Non bastavano la crisi, la stretta alle libertà individuali e
collettive, le leggi securitarie, le ronde legalizzate, i
licenziamenti, le cassa integrazione, quindici anni di compressione
salariale per effetto degli accordi di luglio '93 e la riforma degli
assetti contrattuali.
In un momento nel quale i sindacati concertativi hanno finalmente
gettato quel poco di maschera che rimaneva rivelandosi solo ed
esclusivamente dei pupi attaccati ai fili del padronato e del governo,
e i lavoratori non possono percorrere altra strada che quella della
lotta, il governo se ne esce con una norma che di fatto cancella il
diritto di sciopero.
Si tratta del settore trasporti, ma sappiamo per lunga esperienza che
questo è solo l'inizio, un primo banco di prova; se la norma
passa la estenderanno a tutti gli altri settori come immediatamente
richiesto a gran voce dalla Marcegaglia.
La mossa è, come nel consueto stile di questo governo,
d'impatto: come scordarsi le interviste dei viaggiatori incazzati a
causa degli scioperi aeroportuali, come dimenticare i disagi che tutti
più o meno frequentemente hanno subito a causa di uno sciopero
della metro, dei bus, dei treni?
Già ora nei trasporti gli scioperi sono rigidamente
regolamentati dalla legge 146/90 e l'argomento forte nel presentare
tale normativa è stato, allora come oggi che uno o due
sindacatini autonomi non possono paralizzare il paese; e tutti a
starnazzare compiaciuti.
Peccato che i disagi degli utenti -nella maggior parte dei casi
lavoratori essi stessi, ché i manager e i padroni non vanno in
tram- siano causati dalle scellerate politiche di privatizzazione dei
servizi, non dagli scioperi. Ma tant'è.
Quello che vorremmo sottolineare non sono però il carattere
reazionario e la palese iniquità dell'ennesimo decreto, ma il
fatto che da ora in poi i lavoratori, se non sapranno svincolarsi dalle
maglie dei sindacati concertativi e dalla loro impostazione del tutto
legalistica e corporativa, saranno di fatto condannati alla non-azione
perenne, dunque a subire passivamente ogni cosa.
Non serve a nostro avviso richiamarsi alla costituzione della
repubblica e a presunti diritti garantiti per legge: le leggi vengono
scritte dai politicanti di turno, per favorire gli interessi del
padronato e dei diversi comitati d'affari; se un governo vara leggi
favorevoli ai lavoratori, è unicamente perché vi è
costretto dalla lotta dei lavoratori stessi, non certo per buon cuore:
basti pensare che lo statuto dei lavoratori è del 1970, ed
è frutto delle lotte operaie del '69, così come la
costituzione risente degli effetti della guerra di liberazione e delle
repubbliche partigiane, solo per fare un esempio.
Il decreto antisciopero è frutto dei tempi attuali, informato
dal nuovo clima di collaborazione tra organizzazioni concertative,
governo e padronato.
Ricordiamoci però che fin dalle prime lotte operaie e contadine
lo sciopero non è stato mai un diritto: era illegale, i padroni
chiamavano i crumiri e i governi li proteggevano, gli scioperanti
subivano licenziamenti, ricatti, arresti e omicidi.
I lavoratori però hanno continuato a scioperare, e hanno
così imposto la pratica dello sciopero a padroni e stati,
nell'unico modo possibile, non chiedendo una legge che lo consentisse,
ma adottandolo nei fatti come strumento di lotta.
Occorre fin da subito rendersi conto che non serve farsi ingabbiare
nella sterile diatriba costituzionale-legalistica: se i lavoratori
sapranno organizzarsi in strutture di base e riprendere in mano in
prima persona le redini della lotta sindacale, se sapranno rinnovare la
lotta superando la pura vertenzialità di settore o aziendale per
inseguire obiettivi più generali, se sapranno agire facendo a
meno dell'imprimatur della legge sulle proprie iniziative di lotta,
allora potranno realmente fare la differenza e iniziare a scavare il
terreno sotto i piedi allo stato e al capitalismo: diversamente nulla
potrà cambiare, se non in peggio.
A noi anarchici il compito di sostenere le lotte, sia portandole avanti
in qualità di lavoratori, sia organizzando ove possibile
strutture di solidarietà e resistenza per i colpiti dalla
repressione che inevitabilmente calerà su chi rifiuterà
di sottostare a questa ennesima infamia legislativa.
La Commissione "mondo del lavoro" della F.A.I.