Due video, "Spagna '36. Un popolo in armi" e "Interviste ai
volontari italiani in Spagna" hanno aperto, mercoledì 11 marzo,
la serata dedicata alla rivoluzione libertaria del 1936 dalla FAI
torinese. Il pretesto dei 70 anni dalla tragica conclusione della
rivoluzione sociale sviluppatasi nel fuoco della lotta contro il
"levantamiento" militare del 18 luglio 1936, ha innescato un dibattito
serrato ed appassionante.
Un'occasione per i più giovani di conoscere meglio una vicenda
che ancora non viene raccontata nei libri di scuola e per tutti di
approfondire nel dibattito che è seguito questioni cruciali
quali la relazione tra processo rivoluzionario e insurrezione, tra
autogestione e conflitto, tra rottura dell'ordine materiale e frattura
di quello simbolico.
R. Em
Si è svolta dal 13 al 15 marzo scorsi, alla Lodola (Savigno,
BO), la tre giorni di incontri e dibattiti sull'autogestione, le
comunità resistenti, il comunalismo libertario. Diverse compagne
e compagni, in vari momenti, hanno dato vita a un momento di
socializzazione e approfondimento, fra il convivio ed il convegno.
L'autogestione, la pratica e il metodo libertari, sono stati la traccia
di tutti gli interventi. L'autogestione, nella situazione in cui ci
troviamo, è la salvezza dell'intera umanità, ha
sintetizzato efficacemente Giorgio Sibola a conclusione del concerto
dei BKK svoltosi nella serata di sabato 14 marzo.
Nella giornata di sabato tre ampie relazioni hanno messo in evidenza
come l'autogestione sia una pratica in essere e il contesto nel quale
chi lotta e lavora può esprimere la partecipazione diretta, il
rifiuto della delega, realizzare l'efficacia dei propri scopi ed
esprimere contemporaneamente la radicalità necessaria a mettere
in discussione l'ordine delle cose vigenti.
Si è partiti da una approfondita analisi del movimento NO-TAV
della Val di Susa, introdotto da Maria Matteo della Federazione
Anarchica Torinese; nonostante la repressione tentata nel 2005, i
tentativi di normalizzazione e recupero degli ultimi anni, il movimento
contro l'alta velocità è ben radicato e radicalmente
contrario a qualsiasi ipotesi di soluzione che lasci il minimo spazio
alla speculazione, alla devastazione del territorio, ad un modello di
sviluppo che sta dimostrando nella sua attuale crisi tutto il delirio
che lo produce e lo propone.
Pino Petita dell'USI-Sanità di Milano e partecipante del
progetto libertario Flores Magon, progetto di cooperazione
internazionale finalizzato alla salute delle popolazioni chapaneche
insorte, ha descritto il ruolo, i metodi e i risultati del progetto e
ha affrontato sia i temi delle modalità di funzionamento delle
comunità indie zapatiste che di altri progetti di cooperazione
internazionale supportati da diverse associazioni e organizzazioni
libertarie. Dal lavoro dei compagni di Amburgo della FAUD (sindacato
autogestionario tedesco aderente all'AIT) a quello dei compagni
svedesi, dal supporto che la "Coordinadora" dà per la
distribuzione del caffè zapatista a quello dei compagni liguri
dell'USI che, oltre al commercio solidale del caffè prodotto dai
contadini zapatisti, sta avviando anche un progetto per il cacao.
Domenico Liguori della Federazione Municipale di Base di Spezzano
Albanese, ha raccontato di questa esperienza di partecipazione popolare
"dal basso" alla gestione della cosa pubblica. La peculiarità
della comunità arbresh è quella di una completa distanza
e autonomia da qualsiasi forma istituzionale. Piena coerenza con i
presupposti anarchici di alterità allo stato e al capitalismo e,
contemporaneamente, grande concretezza e ampia partecipazione popolare
per mezzo della pratica assembleare e dell'azione diretta.
Nella Val di Susa, come in Chapas e in Calabria si dimostra che
l'autogestione è possibile, che le pratiche libertarie
funzionano e garantiscono la reale autonomia dei moventi e delle
popolazioni da qualsiasi strumentalizzazione politico-partitica. Nella
realtà chapanecha, poi, autogestione e conflitto si coniugano in
un esperienza dai caratteri decisamente rivoluzionari dove una vasta
popolazione affronta una guerriglia a "bassa intensità" prodotta
dal governo federale messicano, dal governo statale del Chapas e dai
latifondisti e dalle multinazionali che sono arrivati a costituire 15
corpi paramilitari.
Non è mancata, in questa tre-giorni, l'opportunità di
esprimere indignazione per le guerre e solidarietà alle vittime
di queste. Bello e significativo il lavoro di BKK che ha presentato
l'anteprima di uno spettacolo sulle vittime della guerra di Gaza del
2009. La sigla del gruppo sta a significare Bologna Klezmer Kapelia;
attraverso la musica yiddish la solidarietà alle vittime
palestinesi prodotte dalla repressione dell'esercito israeliano; un
modo evidente per testimoniare una solidarietà scevra da ogni
inclinazione nazionalistica.
RedB
Si è tenuta giovedì 12 marzo l'assemblea
cittadina per discutere dell'ordinanza prefettizia, che recependo la
direttiva Maroni, vieta le manifestazioni durante il sabato ed i giorni
festivi, ed anche la nuova regolamentazione anti sciopero.
Bologna è la prima città in cui viene applicata in
maniera burocratica e repressiva la direttiva del ministro. La
decisione è stata presa dal Prefetto dopo avere riunito il
Comitato per l'Ordine Pubblico, di cui tra gli altri fanno
parte il sindaco Sergio Cofferarti e la presidente
della provincia Beatrice Draghetti: quindi la decisione è stata
del tutto politica, con il pieno appoggio del PD locale.
All'assemblea, promossa da un appello sottoscritto da oltre cento
lavoratori (sia del settore pubblico che privato), erano presenti molte
realtà bolognesi, dai sindacati di base, spazi sociali,
studenti, gruppi politici più o meno organizzati.
La discussione ha toccato i vari temi proposti, mettendo in evidenza
come ancora una volta Bologna sia, non a caso,
terreno di esperimenti che andranno poi ad incidere a livello
nazionale. La politica securitaria in tutti questi anni portata avanti
dalla giunta Cofferati, ben si sposa con le idee che sull'argomento ha
il governo Berlusconi.
Sabato 21 marzo è stata quindi indetta una manifestazione che
partirà alle ore 15.30 da piazza Maggiore, con
l'intenzione di raggiungere il palazzo della Prefettura.
A tutt'oggi non è dato sapere se il corteo verrà o meno
autorizzato (stando alla direttiva Maroni, la risposta non potrebbe
altro che essere negativa).
Non sfugge a nessuno l'importanza di una risposta immediata e chiara
nei confronti del governo (locale e nazionale), quindi l'appello
è che nella giornata di sabato 21 siano molti a riempire le
strade di Bologna.
Vi terremo informati sugli ulteriori sviluppi.
AD
Sabato 14 marzo circa 400 persone (molti giovanissimi ma non solo)
hanno partecipato alla manifestazione indetta dagli spazi sociali della
Venezia-Giulia (area centri sociali del nord-est) contro il
proibizionismo e le politiche securitarie. Il corteo è stato il
momento finale di varie iniziative svoltesi in città in
contemporanea alla conferenza governativa sulle droghe capitanata da
Giovanardi e Fini (vedi UN della scorsa settimana). In particolare
giovedì e venerdì si è svolto al teatro miela un
convegno alternativo promosso dalla rete degli operatori sociali della
regione per rifiutare le politiche proibizioniste e portare avanti un
discorso di riduzione del danno e per le libertà
individuali. Il convegno ha visto vari momenti di confronto
aperto in contrapposizione alle sessioni blindate del convegno
governativo. Il venerdì è stato anche occupato l'ufficio
dell'assessore alla sanità della regione.
Al corteo tutto si è svolto tranquillamente nonostante il
notevole spiegamento di forze del disordine. Il momento più
significativo è stato sicuramente il passaggio sotto il carcere
dove si è sostato a lungo per esprimere solidarietà ai
detenuti. Fra l'altro in corteo erano presenti anche i tre attivisti di
Officina Sociale di Monfalcone scarcerati nei giorni scorsi dopo oltre
due settimane di galera in seguito a una tragicomica retata antidroga
nel goriziano (vedi UN delle scorse settimane). Durante tutto il corteo
hanno suonato sul camion gli Assalti Frontali e nei vari discorsi al
microfono si è ribadito il rifiuto delle politiche cittadine e
nazionali fatte di telecamere, caccia agli immigrati, piazze
transennate, vigili urbani armati e polizia dappertutto. Al corteo
hanno partecipato anche compagni/e anarchici/e di Trieste e Monfalcone
con bandiere rossonere e diffusione della stampa. Sono stati
distribuiti ai passanti settecento copie del volantino del Gruppo
Anarchico Germinal incentrato sulle politiche securitarie.
Occorre dire che il corteo, sebbene sia discretamente riuscito, ha
evidenziato il bisogno di articolare sul territorio iniziative
più specifiche e mirate sui temi in questione che riescano a
coinvolgere anche persone al di fuori dei giri militanti o anche
"alternativi".
Federico
Da anni, si va annunciando l'istituzione anche in Veneto di un
centro detentivo per i migranti "clandestini": Ieri queste strutture si
chiamavano Cpt (Centri di permanenza temporanea), oggi Cie (Centri di
identificazione e espulsione), ma la sostanza concentrazionaria
ovviamente non è certo modificata. Tra le misure
anti-immigrazione decise dal ministro Maroni alla fine di febbraio, vi
è come noto la prevista triplicazione di tali centri con
l'apertura di ulteriori Cie in Toscana, Campania, Marche, Abruzzo,
Umbria e, appunto, Veneto. Così si è riaperto il
toto-lager, con il consueto carosello di siti che potrebbero ospitare
il campo di concentramento etnico, così come era avvenuto in
passato senza che si giungesse ad una soluzione in considerazione della
nota avversione del presidente della regione Galan (PdL), dei malumori
interessati dei sindaci e di quelli intolleranti degli elettori
leghisti, nonché delle annunciate proteste antirazziste. In base
alle disposizioni ministeriali per i Cie (lontani dai centri abitati,
vicini a un aeroporto e — possibilmente — a un reparto mobile della
polizia), il ventaglio dei possibili siti di proprietà demaniale
in Veneto si era ridotto sensibilmente, restringendosi alla provincia
di Verona (Boscomantico o Villafranca) e di Venezia (Tessera), presso
strutture militari dismesse, sul modello del Cpt di Gradisca d'Isonzo;
ma a tutt'oggi, nonostante i pre-annunci, il governo non ha resa nota
la sua decisione definitiva, mentre si sono sprecati i commenti dei
politici istituzionali e dei rappresentanti delle amministrazioni
locali, tutte contrarie. Alcuni meritano essere citati in quanto utili
per comprendere la problematicità che per il centrodestra veneto
rappresenta l'attuazione di questo progetto voluto dal suo stesso
governo nazionale, ma visto con insofferenza dai bravi cittadini non
disposti ad avere in alcun modo vicini gli extracomunitari, neanche
dietro le sbarre.
Il primo a dare la lieta novella è stato il solito onorevole
patavino Ascierto (AN), da sempre tifoso di un Cpt per il Veneto e
quindi ben lieto di annunciare che «Il governo ha già
stanziato dei fondi per la realizzazione del Cie a Verona, precisamente
vicino all'aeroporto». Quindi, il ministro dell'interno Maroni ha
incontrato il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, presso la
prefettura di Venezia, anticipando che l'area prescelta per il Cie con
ogni probabilità sarà la zona militare vicina
all'aeroporto di Villafranca. Tosi, da parte sua, si è
dichiarato disponibile a favorire la scelta migliore.
Il presidente della Provincia, Elio Mosele, ha commentato tale ipotesi
quasi salomonicamente: «in linea teorica il cittadino si adegua
sempre a provvedimenti governativi di salvaguardia della sicurezza del
proprio territorio (...) ma pur accettando il principio, lo stesso
cittadino potrebbe avere delle obiezioni sul fatto che questa struttura
venga eretta nel "suo giardino"». L'opinione di Massimo Galli
Righi (PdL), presidente del Consiglio provinciale, è stata la
seguente: «Se nel Veneto sarà scelta la provincia di
Verona, e non è che lo desidero ardentemente, mi schiero tra
coloro che lavoreranno per identificare una località idonea e
non tra coloro che si limiteranno a ostacolare la realizzazione del Cie
nel proprio territorio».
Invece il vicepresidente del consiglio comunale di Villafranca, Filippo
Dalfini (Progetto Nord Est) si è dichiarato pronto, se il
ministero dell'Interno confermerà l'intenzione di aprire il Cie
a Villafranca, di «mobilitare la cittadinanza e gli iscritti
della sezione comunale del Pne per protestare contro l'apertura del
centro di accoglienza».
I sindacalisti delle forze di polizia di polizia (Sap, Ugl, etc.)
chiedono invece un collaterale rafforzamento (almeno 50 unità)
degli organici presenti sul territorio; ma a questo punto viene da
chiedersi se il previsto aumento dei poliziotti è destinato a
sorvegliare i migranti detenuti nel Cie o per controllare le proteste
esterne ad esso, siano queste dei padani o degli antirazzisti.
Di certo, la partita si annuncia interessante.
Alcun* compagn*