Supponiamo che due persone si trovino ad un bancone di un bar e che
uno di questi stia discutendo con il barista a proposito della partita
di calcio della squadra cittadina che si è svolta la domenica
precedente. Il terzo sopraggiunto si inserisce nella discussione con i
suoi commenti, i suoi pareri, magari diversi, a proposito di quanto
è accaduto. Ciò che accomuna tutti e tre i presenti, cosa
che non viene in alcun modo esplicitata, è che la partita si sia
svolta realmente, che ad una data ora siano scesi in campo 22
giocatori, più un arbitro, più i guardialinee, i
massaggiatori, le riserve, gli allenatori… e che siano stati presenti a
quell'incontro un tot di paganti un tot di abbonati, magari un tot di
"infiltrati". E poi i giornalisti, le dirette televisive, le
radiocronache… Ma anche quelli che, pur non assistendovi, ne hanno
comunque subito le cause per l'aumento o il blocco del traffico, dei
rumori, oppure degli scontri, delle vetrine rotte ed auto bruciate.
Ebbene tutto ciò che comunemente chiamiamo prova o prove del
fatto che un accadimento sia avvenuto. Questa premessa è
necessaria per poter discutere, valutare, conoscere e quindi
interpretare l'accaduto. L'ipotesi surreale sarebbe invece quella in
cui il terzo convenuto, una volta inseritosi nel dibattito, negasse
l'accadimento del fatto stesso. Tutto il dibattito intorno alla partita
si sposterebbe su di un altro piano, ovvero la dimostrazione che la
partita sia avvenuta e soltanto dopo, eventualmente, ci sarebbe una
discussione sul merito. Una piccola accolita di storici, che si
definiscono appunto negazionisti, sono partiti con il contestare
l'esistenza di un accadimento: non l'esistenza dei campi di
concentramento, non l'uccisione di ebrei ed altri in questi campi (in
numeri di gran lunga inferiori), ma la realtà di un piano di
sterminio preordinato da cui poi sono arrivati a determinare
l'inesistenza delle camere a gas e della gasazione a scopi uccisori.
Potrei qui dilungarmi sulla fallacia delle loro tesi, ma vi rimando ad
un testo (in realtà ve ne sono molti, ma questo come si usa dire
"prende il toro per le corna"), fondamentale, sulla pessima
ricerca che costoro normalmente conducono: Richard J. Evans, Negare le
atrocità di Hitler, Sapere 2000 Edizioni multimediali, Roma
2003. Richard J. Evans è un noto storico anglosassone chiamato a
difendere Deborah Lipstad ed il suo editore inglese, la Penguin Books,
accusati di aver gettato discredito sulla reputazione dello storico
negazionista David Irving.
Quello su cui invece vorrei soffermarmi sono le ragioni ideologiche
che, a mio parere, hanno sostenuto e sostengono la galassia
negazionista:
1. L'estrema destra neofascista e neonazista: la
svalutazione politica della peculiarità dello sterminio
olocaustico permetterebbe loro di equiparare, politicamente s'intende,
diverse atrocità storiche avvenute o contemporaneamente o in
tempi diversi: nazismo, stalinismo, stermini coloniali delle democrazie
borghesi e quant'altro. La necessità di costruire
un'equiparazione storica di tale tipo funziona allo stesso modo del
famoso detto popolare, "tutti ladri, quindi nessun ladro". Livellare,
quindi, per loro significa non tanto svalutare la propria e le altre
ideologie di morte, ma rivalutare, nel novero della legittimità
alla pari, la propria alla pari delle altre culture politiche.
2. Una piccola parte dell'estrema sinistra di matrice
"bordighiana". Le ragioni da questa parte sono duplici. La prima
è quella, figlia di una strettissima visione economicista del
mondo, che nega l'esistenza delle camere a gas a partire dalla loro
inefficacia "produttiva" e sposta il versante dello sfruttamento
soltanto sul piano dell'uso schiavistico della manodopera
concentrazionaria. La seconda è quella dell'invarianza nel
giudizio di valore sulle forme di governo che il capitalismo si
è dato: borghesia parlamentare o dittatura pari sono per
costoro, perché sono appunto varianti esclusive del dominio
capitalistico. Da qui ne consegue che, come disse Bordiga, "il peggior
prodotto del fascismo è stato l'antifascismo". La resistenza
viene letta in questa chiave soltanto come un episodio di restaurazione
capitalistica sotto altra forma.
3. L'antigiudaismo tanto storico quanto classico sia
di gran parte del cattolicesimo e delle religioni cristiane che della
religione islamica. I lefebvriani, tanto per fare un esempio di questi
giorni, sono soltanto la punta di un iceberg molto più profondo.
La necessità di appurare i fatti nel loro svolgimento è
questione essenziale per potere discutere di essi: la revisione
è parte fondamentale del lavoro storico, ma a partire dai
criteri di realtà di quanto affermato. Le prove documentarie
(testi, ma anche foto, resti..) le testimonianze di coloro che sono
sopravvissuti, ma anche dei carnefici, degli spettatori, dei complici
passivi…sono strumenti indispensabili per il lavoro storiografico. La
storia non si produce perché vi è qualcuno che
"artificiosamente" scrive di essa: la conoscenza storica è essa
stessa strumento di valutazione e di giudizio storico. Sulla
comprensione storica possono esservi pareri e risposte differenziate,
suffragate da un poderoso arsenale documentario, ma a partire dalla
comune condivisione che un accadimento sia realmente avvenuto e nel
nostro caso si può partire a discutere soltanto ammettendo, non
certo perché lo vogliamo ideologicamente, ma perché le
fonti testimoniali di vario genere (anche se questo non significa
necessariamente che concordino sui numeri, sui tempi…, ma questo fa
parte del dibattito storiografico) convergono sull'esistenza della
camere a gas come strumento di sterminio di massa.
Un'ultima nota a questa rassegna di posizioni ideologiche, ovvero
quella che attiene all'annosa questione della libertà di
espressione. Molte legislazioni europee si sono attestate sulla
repressione sia espressiva che carceraria del fenomeno negazionista.
Dal momento che in quanto anarchici non siamo dispensatori di
libertà né per noi stessi né per altri,
perché non abbiamo né vogliamo avere velleità
governative, la questione così posta potrebbe non avere alcun
interesse se non nei limiti delle illibertà degli stati appunto
liberali. Ma perché tanto ci è cara la libertà che
sempre più viene dispensata come concessione di pochi ai
più, ci è altrettanto caro il fatto che chiunque possa
dire apertamente ciò che pensa. La battaglia si sposta quindi
dal piano legale a quello politico, ed in questo caso storico: la
storia, come hanno già sostenuto altri, si combatte con la
storia.
Pietro Stara