Una delle lotte più dure e impegnative che il movimento delle
donne sta portando avanti è quello contro la violenza. Parliamo
di violenza fisica, di violenza nei rapporti sessuali, di violenza
psicologica.
Per identificare queste pratiche di oppressione possiamo utilizzare la
classificazione di un ente sicuramente non femminista, come
l'istituto nazionale di statistica ISTAT che, nel suo report ufficiale
degli inizi del 2007, così definisce le forme della violenza:
• la violenza fisica è graduata dalle forme
più lievi a quelle più gravi: la minaccia di essere
colpita fisicamente, l'essere spinta, afferrata o strattonata, l'essere
colpita con un oggetto, schiaffeggiata, presa a calci, a pugni o a
morsi, il tentativo di strangolamento, di soffocamento, ustione e la
minaccia con armi
• per violenza sessuale vengono considerate le
situazioni in cui la donna è costretta a fare o a subire contro
la propria volontà atti sessuali di diverso tipo: stupro,
tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti sessuali con terzi,
rapporti sessuali non desiderati subiti per paura delle conseguenze,
attività sessuali degradanti e umilianti
• le forme di violenza psicologica rilevano le
denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di
isolamento, le intimidazioni, le forti limitazioni economiche subite da
parte del partner.
A me pare evidente che il linguaggio usato dall'ISTAT
ammorbidisca il senso dell'oppressione che la vittima percepisce non
solo per il dolore corrispondente, ma soprattutto per l'offesa.
L'ISTAT ci fornisce anche i dati di un'indagine a campione:
l'85% delle donne ha subìto una di queste forme di violenza; di
queste il 38% dal partner e il 62% da un non-partner; si rileva,
inoltre, che nel 93% dei casi la donna ha subito tutti i tipi di
violenza descritti; e che il 71% dei casi di violenza fisica ed il 65%
di quella sessuale sono avvenuti in casa.
Questi dati, che per altro dovrebbero essere abbastanza noti visto il
vociare dei mass media sull'argomento, mettono bene in evidenza il
carattere sociale del fenomeno. Qualsiasi atteggiamento riduzionista
non può essere definito diversamente da altri atteggiamenti che
negano l'evidenza sia contemporanea sia storica.
La società attuale è interamente basata sulle logiche di
dominazione, ma dentro a queste logiche vi sono dei soggetti "deboli"
che soffrono di molteplici esperienze di sottomissione. Fra queste, le
donne che sono vittime di una discriminazione di genere. Tale
discriminazione non è definita attraverso delle ideologie (anche
se non mancano aberrazioni in tal senso), ma si esercita "naturalmente"
attraverso delle pratiche di sopraffazione. La violenza è
l'espressione di queste pratiche.
In questo contesto chi esercita la violenza e la sopraffazione non
è una qualche forma istituita (governo, padronato, reazione,
etc.), ma sono le persone di sesso maschile: gli uomini. Ed è la
"naturalezza" di questo rapporto violento quello che il movimento delle
donne sta cercando, da un secolo, di sconfiggere. Spesso, anche in
ambienti "illuminati", le donne si trovano di fronte al classico "muro
di gomma" che cerca di minimizzare il fenomeno o sviare l'attenzione
del discorso su altri argomenti.
Oggi, poi, assistiamo anche a un altro e altrettanto pericoloso
fenomeno: le istituzioni diventano "femministe" e sfruttano l'argomento
per sostenere le politiche di repressione sociale (come nel caso dei
recenti decreti anti-stupro o pacchetto sicurezza) o, in altri casi,
ridicolizzano il problema con provvedimenti come i "taxi rosa".
E' invece necessario che si svolga una vera e propria rivoluzione nella
cultura delle persone: gli uomini devono prendere consapevolezza
mettendosi in discussione ed anche le donne devono essere in grado di
liberarsi dalle loro "paure". Un processo di questo genere, nonostante
alcuni importanti passi avanti, non è pensabile che si risolva
spontaneamente; la lotta delle donne che per fortuna assume forme
sempre più decise e consistenti, vuole riuscire a penetrare
anche i muri di gomma rappresentati dal complice silenzio di tanti.
E' necessario comprendere fino in fondo la natura antropologica della
violenza; continuare col chiedersi il perché gli atti più
violenti più crudeli, più spietati nella grande
maggioranza dei casi sono compiuti da uomini (dalle stragi in guerra,
agli assassini dei barboni, al turismo sessuale ed infine, ma non
perché la percentuale sia più bassa, la violenza sulle
donne). Ed anche quando è una donna a compiere atti di questo
genere (penso al caso della soldatessa americana di Abu Ghraib) questa
è una donna che ha rimosso alla radice la sua femminilità
trasformandosi in un "vero soldato".
Dovrebbe essere compito delle anarchiche e degli anarchici, che si
pretendono "complessivi" nella loro critica di ogni forma di
oppressione, essere in prima fila in questa lotta, a fianco del
movimento delle donne, sia negli spazi pubblici, ma anche e, per certi
versi, soprattutto nel privato.
Fare veramente nostro il senso di questa frase "un'offesa fatta a una donna è un'offesa fatta a tutti".
Tiziana