L'intervista che segue è
stata fatta a Stella, una delle fondatrici dell'Ambulatorio Medico
Popolare di via dei Transiti, realtà storica dell'antagonismo
milanese, oggi sotto minaccia di sgombero.
Ciao Stella, ci vuoi raccontare brevemente la storia dell'Ambulatorio Medico Popolare?
Quando nel 1994 ci fu l'ascesa della Lega, a Milano una grossa
assemblea cittadina di compagni pose sul tappeto il problema della
solidarietà attiva. Furono discussi due progetti: una struttura
permanente di difesa legale e una di visite mediche gratuite. Ma delle
due solo una è partita: l'Ambulatorio Medico Popolare.
All'inizio ci fu una grossa partecipazione, molti volontari, eravamo
aperti 5 giorni alla settimana, anche perché c'era un'affluenza
altissima. Era l'epoca in cui non c'era ancora una legge ben definita
sul fenomeno dell'immigrazione, in pratica per lo stato gli immigrati
non esistevano. 15 anni dopo molte cose sono cambiate, per un certo
periodo anche in positivo, poi successivamente le cose sono andate
molto male. Mi spiego meglio: la cosa che cambiò in positivo fu
che, all'interno di una legge che considero fascista, la Bossi-Fini,
che viene dalla Turco-Napolitano, ci sono tre articoli che sono stati
scritti da noi. Cioè nascono da una proposta di legge di
iniziativa popolare che chiedeva di garantire, senza segnalazione alla
polizia, tutti i diritti sanitari a immigrati partorienti, bambini,
malati etc… . Questi articoli di legge erano stati scritti da noi nel
'95. Questa cosa non andò avanti e ce li siamo trovati
così nella Turco-Napolitano. Paradossalmente c'è un
pezzetto di questa legge schifosa che abbiamo scritto noi, il Naga, la
Caritas, Camminare insieme. Questi articoli però sono scritti
bene, perché grazie al sistema del codice stp (straniero
temporaneamente presente), gli immigrati senza documenti hanno diritto
a tutte le cure richieste da un medico, per di più in regime di
esenzione da ticket. Su questo terreno, il problema dal '98 ad oggi
è stato l'applicazione di questi articoli, poiché il
grosso buco è stato la mancanza del medico di base. Ecco
perché siamo continuati ad esistere. Adesso però il comma
5, cioè quello che vieta di segnalare alla polizia lo straniero
che si rivolge all'ospedale solo se riguarda il permesso di soggiorno,
viene abrogato. Stiamo cercando di attrezzarci, perché la
situazione potrebbe essere drammatica. Temiamo che ci possano essere
donne che non vanno negli ospedali a partorire, bambini che non possono
fare le vaccinazione per paura, gente con patologie gravi che non si
possono curare e altre atrocità simili.
Visto che l'Ambulatorio ha una sua connotazione politica, come combinate questo aspetto con quello assistenziale?
Cerchiamo di non fare mera assistenza. Dal punto di vista ideologico
non siamo particolarmente uniformi, ma ciò che ci accomuna
è una forte matrice libertaria. È molto semplice e provo
a spiegartelo con un esempio: circa dieci anni fa, venne una bambina
con un grossissimo porro sotto la lingua, non sembrava niente di grave,
però continuava a graffiarlo con i dentini e le sanguinava,
quindi andava tolto. Si era rivolta all'Ospedale e lì le avevano
detto che a causa delle condizioni di clandestinità del padre o
se lo faceva togliere privatamente oppure se lo teneva. Quando si
è rivolta a noi, io ho telefonato ad una pediatra della Caritas,
suora tra l'altro, la quale mi disse che potevamo pure mandarla da
loro, che tanto un pediatra che la operava gratis lo trovavano. Di
fronte alle mie proteste e proposte di andare all'ospedale per far
rispettare la convenzione di New York sui diritti dei bambini, mi
sentii dire che non ci potevamo fare niente. Noi non siamo cattolici,
non siamo qui per salvare la nostra anima. Noi vogliamo fare di questi
casi una denuncia politica e da 15 anni facciamo questo: denuncie,
pressioni sui servizi sanitari affinché si prendano carico di
quello di cui si devono far carico. E abbiamo tenuto anche degli ottimi
risultati. Per esempio c'è stato un cambiamento strutturale
nella fornitura di presidi per diabetici della regione Lombardia che
prima non rifornivano gli immigrati senza permesso. Abbiamo fatto una
battaglia politica e l'abbiamo vinta. Il nostro obiettivo non è
solo la cura del singolo individuo bisognoso, ma, tramite le azioni di
questo genere, pensiamo che sia possibile anche la costruzione di una
rete sociale di solidarietà che ci può aiutare a reagire
contro il razzismo quando alza la testa.
Casi come quello di Preziosa, la ragazza transessuale che ha denunciato
gli sbirri che l'hanno menata nel centro di Via Corelli, non sarebbero
stati possibili se al CPT non ci fosse stato anche il gruppo delle
compagne della Consultoria, che sono andate a darle sostegno in
Ospedale. Queste reti di solidarietà attiva sono importanti
affinché sempre più immigrati si possano ribellare.
Quindi la nostra azione politica si può sintetizzare in due
aspetti: la denuncia e la costruzione di reti di solidarietà
autorganizzata, possibilmente degli immigrati stessi.
Oggi a Milano c'è la minaccia di sgombero all'Ambulatorio, a due case occupate in questo stabile di via dei transiti, al Circolo anarchico Malfattori, inoltre c'è stato lo sgombero del CSOA Cox 18. Tutto questo in una città governata da 15 anni dalla destra e con una crisi di un po' tutte le sinistre. Insieme a tante altre realtà della sinistra antagonista e rivoluzionaria e dei centri sociali, avete cominciato a costruire un percorso unitario di risposta. Ci vuoi parlare di questo?
Già prima dello sgombero del Conchetta avevamo lanciato un
appello che si chiamava "oltre la difesa dell'ambulatorio popolare", in
cui dicevamo provocatoriamente che potevano anche sgomberarci, visto
che la forza ce l'hanno, ma a noi interessava capire cosa sarebbe
accaduto dopo: una eventuale rioccupazione, un eventuale rilancio sulla
città delle nostre battaglie. Inoltre volevamo connetterci con
le problematiche portate avanti dagli altri centri, collegarci con gli
altri circuiti di espressione culturale alternativa. Stiamo pensando a
percorsi delle donne che ormai da tempo non hanno luoghi di
visibilità, vogliamo pensare ad una critica della dismissione
dei servizi sociali e più in generale all'attacco al welfare.
Per cui su quattro temi, donne, precarietà, servizi sociali,
difesi degli spazi sociali, abbiamo chiamato tutte le altre situazioni
a confrontarsi. Dai primi incontri era emerso un clima positivo, un
tentativo di ragionare sulle esperienze e come rilanciarle. Lo sgombero
di Conchetta però ha cambiato le carte in tavola, nel senso che
poi c'è stata questa bella manifestazione molto partecipata non
autorizzata, dove il cuore di Milano ha risposto in qualche modo.
Però adesso si tratta di andare oltre il corteo, per trovare
delle strategie di attacco a questa amministrazione. Noi dobbiamo
rivolgerci al cittadino per dirgli che questi ci stanno rubando i soldi
dalla tasca quando ci aumentano il ticket o altre cose. Per cui stiamo
cercando di ragionare su una campagna informativa contro il comune di
Milano che reprime e spreca le risorse di tutti. Adesso vediamo come
andranno le cose. Lo sgombero dell'Ambulatorio è stato rimandato
ad aprile e questo continuo rimandare può essere un segno che
non se la sentono di osare. Qui sono sotto sgombero anche altri due
appartamenti, perché il nostro Ambulatorio si trova all'interno
della Casa Occupata di via dei Transiti, dove ci sono percorsi distinti
ma anche solidali in questi frangenti. E anche in questi casi ci sono
stati dei rinvii per gli sgomberi. Quindi abbiamo un po' di tempo per
pensare ad una strategia che comunichi il valore sociale di queste
iniziative. Noi lo diciamo chiaramente: a Milano ha fatto scalpore la
vicenda della Clinica Santa Rita, in cui ti tagliavano anche la gamba
per aumentare i loro profitti. E allora abbiamo detto alla
città: vi fa più paura la Santa Rita oppure l'Ambulatorio
dove ci vanno gli immigrati? Vi fanno più paura i mutui che vi
stanno strozzando oppure le case occupate di via dei Transiti?
Questa è la nostra risposta a questa cappa di fascismo imperante
che ci sta circondando: la costruzione di reti di solidarietà
attiva.
Riccardo Bonelli