Umanità Nova, n.8 del 1 marzo 2009, anno 89

Lampedusa brucia


La rivolta nel lager di Lampedusa si è conclusa con la distruzione di un'intera ala della struttura. C'erano stati pesantissimi scontri tra immigrati e polizia, con feriti e contusi da ambo le parti. Tra le macerie fumanti, il questore di Agrigento Di Fazio ha giocato la carta mediatica dichiarando che l'intervento dei suoi uomini ha fatto sì che nessuno morisse in quell'incendio. Può darsi. Ma botte, manganellate e lacrimogeni per stroncare la rivolta erano stati elargiti a piene mani da questi eroi in divisa. I protagonisti della protesta erano tunisini, letteralmente impazziti di fronte alla prospettiva di essere rimpatriati dopo una detenzione lunga ed estenuante. In un'isola, Lampedusa, il cui orizzonte di mare si perde a vista d'occhio e la libertà è un soffocante miraggio. Un'isola in cui i bravi ragazzi del questore Di Fazio avevano pestato, giusto qualche giorno prima, un uomo beccato da solo tra le vie del paese. Dopo averlo mandato all'ospedale, gli agenti si sono giustificati dicendo che l'avevano scambiato per un clandestino evaso dal centro di identificazione. Complimenti.
Nel rogo di Lampedusa non è morto nessuno, per fortuna. Ma non sarebbe stata la prima volta, dato che a Trapani – quasi dieci anni fa – sei immigrati erano rimasti intrappolati nel lager in fiamme perché i poliziotti non trovavano le chiavi per aprire le celle. Dopo tutti questi anni, il quadro è addirittura peggiorato. I lager ci sono sempre, ci si rimane di più, e lo stato è sempre più spietato. Dopo la rivolta lampedusana, sono cominciate delle deportazioni per distribuire gli immigrati in vari altri centri sparsi per l'Italia. Come a Torino, in corso Brunelleschi, dove i deportati hanno dato vita ad altre proteste e a uno sciopero della fame. Una richiesta di aiuto raccolta dagli anarchici e dagli antirazzisti torinesi, riuniti in presidio per far sapere ai reclusi che la solidarietà internazionalista esiste ancora.
Nella stessa settimana è stato approvato il decreto-sicurezza con cui il governo ha voluto condensare tutta la brutalità delle sue politiche frullando insieme emergenza stupri, immigrazione clandestina e ronde autorganizzate per dare in pasto all'opinione pubblica una sbobba fatta di rancore forcaiolo e razzismo consacrato.
Nessuna riflessione sul fatto che a stuprare siano soprattutto mariti e fidanzati italiani.
Nessun pudore nell'identificare meschinamente immigrazione e criminalità. Nessun riguardo per il principio fondamentale secondo cui le responsabilità degli individui – anche sul piano penale o giuridico – vanno ascritte solo ed esclusivamente agli individui medesimi, e non a interi gruppi sociali. Ma l'attacco agli immigrati procede su questi binari totalitari, senza troppi complimenti. Sulla base di tutto questo, il decreto fa sì che i medici possano denunciare i clandestini direttamente in corsia. Potrebbero non farlo, è vero. Ma come la mettiamo con le Asl delle città settentrionali, lottizzate dalla Lega Nord, in cui potrebbe essere molto difficile sottrarsi al rischio di essere a sua volta denunciati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina? Per non parlare poi della legalizzazione, prevista per decreto, delle ronde di cittadini che già da tempo imperversano nelle province padane aizzate dai capipopolo leghisti e fascisti.
Infine, tornando ai centri di identificazione ed espulsione, nel decreto-sicurezza viene dilatato fino a sei mesi il periodo di detenzione di ogni immigrato. E, al momento in cui scriviamo, il Viminale ha fatto sapere che sono in cantiere altri lager in tutta Italia, nelle Marche, in Campania, in Umbria, in Veneto, possibilmente lontani dai centri abitati e vicini a un aeroporto. Benvenuti in Italia.
 
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