Sabato 14 marzo il Coordinamento Anarchico Palermitano ha dato vita
a un presidio informativo in centro storico contro il
pacchetto-sicurezza e il restringimento degli spazi di libertà.
Alla manifestazione hanno partecipato una quindicina di compagni e
simpatizzanti che per tutto il pomeriggio hanno effettuato un massiccio
volantinaggio per spiegare alla cittadinanza la gravità della
stretta repressiva che si nasconde dietro la strategia della paura
messa in campo da chi detiene il potere. In questi tempi in cui le
menzogne sono pane quotidiano, dire la verità è un atto
rivoluzionario. Ed è per questo che gli anarchici palermitani
sono scesi in piazza: per denunciare le cause della crisi e i
responsabili della devastazione sociale. I nemici non sono gli
immigrati, ma quelli che ci umiliano ogni giorno con contratti da fame,
con pensioni vergognose, con lo sfruttamento mascherato da
flessibilità. I veri nemici non sono i poveri o i senza casa, ma
quelli che fanno affari miliardari con la speculazione finanziaria alla
faccia dei lavoratori e in barba all'economia reale ridotta al collasso.
I veri nemici non sono quelli che manifestano per la libertà di
tutti, ma quelli che scatenano la paura per poi reprimere e
perseguitare in nome della loro libertà di comandare meglio.
Gruppo "A. Failla" - FAI Palermo
Il comitato antirazzista e quello di studenti e precari di Spoleto
hanno distribuito in città un volantino per sottolineare che "Se
non si arriva alla fine del mese la colpa è dei padroni e non
degli immigrati", come recita il titolo. Di seguito ne riportiamo ampie
parti:
Ronde, militari nelle strade, impronte ai figli degli zingari,
schedature dei senza tetto, lager in cui rinchiudere gli immigrati,
aggravanti penali per chi non è in regola, cure mediche negate
ai clandestini, "classi ghetto" per gli alunni stranieri. Di fronte al
razzismo dilagante e a proposte sconcertanti provenienti dalla destra e
dai leghisti, come l'esclusione degli stranieri dalle case popolari e
dai posti di lavoro per fronteggiare la crisi, sentiamo l'esigenza di
affermare alcuni punti fermi, alcune verità inconfutabili ma
purtroppo ignorate: 1) nel mondo il 10% dei privilegiati detiene il 90%
delle ricchezze; 2) l' inquinamento, la guerra, la deforestazione,
l'espulsione dei contadini dalle campagne usurpate dalle multinazionali
stanno producendo una drastica diminuzione dei generi alimentari e
aumento dei prezzi affamando e assetando milioni di persone nel mondo -
e oggi cominciamo a sentirli anche noi i rincari!; 3) solo nella
"ricca" Italia il 10% dei ricchi detiene il 50 % della ricchezza,
mentre fino a 10 anni fa essi ne detenevano il 40% e questo significa
che quando la crisi non c'era, c'è stato chi si è
arricchito moltissimo: ora a banchieri e padroni continuano a dare
soldi, mentre tagliano pensioni, ospedali, scuole, università e
lasciano a casa solo nel pubblico impiego ben 600 mila precari!
Di fronte a tutto ciò, dare la colpa agli stranieri e distrarre
la giusta rabbia popolare contro i diversi è un'operazione
vergognosa a cui sentiamo il bisogno di rispondere. Invece di dare la
caccia agli stranieri le ronde facciamole dentro le banche che ci
stanno rapinando da anni con i loro mutui da strozzini (...)
Uniamoci contro il razzismo. La crisi la paghino i padroni! Nessun euro
per banchieri, imprenditori e industriali. Nessun sacrificio per
costruire nuove carceri, per invadere militarmente la città e
per opere faraoniche inutili e dannose per l'ambiente. Più
risorse per scuole, università, case popolari, ospedali e
precari.
Comitato antirazzista di Spoleto
Comitato studenti e precari in lotta
Nella prima settimana di marzo la digos, approfittando di presidi e
manifestazioni in città ha consegnato un avviso di garanzia per
violenza privata, ingiurie e minacce a quattro antirazzisti che fanno
riferimento all'Assemblea Antirazzista. Con l'avviso è stata
notificata la richiesta di incidente probatorio per il riconoscimento
dei quattro indagati da parte degli assessori Ilda Curti e Fiorenzo
Alfieri e di due altri.
Violenza privata è un reato punito con pene sino a quattro anni
di reclusione, che possono essere aumentate se c'è l'aggravante
delle minacce. Il reato di ingiuria costa sino a tre mesi di reclusione
o 516 euro di multa. L'indagine parte da una denuncia di Ilda Curti,
assessore al comune di Torino con delega all'immigrazione.
Vi ricordiamo brevemente i fatti.
È il 17 luglio 2008. Sono passati due giorni dallo sgombero
della casa di via Pisa, occupata da alcune famiglie rumene. In piazza
D'Armi, nell'ambito del Festival ARCIpelago, coorganizzato da ARCI e
Circoscrizione 2, è in programma "Paure metropolitane", un
incontro/dibattito con una sfilza di politici e professori
universitari, tra cui l'assessore Curti.
Un gruppo di compagni apre uno striscione uguale a quello appeso al
balcone della casa di via Pisa. C'è scritto "casa per tutti":
era il sogno concreto di gente che una casa vera non l'aveva mai vista.
Un sogno infranto il 15 luglio, quando quelli dell'antisommossa con
carabinieri, vigili del fuoco e digos fecero irruzione in via Pisa e
deportarono gli abitanti nella baraccopoli di via Germagnano, dove non
c'è luce, né acqua, dove i bambini giocano nel fango e
tra i topi.
Al dibattito sulle "paure metropolitane" una compagna parla al megafono
della paura, quella vera, quella che stringe le vite di chi deve
lottare ogni giorno per quello successivo. Curti non tollera la
contestazione e, mentre i suoi colleghi di tavolo se la svignano senza
farsi notare, dà in escandescenze, inveisce e comincia
addirittura a mulinare le mani, cercando di aggredire i compagni che
reggevano lo striscione. Come già Chiamparino due giorni prima,
grida "E io che c'entro?"
Nella migliore tradizione del vecchio PCI il servizio d'ordine si
schiera interponendosi tra lo striscione e Curti. Volano insulti e
minacce ma gli antirazzisti non cadono nella provocazione. I presenti,
incuriositi, assistono e ascoltano i racconti dei compagni. Curti,
nonostante gli antirazzisti si fossero allontanati verso la balera e il
ristorante per parlare con la gente, se ne va e il dibattito viene
annullato.
L'assessore corre a denunciare chi aveva osato ricordare che, nella
città "always on move", chi fugge le baracche per abitare una
casa vuota trova manganelli e polizia.
Se pensava di aver tappato la bocca degli antirazzisti si sbagliava di
grosso. Due mesi dopo arriva un'altra contestazione. Il 27 settembre,
nell'ambito di "Torino spiritualità" Curti era stata chiamata a
moderare un dibattito dal tema evocativo "Gipsy time, una cultura che
è viaggio". C'è un vecchio lenzuolo con scritto "Casa per
tutti", girano volantini e partono slogan mentre Curti sbuffa. I
numerosi rom presenti invitano gli antirazzisti a salire sul palco. Una
compagna prende la parola e racconta la vicenda di lotta,
dignità e repressione delle famiglie di via Pisa, sottolineando
l'ipocrisia delle istituzioni che organizzano "eventi speciali" sulla
cultura rom, ma permettono che centinaia di uomini, donne e bambini
vivano nella miseria lungo i fiumi della città.
Dopo l'intervento numerosi rom ringraziano gli antirazzisti, facendo
capannello e raccontando una quotidianità di miseria e
sopraffazione. Curti mastica amaro: sperava di isolare gli antirazzisti
ma non c'è riuscita. Li incontrerà sicuramente ancora
sulla sua strada: non saranno certo le sue matte accuse a fermarli.
R. Em
Un tiepido sabato di marzo quello del 14. Ma non al CIE di corso
Brunelleschi, non per tre prigionieri che non vogliono rassegnarsi alla
deportazione. Il sabato è il giorno dei tunisini, il giorno in
cui di solito arrivano i poliziotti per scortarli all'aeroporto.
Tre di loro lo sanno e sono pronti a resistere: due si tagliano le mani
e poi anche il corpo, un terzo ingoia qualcosa. La Croce Rossa, che
gestisce il CIE, vorrebbe portarli via ma loro tengono duro: il sangue
è dappertutto. C'è gente disposta a farsi male, anche
tanto male, pur di non essere riportata a forza in un paese dal quale
è fuggita pagando metro dopo metro il viaggio verso la speranza
di un'altra vita. Un segno forte dei tempi che viviamo. Tempi terribili.
Le ferite sul corpo di quei tre uomini sono inferte nel profondo della
coscienza di ciascuno di noi, incapaci di reagire adeguatamente, di dar
forza reale alla nostra solidarietà, che arriva sempre,
inevitabilmente, in ritardo.
Il CIE resta nel caos sino alle 16, quando un'ambulanza porta via i
feriti. Nessuno dei tre tunisini parte quel giorno: hanno pagato con il
sangue questa piccola vittoria.
Gli antirazzisti arrivano al CIE qualche ora dopo. Lanciano palline
oltre il muro. Dentro un numero di telefono: chiamano in tanti dalle
gabbie per senza documenti. Il muro resta lì a testimoniare la
vergogna di questo nostro tempo. Per qualche ora, grazie a quel
telefono, un grido di libertà riesce ad oltrepassarlo. Poco,
troppo poco.