ALBERTO MAGRI, pittore (1880-1939)
Settanta anni dalla morte di Magri. Di lui si sono interessati in
pochi: più volte Alessandro Parronchi, quindi Viani, Boccioni,
Ojetti, Carrà. Più recentemente, Umberto Sereni.
Ventiduenne è vignettista a Parigi. Refrattario alle lusinghe
del nuovo (Art Noveau), percorre una propria strada rifuggendo la
maniera del periodo. Boccioni scriverà che Magri ha un arte
antifotografica, antiaccademica che ci riporta agli elementi
primordiali, ci fa dimenticare la ferraginosa complicata
virtuosità della Pittura di tutti i giorni.
Nato a Fauglia (Pisa) nel 1880, fra il 1902 e 1903 a Parigi
collabora a «Le Caricature»; «La vie pour
vivre»; «Le journal pour tous». Rientrato in Italia
nel 1914 espone al «Lyceum» di Firenze opere che
rappresentano appieno la propria terra. Qui presenta il trittico in
dieci pannelli, La vita dei campi composto da La Vendemmia, La
Casa Colonica, Il Bucato. Quest'opera sarà riproposta alla
«Famiglia Artistica» di Milano nel 1916, con l'aggiunta
del dittico La Casa in Ordine e La Casa in Disordine, selezionato
dalla giuria. Magri è figura dalle molte sfaccettature e dai
vasti interessi. Dal 1918 al 1922 insegna prima a Novara, quindi a
Barga (i genitori ne erano originari), dove per vivere e dipingere in
seguito trova precario lavoro presso una banca al fine di ricevere
quanto basta per sopravvivere. La fine giunge repentina nel 1939. Per
Parronchi, Magri, pur rappresentando l'arte primitivista, accende e
influenza il miglior Viani.
Il suo primo dipinto, escluse caricature e vignette, è del 1908
(Ferimento di una bambina). Ormai vive a Barga, e nel paese
d'adozione si immerge completamente al punto di dipingerne
l'intera quinta (La Casa Colonica).
Boccioni, su «Gli Avvenimenti» del 14 maggio 1916, poco
prima di morire al fronte, pur dichiarando di essere agli antipodi di
Magri sul piano formale, lo riconosce come coltissimo rievocatore della
maniera, del gusto, dello stile di un epoca rivoluzionaria e
sapientissima, qual'è quella del medioevo e che gli storici
chiamano "dei primitivi", elevandolo d'un colpo dalla mischia di
passatisti e tradizionalisti, antitradizionale e antimoderno: al di
là e al di sopra di essi .
Magri, con lo pseudonimo di D'Aliroc su «La Fiamma» (dic.
1914), afferma: per me il futurismo non è che rappresentazione
in altra forma. Si seguita a rappresentare con più
tecnica, con canoni diversi: è raffinatezza, in quanto
ritiene che il senso di rappresentazione deve sparire dalla pittura ed
essere sostituito dalla poesia del reale, è quindi esattamente a
metà strada tra questo puro sogno e il vitalismo e determiniamo
dei futuristi, ed è qui che si collocano i Pannelli del "Diario"
del Magri degli anni 19l6-18.
Prima a Radda (Siena) nel 1984, poi a Lucca nel 1990, Sereni ricorda
l'artista inappartenente, riportandolo al clima dell'Apua Mater di
Ceccardi: qui, nelle Apuane, anarchici, libertari e spiriti liberi
credono nella possibilità di "ritagliarsi" un angolo di
mondo, nel quale vivere la propria anarchia: come si nota in
«Versilia», sul quale Viani pubblica il 6 giugno 1914,
Battaglie d'arte. Alberto Magri, che qui troviamo assieme ai figli
apuani De Ambris, Nomellini, Ungaretti, Magri.
Viani gli è sincero amico e compagno riconoscendo in lui
l'esaltatore più forte e universale dell'apuanità.
Sereni, nella nota 81 (p. 58) del catalogo del 1990, rammenta che, a
suggello dell'impegno in tal senso si determina la Progettazione di una
rivista, "Apua Ferox" come diretta espressione della 'fratellanza' di
cui Ceccardo e Salvatori erano i redattori e i collaboratori erano
Carlo Fontana, Lorenzo Viani [...] AIberto Magri ...
Siamo quindi in presenza di un artista militante, nel senso di
uomo libero da schemi, che aspira ad una società che non chiede
e non impone, nemmeno nell'arte.
L'autonomia dello spirito libero di Magri incute rispetto e attenzione.
Agli occhi delle avanguardie, Magri non è né appare un
passatista, ma un artista che persegue un suo personalissimo percorso,
al di fuori di parrocchie, congreghe, circoli. I cani sciolti fanno
sempre paura, o si scansano o si rinchiudono, solo la
sensibilità di pochi riesce a cogliere nella interiore
libertà di un anarchico, l'autonomia formale non confondibile
con la tradizione.
Non potevano non intuirne il valore Viani e Boccioni, quando, ne La
Strada - prova fatta nel gennaio del 1915 - e nella definitiva La
Strada n. 5 dello stesso anno (entrambe distrutte), riconoscono i
temi e i mezzi coevi già di Carrà e di parte del
Futurismo. Lo stesso Parronchi ricorda che "Le Strade" recano
l'impressione evidente di spunti futuristi (le figure dell'automobile
rese con un tratto ripetuto per dare l'impressione del movimento, il
gusto dei caratteri di stampa).
Ancora più forte e marcato nel 1916 è Diario:
Torino, (Piazza Stazione), dove rappresenta una persona assorta e
un giardino, di chiara matrice balliana. Ancora più incrinato,
rotto è Diario: Viareggio (molo di Viareggio, 1916) e
specialmente Diario: Il Farmacista. L'intera compagine pare essere di
Giacomo Balla, con l'aggiunta di scritte che ne rimarcano la grafica
(personalissima) di tipo futurista e cubista. Le opere successive,
riportano Magri a certo primitivismo, agli sky-line di Barga, con il
cerchietto con inclusa la stella, ma sempre con la massima
libertà stilistica che non è eclettismo, ma rigore della
ricerca personale, senza cedere ai richiami delle sirene commerciali o
per dirla con Gian Pietro Lucini, del bataclan meetingaio.
Autore individualista, controcorrente, il quale non ha bisogno di
dimostrare nulla. Comunica, non cerca consensi, né cerca
contrasti, segue solo se stesso. Non mi pare davvero poco.
Per saperne di più:
A. Parronchi, Artisti ltaliani del primo novecento, Firenze 1958.
Z. Birolli (a cura di), Umberto Boccioni scritti editi ed inediti, Feltrinelli, Milano 1971.
A. Parronchi (a cura di), Alberto Magri, in «Novecento inedito», Galleria Falsetti, Prato 1972.
P. C. Santini - U. Sereni, Alberto Magri, catalogo, Radda in Chianti, 1984;
U. Sereni, Il sogno del "liberato mondo", in, AA. VV., Fra il Tirreno e le Apuane, catalogo, Artificio, Firenze 1990.
Alberto Ciampi