Umanità Nova, n.9 dell'8 marzo 2009, anno 89

Lotta all’ordine che piace ai padroni


"Milano deve recuperare la normalità" ha detto Matteo Salvini, il giovane rampollo della dinastia leghista che imperversa in Lombardia. Quella 'normalità' che da sempre significa 'ordine e disciplina', rispetto della gerarchia, sottomissione all'autorità. La 'normalità' che piace alle classi dominanti, al clero, ai professionisti della politica; e poco importa che pochi giorni fa si è venuti a conoscenza che nelle casse del Comune di Milano vi è un buco di ben oltre 96 milioni di euro (qualcuno parla addirittura di 162 milioni) dovuto ai maneggi finanziari sui prodotti bancari oggi definiti tossici, sostenuti e coperti dal ceto politico in combutta con le banche. Un buco enorme che non ha sollevato un particolare scalpore né trovato un'eco adeguata sugli organi di stampa e nei media in generale, tutti impegnati alla caccia al clandestino, all'occupante di case, all'antifascista militante, a conferma che le campagne sulla sicurezza e l'ordine nascondono in realtà ben altri obiettivi che sono quelli legati al mantenimento dei privilegi, sempre più ampi, sempre più scandalosi, dei ceti dominanti.
E così a Milano, l'attacco agli spazi fuori dal coro, siano essi occupati, o con contratti d'affitto in scadenza, assume un significato particolare, sia pure in larga sintonia con quello che succede in tante, troppe, parti d'Italia. Il caro affitti, il costo proibitivo delle case, la speculativa politica dei mutui, la mancanza di spazi di aggregazione, sono una realtà con la quale qualsiasi abitante di Milano, soprattutto se giovane o immigrato, è costretto a convivere, anche se migliaia sono gli appartamenti sfitti e invenduti (si calcolano in ben 90.000), enormi le aree industriali dismesse, che potrebbero consentire soluzioni abitative adeguate. La risposta è invece quella dell'accelerazione speculativa sui terreni – di cui il caso dell'Innse è esemplare: distruzione di una realtà produttiva a favore degli appetiti finanziari -  con la conseguente colata di cemento in orizzontale e verticale con una demenziale politica di rilancio dei grattacieli in aree già densamente popolate. E poi c'è l'Expo 2015, questo faraonico progetto di rilancio dell'immaginario 'made in Italy' di stampo capitalistico, che tutti, destra e sinistra, hanno voluto e che divorerà un'enorme quantità di risorse ad esclusivo vantaggio dei padroni in un contesto di crisi finanziaria mondiale; il che vuol dire che occorre prendere i soldi tagliando i beni comuni, privatizzando a man bassa i servizi, svendendo il patrimonio comunale (ben 40 sono gli edifici messi in vendita tra i quali il palazzo che ospita la  sede anarchica di viale Monza e l'area ove si trova Cox 18, oggetto dello sgombero, mentre la costruzione che ospita la sede dell'USI-AIT in viale Bligny era stata già venduta all'Università Bocconi): i beni dei ricchi si sa non si toccano.
Ma se ci fermassimo solo all'aspetto economico del problema non coglieremmo nel segno. Il movimento che, l'autunno scorso, ha avuto il suo epicentro nelle scuole e nelle università,  muovendosi sull'indicazione 'noi la crisi non la paghiamo' ha colto in pieno il disegno dei ceti dominanti. Un disegno che evidenzia il vero volto dello Stato, al di là delle leggende metropolitane sullo Stato 'sociale'. Dallo schieramento dell'esercito nelle strade alla legalizzazione/militarizzazione delle ronde, dalla promulgazione di leggi razziste e classiste alla schedatura di massa, dalla dilatazione dell'internamento per gli 'irregolari' alla delazione 'consigliata' di medici e farmacisti, tassisti e amministratori condominiali, dall'impiego dell'esercito per imporre alle popolazioni recalcitranti l'aggressione sui loro territori (dalle discariche campane alle basi militari, dai rigassificatori ai siti nucleari, dalle infrastrutture stradali a quelle ferroviarie) alle leggi antisciopero, all'aumento di competenze della polizia giudiziaria – direttamente dipendente dal potere politico – a scapito della magistratura – formalmente indipendente, alle misure di imbavagliamento della stampa: un disegno unitario e coerente che si muove in direzione di una ristrutturazione organica del potere in chiave sempre più gerarchica e autoritaria. Un disegno che non sopporta opposizione, soprattutto in un momento come questo dove gli ammortizzatori sociali sono sempre più evanescenti e non possono sopperire alla crisi in corso, alla perdita del reddito, all'impoverimento generale.
Le cariche contro gli operai, all'Innse come a Pomigliano, le botte agli antifascisti come a Bergamo, gli sgomberi degli spazi autogestiti, a Modena come a Milano, la dura repressione a Lampedusa, ci danno il polso dell'attacco contro le forme di resistenza che si danno, e dell'insofferenza del potere  rispetto ogni realtà di opposizione che si muova nel sociale. Il suo obiettivo è la frantumazione di ogni relazione sociale, l'affermazione del corporativismo gerarchico, l'esaltazione dell'individualismo consumista, il rilancio del capitalismo sulla pelle dei lavoratori, delle classi oppresse e sfruttate.
Se le manifestazioni di questi giorni, a Milano, come a Bergamo e a Torino, ci danno una dimostrazione che i giochi non sono ancora fatti e che non siamo disposti a sottostare supinamente ai progetti e alle azioni dello Stato e del suo governo, dobbiamo essere consapevoli che la partita che si sta giocando ha una posta in palio che richiede il massimo della capacità di coinvolgimento sociale e che se la difesa degli spazi di aggregazione politica e sociale è in questo caso fondamentale, essa è destinata alla sconfitta se non sarà in grado di trasformare questi luoghi in reali centri propulsivi di azione, di lotta, di dibattito, di formazione, di produzione di un immaginario rivoluzionario all'altezza dei tempi, elementi di una rete sociale di resistenza e di lotta in grado di rovesciare la crisi in atto sui responsabili di sempre: capitalisti e burocrati di ogni colore.

M.V.

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