Umanità Nova, n.10 del 15 marzo 2009, anno 89

Ora e sempre sciopero!


Non bastavano la crisi, la stretta alle libertà individuali e collettive, le leggi securitarie, le ronde legalizzate, i licenziamenti, le cassa integrazione, quindici anni di compressione salariale per effetto degli accordi di luglio '93 e la riforma degli assetti contrattuali.
In un momento nel quale i sindacati concertativi hanno finalmente gettato quel poco di maschera che rimaneva rivelandosi solo ed esclusivamente dei pupi attaccati ai fili del padronato e del governo, e i lavoratori non possono percorrere altra strada che quella della lotta, il governo se ne esce con una norma che di fatto cancella il diritto di sciopero.
Si tratta del settore trasporti, ma sappiamo per lunga esperienza che questo è solo l'inizio, un primo banco di prova; se la norma passa la estenderanno a tutti gli altri settori come immediatamente richiesto a gran voce dalla Marcegaglia.
La mossa è, come nel consueto stile di questo governo, d'impatto: come scordarsi le interviste dei viaggiatori incazzati a causa degli scioperi aeroportuali, come dimenticare i disagi che tutti più o meno frequentemente hanno subito a causa di uno sciopero della metro, dei bus, dei treni?
Già ora nei trasporti gli scioperi sono rigidamente regolamentati dalla legge 146/90 e l'argomento forte nel presentare tale normativa  è stato, allora come oggi che uno o due sindacatini autonomi non possono paralizzare il paese; e tutti a starnazzare compiaciuti.
Peccato che i disagi degli utenti -nella maggior parte dei casi lavoratori essi stessi, ché i manager e i padroni non vanno in tram- siano causati dalle scellerate politiche di privatizzazione dei servizi, non dagli scioperi. Ma tant'è.
Quello che vorremmo sottolineare non sono però il carattere reazionario e la palese iniquità dell'ennesimo decreto, ma il fatto che da ora in poi i lavoratori, se non sapranno svincolarsi dalle maglie dei sindacati concertativi e dalla loro impostazione del tutto legalistica e corporativa, saranno di fatto condannati alla non-azione perenne, dunque a subire passivamente ogni cosa.
Non serve a nostro avviso richiamarsi alla costituzione della repubblica e a presunti diritti garantiti per legge: le leggi vengono scritte dai politicanti di turno, per favorire gli interessi del padronato e dei diversi comitati d'affari; se un governo vara leggi favorevoli ai lavoratori, è unicamente perché vi è costretto dalla lotta dei lavoratori stessi, non certo per buon cuore: basti pensare che lo statuto dei lavoratori è del 1970, ed è frutto delle lotte operaie del '69, così come la costituzione risente degli effetti della guerra di liberazione e delle repubbliche partigiane, solo per fare un esempio.
Il decreto antisciopero è frutto dei tempi attuali, informato dal nuovo clima di collaborazione tra organizzazioni concertative, governo e padronato.
Ricordiamoci però che fin dalle prime lotte operaie e contadine lo sciopero non è stato mai un diritto: era illegale, i padroni chiamavano i crumiri e i governi li proteggevano, gli scioperanti subivano licenziamenti, ricatti, arresti e omicidi.
I lavoratori però hanno continuato a scioperare, e hanno così imposto la pratica dello sciopero a padroni e stati, nell'unico modo possibile, non chiedendo una legge che lo consentisse, ma adottandolo nei fatti come strumento di lotta.
Occorre fin da subito rendersi conto che non serve farsi ingabbiare nella sterile diatriba costituzionale-legalistica: se i lavoratori sapranno organizzarsi in strutture di base e riprendere in mano in prima persona le redini della lotta sindacale, se sapranno rinnovare la lotta superando la pura vertenzialità di settore o aziendale per inseguire obiettivi più generali, se sapranno agire facendo a meno dell'imprimatur della legge sulle proprie iniziative di lotta, allora potranno realmente fare la differenza e iniziare a scavare il terreno sotto i piedi allo stato e al capitalismo: diversamente nulla potrà cambiare, se non in peggio.
A noi anarchici il compito di sostenere le lotte, sia portandole avanti in qualità di lavoratori, sia organizzando ove possibile strutture di solidarietà e resistenza per i colpiti dalla repressione che inevitabilmente calerà su chi rifiuterà di sottostare a questa ennesima infamia legislativa.

La Commissione "mondo del lavoro" della F.A.I. 

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