinante alla chiusura del versante libico
attraverso il sistema di controllo delle frontiere denominato Frontex.
Sono ormai alcuni anni che Gheddafi può contare su massicci
finanziamenti e sulla fornitura di armi, uomini, mezzi e tecnologie per
la militarizzazione dei propri confini.
Oggi, con l'applicazione dell'accordo italo-libico, il nostro paese
contribuirà alla realizzazione di progetti infrastrutturali in
Libia e si darà impulso alle relazioni politiche, alla
cooperazione scientifica, culturale, economico-industriale ed
energetica tra i due paesi. Ovvero, corsie più che preferenziali
per lo stato italiano e per le sue aziende nell'approvvigionamento
energetico.
Gli interessi economici del capitalismo italiano e delle élite
politiche ed economiche della Libia sono quindi la chiave di lettura
più corretta e meno ipocrita per decrittare la propaganda con
cui il governo italiano intende contrabbandare l'accordo bilaterale
come soluzione all'immigrazione cosiddetta clandestina. Ma queste carte
firmate dai rappresentanti degli stati grondano del sangue di migliaia
di donne e uomini che muoiono alle frontiere o marciscono nelle carceri
nell'indifferenza dei più.
TAZ
laboratorio di comunicazione libertaria