È in strada che avvengono le cose – dicono i francesi – ed
infatti è dal 29 gennaio, giorno della Grève
Générale, che i francesi hanno cominciato a rivivere le
loro strade in maniera diversa.
Tutto è iniziato, appunto, con uno Sciopero Generale convocato
da tutte le sigle sindacali, contro le iniziative di riforma del
Governo Sarkozy. Lo sciopero, molto partecipato, è stata dunque
la scintilla. Sarkozy, qualche giorno prima (il 22 gennaio), aveva
fatto il punto sul settore della ricerca in Francia. Lo aveva fatto
pubblicamente, umiliando, con dati menzogneri, professori e ricercatori
francesi al fine di legittimare i procedimenti presi nella riforma
riguardante il riordino dell'università. Qualche giorno dopo (il
4 febbraio), sempre in un intervento pubblico andato in onda in almeno
la metà dei canali televisivi francesi, spiegava ai francesi che
per uscire dalla crisi bisogna dare i soldi alle banche e alle imprese,
non ai lavoratori, i quali possono chiederli eventualmente alle
suddette…
A questo punto ci si aspetterebbe la "rivoluzione", ma… Purtroppo
c'è sempre un ma di troppo, i sindacati (esclusa chiaramente la
CNT) fanno un passo indietro, concertano e fissano un'eventuale data
per un prossimo sciopero generale il 19 marzo. Tutto tace?! Ma quando
mai. Se questo, da un lato, attenua la risposta sociale in termini
più ampli, dall'altro si canalizza nella risposta ancora
più incazzata di prima del mondo scolastico e soprattutto
universitario. È su questo ultimo adesso che concentreremo la
nostra attenzione. Per due motivi: il primo perché è
quello, indiscutibilmente, più attivo; il secondo perché
è quello nel quale milito maggiormente, in quanto
studente-ricercatore all'università di Lione.
Per comprendere le ragioni di un movimento così determinato
bisogna fare qualche passo indietro nel tempo. Tutto ha inizio circa
cinque anni fa, con una politica di governo che prevede una serie di
tagli sempre più ingenti alla ricerca ed una conseguente
precarizzazione del settore universitario sia in termini di
insegnamento che di ricerca. Nel 2004 il governo francese annuncia
degli aumenti di finanziamento per la ricerca mai elargiti, anzi… Il
mondo universitario protesta, ma non trova una cassa di risonanza nella
popolazione, così il governo, sordo alle richieste e alle
proposte del mondo accademico, continua la sua politica di tagli e
umiliazioni. Aumenta la precarietà, aumenta la frustrazione,
aumenta la rabbia. Il governo aumenta sì i finanziamenti alla
ricerca, ma a quella svolta dalle imprese private con lo scopo
annunciato di finanziare fonti innovative di profitto grazie all'aiuto
delle imprese e di "agences de moyen" create apposta per fare da
tramite tra ricerca nel settore pubblico ed in quello privato.
Il principio di questi agenzie, come l'Agenzia Nazionale per la Ricerca
(ANR) è molto semplice: si tratta di agenzie finanziate con i
fondi pubblici, ma pilotate più o meno direttamente dal
Ministero della Ricerca con lo scopo di lanciare delle "offerte" ai
ricercatori. Mi spiego. Il ricercatore, in questo quadro che si
delinea, perde notevolmente di autonomia in quanto ricevono dei
finanziamenti solo se attuano delle ricerche in linea con quelle
"offerte" dalle agenzie di governo, come appunto l'ANR o il CNRS (che
sta subendo un processo di trasformazione in questo senso).
L'obiettivo è chiaro: togliere autonomia scientifica ai centri
di ricerca pubblici e ai singoli ricercatori. Questo ha delle
conseguenze disastrose anche dal punto di vista lavorativo, se ad
essere finanziate sono solo quelle ricerche portate avanti dalle
équipe in accordo con i progetti ministeriali. Progetti che,
bisogna sottolineare, hanno una durata determinata: finita la ricerca,
a casa!
Ed ecco come si arriva alla legge LRU del 2007, oggetto dell'attuale contestazione, goccia che fa traboccare il vaso.
La legge prevede maggiori "libertà e responsabilità"
delle singole università, rinforza la concorrenza tra le
università stesse e introduce, di conseguenza, dei solchi di
ineguaglianza sempre maggiori: proprio come i fantomatici Poli d'elite
decantati dalla Gelmini.
A Lyon – dove mi trovo –, per fare un esempio, è stata scelta
l'università Lyon1 come polo d'eccellenza a discapito di Lyon2 e
Lyon3. In Francia la chiamano "economia della conoscenza" e parlano di
"promozione della diversità sociale": non potendo finanziare
tutti, si danno i soldi a chi può meglio servire l'economia
capitalista e i suoi profitti. Chi potrà permetterselo
studierà nelle fantomatiche università d'elite, per gli
altri l'università sarà un passatempo…
La legge prevede, dunque, l'autonomia dei singoli atenei, disimpegnando
così lo Stato da ogni onere finanziario gravoso. Prevede un
aumento di poteri decisionali/gestionali ai rettori che sono,
così, "liberi" di rivolgersi alle imprese private per ottenere i
finanziamenti di cui hanno bisogno (per non parlare dell'aumento delle
tasse di iscrizione: a Parigi l'università Paris-Dauphine ha
già annunciato per il prossimo anno accademico un aumento di 800
euro!).
Gli stessi rettori – i soli, in realtà, a divenire più
"autonomi" – avranno anche il potere di reclutare gli insegnanti e i
ricercatori che preferiscono, senza dovere passare dal sistema di
concorso statale per l'assegnazione delle cattedre, con un sistema
contrattuale che prevede, a piacimento, l'assegnazione del posto a
tempo parziale o determinato. Il clientelismo più sfrenato!
La legge prevede, per finire, la messa in vendita del 3% del capitale dei campus universitari francesi.
A tutto questo si aggiunge la riforma attuale che prevede il riordino
delle carriere degli insegnanti/ricercatori con una netta separazione
delle mansioni.
Cioè: i professori che non sono particolarmente produttivi nel
campo della ricerca dovranno limitarsi all'insegnamento, quelli che
invece eccellono nella ricerca non dovranno più fare lezione, ma
limitarsi alla ricerca. Chi stabilisce chi è adatto all'una o
all'altra delle mansioni non è la comunità scientifica
(autoreferenziale e imparziale, secondo Sarkozy), ma dei funzionari
mandati dal Ministero e i rettori; per la valutazione saranno anche
prese in considerazione il numero (la quantità! non la
qualità) delle pubblicazioni scientifiche nazionali e
internazionali. Obiettivo di tutto ciò è, ancora una
volta, fare economia: le ore supplementari di insegnamento dei primi
(quelli destinati al solo insegnamento) suppliranno alla diminuzione
del tempo d'insegnamento dei secondi (i ricercatori), risparmiando
così superflue assunzioni… in un sistema, quello universitario
francese, che attualmente conta un terzo del personale in condizioni di
precarietà contrattuale.
La riforma 2009 prevede anche la modifica dello statuto dei dottorandi,
definito localmente da ogni singola università, che non potranno
più sperare in un'eventuale carriera all'interno delle
università, ma dovranno accontentarsi di essere spremuti sin
quando non ci sarà più bisogno di loro.
Di fronte a questa macabra realtà che si delinea, gli studenti,
i professori e i ricercatori francesi hanno deciso di non restare
più a guardare. A partire dal fatidico 29 gennaio hanno, dunque,
deciso di dissotterrare l'ascia di guerra e proclamare uno sciopero
illimitato fino al ritiro della legge LRU e dell'attuale riforma.
Sciopero che, ad oggi, continua nelle forme più svariate. I siti
universitari restano per lo più occupati, o meglio presidiati,
continuativamente dagli studenti; le lezioni, quando si svolgono, si
svolgono in piazza (qualunque sia la condizione climatica); uno o due
cortei a settimana, sempre molto partecipati, sfilano per le vie della
città; e tante altre iniziative…
Da sottolineare – dal nostro punto di vista – la presenza costante e
numerosa degli anarchici, in particolare del sindacato studentesco
Sud-étudiant e della CNT.
È inutile sottolineare le analogie con quanto si è visto
questo autunno in Italia, con quanto si è visto
successivamente in Grecia e con quanto si prospetta in Gran Bretagna e
Portogallo…
Che quello che sta avvenendo in Europa è frutto di una
più larga "crisi" è sotto gli occhi di tutti (gli slogan
urlati in Italia come in Francia – "Non pagheremo noi la vostra crisi!"
– parlano chiaro), il problema è come e cosa rispondere ad una
politica sempre più distante dalle esigenze della popolazione.
Sicuramente in maniera dura, determinata e decisa. Portando avanti le
nostre idee di libertà, uguaglianza e solidarietà. Con
l'autonomia e la partecipazione di tutte e di tutti. Con l'assunzione
di consapevolezza che il nostro futuro dipende da noi, rifiutando ogni
sorta di delega a terzi. Mai come adesso le nostre idee sono attuali e
concrete. Mai come adesso gli anarchici debbono prendere il posto che
loro spetta nella storia: se non ora, quando?!
Giuseppe Lo Piccolo