Umanità Nova, n.9 dell'8 marzo 2009, anno 89

Violenza: singolare maschile


Una delle lotte più dure e impegnative che il movimento delle donne sta portando avanti è quello contro la violenza. Parliamo di violenza fisica, di violenza nei rapporti sessuali, di violenza psicologica.

Per identificare queste pratiche di oppressione possiamo utilizzare la classificazione di un ente sicuramente non femminista,  come l'istituto nazionale di statistica ISTAT che, nel suo report ufficiale degli inizi del 2007, così definisce le forme della violenza:
•    la violenza fisica è graduata dalle forme più lievi a quelle più gravi: la minaccia di essere colpita fisicamente, l'essere spinta, afferrata o strattonata, l'essere colpita con un oggetto, schiaffeggiata, presa a calci, a pugni o a morsi, il tentativo di strangolamento, di soffocamento, ustione e la minaccia con armi
•    per violenza sessuale vengono considerate le situazioni in cui la donna è costretta a fare o a subire contro la propria volontà atti sessuali di diverso tipo: stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti sessuali con terzi, rapporti sessuali non desiderati subiti per paura delle conseguenze, attività sessuali degradanti e umilianti
•    le forme di violenza psicologica rilevano le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni, le forti limitazioni economiche subite da parte del partner.
A me pare evidente che il linguaggio usato dall'ISTAT  ammorbidisca il senso dell'oppressione che la vittima percepisce non solo per il dolore corrispondente, ma soprattutto per l'offesa.
L'ISTAT ci fornisce anche i dati di un'indagine a campione:
l'85% delle donne ha subìto una di queste forme di violenza; di queste il 38% dal partner e il 62% da un non-partner; si rileva, inoltre, che nel 93% dei casi la donna ha subito tutti i tipi di violenza descritti; e che il 71% dei casi di violenza fisica ed il 65% di quella sessuale sono avvenuti in casa.
Questi dati, che per altro dovrebbero essere abbastanza noti visto il vociare dei mass media sull'argomento, mettono bene in evidenza il carattere sociale del fenomeno. Qualsiasi atteggiamento riduzionista non può essere definito diversamente da altri atteggiamenti che negano l'evidenza sia contemporanea sia storica.
La società attuale è interamente basata sulle logiche di dominazione, ma dentro a queste logiche vi sono dei soggetti "deboli" che soffrono di molteplici esperienze di sottomissione. Fra queste, le donne che sono vittime di una discriminazione di genere. Tale discriminazione non è definita attraverso delle ideologie (anche se non mancano aberrazioni in tal senso), ma si esercita "naturalmente" attraverso delle pratiche di sopraffazione. La violenza è l'espressione di queste pratiche.
In questo contesto chi esercita la violenza e la sopraffazione non è una qualche forma istituita (governo, padronato, reazione, etc.), ma sono le persone di sesso maschile: gli uomini. Ed è la "naturalezza" di questo rapporto violento quello che il movimento delle donne sta cercando, da un secolo, di sconfiggere. Spesso, anche in ambienti "illuminati", le donne si trovano di fronte al classico "muro di gomma" che cerca di minimizzare il fenomeno o sviare l'attenzione del discorso su altri argomenti.
Oggi, poi, assistiamo anche a un altro e altrettanto pericoloso fenomeno: le istituzioni diventano "femministe" e sfruttano l'argomento per sostenere le politiche di repressione sociale (come nel caso dei recenti decreti anti-stupro o pacchetto sicurezza) o, in altri casi, ridicolizzano il problema con provvedimenti come i "taxi rosa".

E' invece necessario che si svolga una vera e propria rivoluzione nella cultura delle persone: gli uomini devono prendere consapevolezza mettendosi in discussione ed anche le donne devono essere in grado di liberarsi dalle loro "paure". Un processo di questo genere, nonostante alcuni importanti passi avanti, non è pensabile che si risolva spontaneamente; la lotta delle donne che per fortuna  assume forme sempre più decise e consistenti, vuole riuscire a penetrare anche i muri di gomma rappresentati dal complice silenzio di tanti.
E' necessario comprendere fino in fondo la natura antropologica della violenza; continuare col chiedersi il perché gli atti più violenti più crudeli, più spietati nella grande maggioranza dei casi sono compiuti da uomini (dalle stragi in guerra, agli assassini dei barboni, al turismo sessuale ed infine, ma non perché la percentuale sia più bassa, la violenza sulle donne). Ed anche quando è una donna a compiere atti di questo genere (penso al caso della soldatessa americana di Abu Ghraib) questa è una donna che ha rimosso alla radice la sua femminilità trasformandosi in un "vero soldato".
Dovrebbe essere compito delle anarchiche e degli anarchici, che si pretendono "complessivi" nella loro critica di ogni forma di oppressione, essere in prima fila in questa lotta, a fianco del movimento delle donne, sia negli spazi pubblici, ma anche e, per certi versi, soprattutto nel privato.
Fare veramente nostro il senso di questa frase "un'offesa fatta a una donna è un'offesa fatta a tutti".

Tiziana

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