Sciopero della fame al CIE
Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 27 tunisini sono stati
trasferiti con un aereo militare da Lampedusa a Torino. Allo sbarco a
Caselle, gli immigrati, reduci dalla rivolta che il giorno precedente
aveva mandato in fumo buona parte del lager dell'isola, sono stati
accolti dalla polizia in assetto antisommossa che li ha scortati al CIE
di corso Brunelleschi. Per far posto ai nuovi arrivati sono state
liberate tutte le donne rinchiuse nel centro di detenzione. Gli
immigrati hanno raccontato di essere stati duramente pestati prima
della partenza: molti di loro erano stati feriti già durante la
rivolta. Le botte non sono bastate a smorzare la loro determinazione a
lottare per la libertà. Anzi. Giovedì 19 febbraio tutti i
reclusi del CIE hanno rifiutato il cibo pieno di psicofarmaci che gli
rifilano i secondini della Croce Rossa. Lo sciopero della fame è
continuato venerdì 20 coinvolgendo almeno metà dei
reclusi, che chiedevano la liberazione immediata.
Intorno alle 17 e 30 dello stesso giorno un gruppo di antirazzisti e
anarchici si è dato appuntamento sotto i muri del CIE. Musica,
petardi, battiture e grida si sono intervallati con le testimonianze
dei reclusi che raccontavano le loro storie al telefono. Storie di
violenza, sopraffazione, sfruttamento e storie di resistenza. Molti
chiedevano agli antirazzisti di entrare, per vedere la realtà di
una prigione per senza carte. Ma le porte di un CIE, come di ogni
prigione, sono chiuse.
Gli immigrati hanno buttato per aria i materassi e sparso in giro l'immondizia.
Fuori dal muro "libertà, libertà".
No LagerCoop
Due Cooperative Rosse, la Sisifo e la Blu Coop, gestiscono la prigione
per immigrati di Lampedusa, andata a fuoco durante la rivolta scoppiata
a metà febbraio.
Il consorzio che le unisce, "Lampedusa accoglienza", ha il sapore acre
della feroce ironia nazista: "il lavoro rende liberi" c'era scritto ad
Auschwitz.
La Lega delle Cooperative, i cui membri gestiscono anche altri CPT in
Italia, fa leva per il suo marketing sui valori di solidarietà,
partecipazione e mutuo appoggio patrimonio di tanta parte del movimento
operaio, mentre gestisce e lucra sulla pelle di chi, spinto dal
bisogno, va a caccia di un futuro migliore nel nostro paese.
A Torino, in via Livorno, c'è l'Ipercoop, mega supermercato di
nuova generazione, dove il business imita la piazza di un paese. Un
gruppo di antirazzisti venerdì 20, mentre il governo decideva
per decreto di estendere a sei mesi la detenzione nei CIE, ha aperto
due striscioni "LegaCoop gestisce lager" e "Non esiste lager dal volto
umano", distribuendo volantini e speakerando. I responsabili della
sicurezza del supermercato hanno tentato senza successo di dissuadere
dall'iniziativa: tra chi entrava e usciva dal supermercato non sono
mancati quelli che hanno espresso approvazione e solidarietà.
All'interno dell'Ipercoop è scattata una caccia al tesoro: la
ricerca di migliaia di microvolantini sparsi tra le merci.
Chi volesse dire la propria ai gestori del Lager di Lampedusa può telefonare a:
Sisifo (Catania) 095 43 03 65
Blu Coop (Agrigento) 0922 60 89 38
Scritte alla Croce Rossa
"La Croce Rossa gestisce lager per migranti", "fuoco ai cpt" sono
alcune delle scritte comparse nella notte tra venerdì 20 e
sabato 21 sulle sedi della CRI di Torino, Settimo, Chivasso, Pino,
Chieri, Nichelino, Moncalieri e Beinasco. A Moncalieri è stata
anche gettata una bella secchiata di vernice rossa. A Torino, come in
altre città italiane, la CRI ha in appalto la conduzione del CIE.
Presidio e corteo al CIE
Sabato 21 febbraio di fronte al CIE di corso Brunelleschi si sono dati
appuntamento compagni delle varie aree dell'arcipelago antirazzista
torinese. Il giorno precedente, durante la visita al CIE
dell'europarlamentare Agnoletto, una donna recatasi lì per
portare cibo ad un parente, è stata più volte respinta e
infine violentemente strattonata dagli agenti di guardia, che per ore
le hanno impedito l'ingresso.
Battitura di ferri, petardi, musica, interventi e le dirette alla radio
dal CIE hanno caratterizzato un pomeriggio di solidarietà con i
reclusi, alcuni dei quali ancora in sciopero della fame. Il pomeriggio
si è concluso con un corteo intorno alle mura del centro,
durante il quale la polizia in assetto antisommossa è entrata
nelle varie sezioni del CIE minacciando apertamente gli immigrati.
All'esterno scritte solidali e, fortissimo, il fragore delle battiture
di pali della luce, cassonetti, segnali stradali.
Sul muro campeggiava tra le altre una grande scritta blu: "questo è un campo di concentramento".
R. Em.
Il giorno 18 febbraio si è svolta la prima udienza del
processo per lo sgombero, avvenuto nel 2005, del centro sociale Mario
Lupo di Parma. Sono dieci gli imputati con accuse che variano da
occupazione a resistenza e in un caso anche lesioni. Da allora ad oggi
molte cose sono avvenute, in particolare agli accusatori. Parte dei
testimoni dell'accusa sono alcuni dei vigili coinvolti nell'inchiesta
sul "caso Bonsu", ovvero il pestaggio dello studente ghanese avvenuto
durante un operazione antidroga per opera di un cosiddetto Nucleo di
pronto intervento della Polizia municipale di Parma. Un paio di questi
difensori dell'ordine pubblico - che sono indagati per aver insultato
con epiteti razzisti, picchiato e fotografato a modo di trofeo il
ragazzo, risultato poi innocente - sono attualmente agli arresti
domiciliari e si sarebbero dovuti recare in tribunale per testimoniare,
al loro posto è stato però presentato un certificato
medico. I testimoni presenti, tutti a carico dell'accusa, si sono
mostrati per lo più vittima di amnesia. In primis, il sindaco di
allora, Elvio Ubaldi, si dice a conoscenza di poche informazioni
confuse sulle attività svolte nell'area ex macello dal centro
sociale ('fuochi nella notte', 'rumore'…), e di non sapere nulla degli
accordi presi dalle precedenti amministrazioni a riguardo della
gestione dello spazio. Ammette di avere emanato un'ordinanza per
l'avvio di lavori di recupero dell'ex macello PRIMA di intavolare
trattative con quelli che chiama 'occupanti di fatto', ammette inoltre
che l'ordinanza utilizzata per lo sgombero era riferita alla presunta
inagibilità dell'edificio. Come Ponzio Pilato si lava le mani
del resto, lui era il sindaco, a far le cose a modo ci dovevano pensare
gli altri. I successivi testimoni non ricordano gran che, i primi a
essere dimenticati sono eventuali oggetti contundenti in mano alle
forze dell'ordine, ma anche le facce dei colleghi talvolta sfumano
nella memoria in 'non so, non ricordo'. La ricostruzione dei fatti
prende una forma grottesca e inaspettata: operai del comune respinti da
docce di vino e qualche 'testo scolastico', simpatizzanti del centro
sociale che si presentano come 'una moltitudine coalizzata', vociante e
niente più, ma soprattutto vigili spaesati, che fuggono presi
dal panico, completamente impreparati a quella che doveva essere una
prova per la futura attribuzione di maggiori poteri alla polizia
municipale in materia di 'sicurezza'. La parola d'ordine per ora sembra
essere una sola: minimizzare. I militanti del centro sociale Mario Lupo
avevano denunciato la militarizzazione del corpo della polizia
municipale già 3 anni fa, ma le conseguenze le vediamo oggi, i
supercop di Terracciano tremano a causa di una persona, Emmanuel
Bonsu, piena di coraggio e di dignità e le loro sicurezze
si fanno sempre più vacillanti dal momento che sembrano non
godere dell'immunità che si erano immaginati. La prossima
udienza sarà il 17 giugno presso il tribunale di Parma.
Martedì 10 febbraio, durante il "giorno del ricordo", come
ogni anno una sfilza di fascisti ha voluto sfilare in corteo per le vie
di Lecco. Un gruppo di anarchici ha deciso di contestare dedicando loro
alcuni cori.
A questi ha reagito una squadra di polizia politica in borghese,
caricando immediatamente il gruppo e fermando quattro compagni. La
carica è stata improvvisa, accompagnata da insulti e calci. Uno
dei fermati è stato tratto in arresto, rilasciato il giorno
seguente. I reati attribuiti a tutti e quattro sono: "adunata
sediziosa", "manifestazione non autorizzata", "resistenza a pubblico
ufficiale" ed altro. Al compagno sono stati attribuiti anche i reati di
"violenza" e "lesioni a pubblico ufficiale". Il 17 si è tenuta
la prima udienza del processo per direttissima contro il compagno
arrestato.
Ai compagni radunati per protestare contro quanto avvenuto, circa un
centinaio, di cui moltissimi giovani, come giovanissimi sono i quattro
compagni fermati, è apparso subito chiaro l'intento del potere
giudiziario e poliziesco di costruire un impianto accusatorio atto a
criminalizzare il dissenso e la ribellione che questo gruppo di
compagni porta avanti ormai da mesi.
Due tentativi di occupazione, varie iniziative antifasciste, una
manifestazione contro il consumismo natalizio e negli ultimi giorni,
volantinaggi contro la presenza dei militari, nell'ambito
dell'iniziativa "training day" promossa da ministero della difesa e
regione Lombardia, all'istituto Bovara di Lecco.
Sul caso specifico la collaborazione giudice/pm è stata
vergognosa, mentre il giudice vietava la visione in aula del filmato,
riprese dalle telecamere del comune, che dimostra la falsità
delle deposizioni dei digossini sull'accaduto, il pm iniziava una
ricostruzione atta alla criminalizzazione di tutti i compagni partendo
addirittura dalle occupazioni tentate nella scorsa primavera.
Verso le 17 la seduta è stata aggiornata a martedì 24 alle ore 15.
Per quel giorno alle 14 e 30 è stato convocato il presidio davanti al tribunale.
Alcune vicende repressive sono talmente grottesche che potrebbero
essere frutto di qualche candid camera se non fosse che ci sono di
mezzo persone in carne e ossa.
Martedì scorso la polizia effettua sei arresti nella zona di
Monfalcone: tre sono condotti in carcere a Udine, tre in quello di
Gorizia. Gli arrestati sono quasi tutti molto noti a Monfalcone: tre
sono fra i più noti attivisti di Officina Sociale, spazio
comunale gestito da un'associazione a cui fanno riferimento i
disobbedienti locali, due sono fratelli gestori di uno dei più
noti bar della cittadina e il sesto è un frequentatore degli
stessi posti. L'operazione coinvolge altri indagati, che
però non sono stati arrestati, tra cui altri militanti dello
spazio sociale. Gli arresti sono l'assurdo risultato di quasi 2 anni di
indagini sullo "spaccio" di droghe leggere nella zona. Lo stesso spazio
(in cui è attivo un servizio di riduzione del danno in
convenzione col comune) e alcuni degli arrestati erano stati perquisiti
nel maggio scorso senza esito per la medesima indagine.
Le prove sono ridicole: testimonianze di alcuni ragazzini (sicuramente
costretti a prestarsi al gioco per non incappare nelle maglie della
giustizia per qualche canna) e di qualche soggetto dipendente da droghe
pesanti, registrazioni audio e meno di 2 grammi di hascish sequestrati
in tutto! In una città dove si continua a morire di amianto e i
processi vengono ritardati, in cui nei cantieri vige lo sfruttamento
più bieco grazie ai subappalti e alle infiltrazioni mafiose, in
cui vi è un'emergenza casa e in cui ogni giorno passano armi e
droghe di ogni tipo, l'apparato repressivo locale imbastisce questa
operazione mediatica per distogliere dagli occhi della gente i veri
problemi del territorio. Un apparato repressivo fortemente screditato
(decine gli indagati anche fra gli alti gradi per traffico di cocaina)
che tenta il rilancio di immagine con questa operazione. Se da un punto
di vista giudiziario il tutto è assurdo e gli avvocati sono
convinti che si smonterà, da un punto di vista politico la
situazione è gravissima: un chiaro attacco a chiunque si muova
sul territorio che può essere arrestato e tenuto dentro (essendo
stati convalidati gli arresti, gli indagati staranno in carcere
almeno un paio di settimane) solo grazie a delle testimonianze e alla
volontà di colpire.
Per fortuna la reazione è stata forte e immediata. Già
alla conferenza stampa una sessantina di persone porta la propria
solidarietà (fra cui realtà anarchiche di Monfalcone,
Trieste, Udine e bassa friulana) e si inizia a contrastare la
disinformazione sui media che continuano a sparare titoli deliranti.
Il giorno seguente un'assemblea pubblica vede la partecipazione di
oltre un centinaio di persone che decidono le prossime scadenze fra
cui un grande happening per sabato 28 febbraio in centro a
Monfalcone non solo per chiedere la liberazione degli arrestati, ma
anche per dire a gran voce che non abbiamo paura e che si vuole reagire
al clima di militarizzazione della zona (questa provincia è la
più presidiata d'italia dalle varie forze del disordine). Tutto
questo si sta legando con le iniziative che il 12-13-14 marzo si
terranno a Trieste per contestare il vertice sulle droghe capitanato da
Giovanardi. Vi terremo informati. Per articoli e aggiornamenti:
www.info-action.info
Federico