Umanità Nova, n.11 del 22 marzo 2009, anno 89

Una società da 5 in condotta


L'istituzione scolastica – pubblica o privata che sia – è un tribunale che condanna gli studenti colpevoli a priori di non sapere. Le pene, si sa, variano da un minimo di 13 anni (salvo buona condotta) se il reo, oltre ad ammettere la propria ignoranza, accetta ben volentieri di farsi istruire,  ad un massimo che a volte rasenta l'ergastolo, nel senso che per tutta la  vita si è giudicati privi d'istruzione e per l'eternità condannati secondo i sacri testi scolastici ed i loro legittimi interpreti sacerdotali, gli insegnanti. Tutto ciò ora non basta più: è imposta anche la morte, dopo previa tortura.
Stiamo esagerando? Può darsi. Ma come analizzare ed interpretare ciò che sta accadendo nel mondo della scuola italiana da quando, con il Ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini, l'istruzione  ha subito una accelerazione securitaria e persecutoria in tutto e per tutto identica a quanto si va affermando nel Bel Paese trapuntato da sbirri zelanti, militari compunti e ronde intraprendenti? Del resto non è forse la scuola un microcosmo dov'è riflessa l'immagine della società che la compone? O dobbiamo semplicemente limitarci a considerare questioni meramente didattiche e connesse a logiche di contenimento della spesa pubblica l'introduzione del maestro unico quale antidoto ad una pluralità d'opinioni di per sé dannose e destabilizzanti  le certezze dei fanciulli; il voto di condotta così necessario a ridare autorità, dignità e prestigio al corpo docente alle prese con la credibilità del proprio ruolo sociale; la meritocrazia come parametro valutativo del servizio prestato dal corpo insegnante per stabilirne capacità, compensi e relativi licenziamenti; l'autonomia amministrativa e didattica gestita da dirigenti scolastici sempre più figure manager di catene di supermercati dell'istruzione con tanto di offerte promozionali per conquistare la clientela studentesca?
Chi vive e frequenta l'istituzione scolastica (studenti, insegnanti, genitori, applicati di segreteria e persino dirigenti scolastici) sa che fintanto che non si troverà il modo per inceppare la produzione di noia che la scuola di ogni ordine e grado distribuisce a pieno titolo, nessun problema potrà mai essere affrontato, tanto meno gli scarsi risultati conseguiti da studenti e insegnanti sul piano dell'apprendimento, per non parlare dell'intolleranza diffusa nei confronti di chi diviene oggetto che distrae dalla noia di non saper cosa fare per la sua semplice presenza inoffensiva, remissiva e succube. Eppure di fronte alla necessità di ricominciare a vivere combattendo la noia  al fine di poter sperimentare un embrione di vita comunitaria – perché, se la scuola è il nostro futuro, lo è solo se in grado di anticiparlo nel presente, sperimentando un sapere comunitario in cui la conoscenza non può essere finalizzata a preparare/formare i giovani, organizzandogli il domani senza preoccuparsi di domandargli quale domani vogliono… adesso… subito –  vengono periodicamente riproposte soluzioni autoritarie e repressive con l'intento di riaffermare un'istituzione scolastica che invece di trasformare in ricchezza il sapere di ognuno, svolge la funzione di agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così com'è.
Certo, in un'epoca in cui sono le risposte semplici e perentorie a cercare di offrire soluzioni immediate e definitive a problemi complessi, non meraviglia che l'introduzione del cinque in condotta venga proposto quale antidoto al "bullismo" a scuola; sennonché tali risposte soddisfano non i problemi che pretendono di risolvere, ma soltanto chi  ha bisogno di camuffare il proprio deficit di autorevolezza nell'affrontarli poiché incapace di analizzarli e comprenderli, dal momento  che in classe e nella società si fa bullo invocando le espulsioni degli stranieri, il ricorso alle ronde di quartiere e la tolleranza zero nei confronti di chi è estraneo al suo status.
Così alla colpa di non sapere di cui la scuola pregiudizialmente accusa gli studenti, si affianca la ben più temuta colpa di non essere educato, rispettoso ed ossequioso delle regole comunitarie da parte di una comunità che – per regola – diffida di chi gli fa da specchio.

gianfranco marelli

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