Anche solo considerando i dati dell'Istat, che certo sottostimano il
fenomeno, in Italia la violenza di genere è compiuta per il 98%
da uomini su donne; in massima parte gli stupratori sono cittadini
italiani; la violenza maschile resta la prima causa di morte e di
invalidità permanente delle donne. Oggi politici e giornalisti
si sforzano di strumentalizzare gli episodi più eclatanti di
stupro per legittimare politiche autoritarie e xenofobe. Ma va ribadito
che la violenza di genere attraversa verticalmente tutta la
società e che stupri e femminicidi non sono che la punta
emergente di un fenomeno ben più ampio e stratificato: quello di
una generale discriminazione delle donne, nel lavoro, nella vita
quotidiana, nella negazione della nostra libertà, nella
violazione dei nostri corpi, nella costrizione al silenzio.
Denunciare e contrastare la violenza sessuale non sarà allora
sufficiente se non si mettono in questione anche le forme strutturali
della discriminazione e del sessismo: la rappresentazione
istituzionalizzata del «femminile», le immagini sessiste di
Tv, giornali, libri di scuola, ma anche i processi di precarizzazione
del lavoro femminile, le disparità di salario e di carriera nei
posti di lavoro, l'attribuzione diseguale, solo alle donne, della cura
gratuita della casa, dei bambini, degli anziani. Proprio la crescente
discriminazione del lavoro femminile diventa, in tempi di crisi
economica, il fulcro materiale di un rinnovato autoritarismo sul corpo
delle donne, costrette a lavori malpagati e, di conseguenza, sempre
più vincolate alla casa in posizione di subalternità e
dipendenza economica.
Solo ora ci si sta rendendo conto della gravità e
dell'estensione della crisi finanziaria che sempre più investe e
disgrega l'«economia reale» lasciando sul campo milioni di
disoccupati. È una crisi che scuote violentemente parametri e
assetti consolidati, tanto che c'è chi ha parlato dell'aprirsi
di una «nuova fase del capitalismo» dagli esiti
imprevedibili. Né è un caso che nei paesi occidentali la
«politica per la famiglia» assuma oggi nuova importanza:
l'Unione Europea raccomanda a governi e imprese di «sostenere la
famiglia» e di «investire nelle risorse umane e nell'uso
efficiente del capitale umano».
Certo è che la crisi della globalizzazione neoliberista impone
una crescente riterritorializzazione delle economie capitalistiche, il
rilancio dei mercati interni, la necessità di ridare reddito per
riavviare il ciclo dei consumi. Ma i nuovi «aiuti
familiari» comportano un forte risvolto di normatività, di
controllo e di disciplinamento della vita delle donne. Concesso
dall'alto, in una fase drammatica di tagli e disoccupazione, il reddito
assumerà sempre più un valore premiale per chi si
identifica con una sorta di «salute nazionale». Le
politiche statali mirano oggi a distinguere tra «decorose»
famiglie regolari (che riproducono lavoratori-consumatori) e lavoratori
usa e getta, non garantiti, da sfruttare al massimo grado. In questo
quadro, sono le donne a pagare il prezzo più alto: discriminate
sul posto di lavoro, subordinate in famiglia, costrette gratuitamente
al «lavoro di cura».
Non si tratta pertanto di cercare risposte in una falsa coesione, ma
nelle lotte e nel conflitto sociale promosso dalle donne. Oggi crediamo
sia importante creare reti autonome di lotta femminista e forme di
autoassistenza sviluppando e potenziando quegli esperimenti che
già esistono di economia alternativa, dal basso, solidaristica.
Ma occorre altresì interrogarsi sui risvolti disciplinari dei
nuovi progetti di Welfare: rivendicare una garanzia di reddito dalle
istituzioni («reddito di cittadinanza», «reddito di
esistenza», «salario garantito») riesce davvero a
contrastare efficacemente le politiche sociali autoritarie? è
adeguato portare avanti parole d'ordine che solo ieri apparivano
utopiche e ora diventano strumento differenziale di governo e di
disciplinamento?
Si pensi solo al progetto del «mutuo sociale per la casa»
portato avanti in questi anni dai neofascisti di CasaPound e reso
operativo di recente dal sindaco Alemanno. Anziché riproporre
l'edilizia popolare o calmierare in qualche modo il mercato degli
affitti, il comune di Roma preferisce erogare soldi alle famiglie
avvantaggiando chi ha già disponibilità economiche e
favorendo insieme la speculazione edilizia dei
«palazzinari». Ma chi non ce la fa a pagare l'affitto non
potrà certo permettersi di comprare una casa, anche con un mutuo
agevolato. Quello del «mutuo sociale» è un programma
politico di controllo e di promozione della famiglia italiana,
«sana», disciplinata. Lo stesso potrebbe dirsi per la
campagna del comitato «Tempo di essere madri», legato a
CasaPound, che promuove in questi giorni una proposta di legge per il
part-time alle madri lavoratrici italiane mantenendo lo stipendio
pieno. Sono proposte del tutto coerenti con il nuovo
«neoliberismo nazional-populista». Con una mano
deregolamentano il lavoro; con l'altra tendono il pane, ma solo ad
alcuni: a coloro che sono capitale umano, madri e padri fedeli al
dovere, famiglia sana e perbenista. Queste politiche, infatti, sono
basate su una pesante selezione degli aventi diritto e su condizioni
inflessibili e ricattatorie per non decadere dagli «aiuti».
Di fronte a una situazione come quella attuale – così simile
alla stagione del Novecento che prelude ai grandi totalitarismi europei
– pare sempre più necessario un impegno di lotta femminista a
tutto campo. Nella riunione nazionale del 24 gennaio, il Tavolo 4
«Lavoro/precarietà/reddito» della rete femminista e
lesbica delle Sommosse, ha deciso di lanciare l'idea di uno
«Sciopero delle Donne», costruito in modo autonomo dalle
lavoratrici, dalle operaie, dalle precarie, dalle disoccupate, dalle
giovani, dalle migranti, per denunciare una disparità che
perdura e peggiora ogni giorno. Per promuoverlo, l'8 marzo vi saranno
in tutt'Italia presidi, sit in, manifestazioni, volantinaggi,
assemblee, raccolte di firme, iniziative di protesta, azioni simboliche
(vedi http://femminismorivoluzionario.blogspot.com). Non pagheremo la
vostra crisi! Non ci piegheremo alle politiche patriarcali che vogliono
sottrarci quel poco di libertà che ci siamo conquistate!
Cassandre felsinee del Tavolo 4