Ha senso parlare di femminismo antifascista? Probabilmente no, a
meno di non voler specificare una delle "qualità" della critica
di genere ai soggetti dell'oppressione. Invece è forse utile
specificarne l'attualità, soprattutto se capita di leggere, su
quotidiani o riviste patinate, improbabili riferimenti a mai esistiti
ed esistenti "femminismi di destra", legati ad alcune passate e
presenti organizzazioni neofasciste. Un'operazione, quest'ultima,
certamente definibile più correttamente come il tentativo di
utilizzare strumentalmente il punto di vista "delle donne" e le
camerate stesse come manovalanza per raggiungere elettorati femminili e
consegnare loro il cappio con il quale impiccarsi.
Sostenere che il femminismo non può non essere antifascista
serve quindi a ribadire un fatto storico, l'oppressione del regime
mussoliniano nei confronti delle donne, ed anche uno teorico, dato che
se il patriarcato non nasce con il fascismo né può essere
considerato un suo sinonimo, al contempo niente è meglio di
un'ideologia autoritaria perché si confermi e consolidi.
Ogni giorno è sempre più evidente quanto cresca
l'offensiva culturale della destra razzista, autoritaria e fascista,
sferrata dai tricolorati partiti istituzionali di centrodestra e
partiti extraistituzionali palesemente neofascisti. Sembra non trovare
argini, si rafforza proporzionalmente all'incapacità di
resistenza dei partiti "tradizionalmente" di sinistra, quando non
addirittura alla complicità o obliquità dei partiti del
centrosinistra parlamentare. Si fa fatica a star dietro e a
comprenderne le metamorfosi, le scissioni, le alleanze dentro e fuori
il loro ambito militante.
Spesso è assai difficile riuscire a definire, ad esempio, se ci
riferiamo prima ad un integralismo cattolico fascista o ad un fascismo
cattolico, mentre la soluzione è assai più complicata e
le distinzioni occorre farle. Gli storici più capaci ed attenti
hanno sempre sottolineato quanto il neofascismo sia storicamente ricco
di tendenze, critiche o di adesione, ai segmenti del tradizionalismo
cattolico e a-cattolico. Esistono neofascismi anticlericali, cattolici
conciliaristi, con sfumature lefebvriane, amanti mistici di Codreanu,
moderni adepti del differenzialismo spiritualista evoliano (ma non meno
razzista, né in contraddizione con quello biologista degli amici
nazisti)…
Una lunga lista tenuta assieme saldamente dai criteri Dio, Patria e
Famiglia, con la variante Tradizione, Patria e Famiglia o Ordine,
Patria e Famiglia o Natura, Patria e Famiglia per i cugini più
affezionati alla memoria sansepolcrista anticlericale. Ciò che
mai cambia per il neofascismo, mistico o cattolico, è che la
donna è "differente" dall'uomo e deve per questo "stare al suo
posto": che sia diversa spiritualmente, naturalmente o perché lo
ha deciso Dio, e il Papa lo ratifichi tre volte al giorno dopo i pasti
principali, poco cambia. Da un punto di vista meramente filosofico, i
dualismi differenzialistici (uomo/donna) impediscono ogni "meticciato"
o "ibridismo", impediscono la libertà e il mutamento. In parole
più semplici, impediscono ai corpi di autodeterminarsi,
cambiare, come i soggetti in transizione dal maschile al femminile e
viceversa, impediscono alle donne di decostruire un'identità
consegnata dall'uomo come sua "differente opposizione", negativo di un
maschile al quale si avrà pur sempre bisogno di appellarsi per
definirsi, del quale non ci libereremo mai. Impediscono infine la
possibilità dell'omosessualità maschile e del lesbismo,
ritenute come "devianze" dal dualismo naturale uomo-donna.
Per concludere, o forse per cominciare, occorrerà semmai
chiedersi se possa esistere un antifascismo che non sia sessista e
omofobo. Fino a quando ci sarà bisogno di aggiungere queste
"qualità" alla teoria e alla pratica antifascista, la domanda
resterà sospesa in attesa di una reale ed autentica risposta
affermativa.
Aurelia Benco