A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
Il 12 marzo, Serge Foucher, amministratore delegato della Sony
France, di Pontonx-sur-l'Adour, nel dipartimento delle Landes, Francia,
si reca presso l'impianto per dare l'ultimo saluto ai suoi 311 ormai
ex-dipendenti - ex in quanto la fabbrica chiuderà il 17 aprile
prossimo - ai quali intende forse rivolgere i suoi personali auguri e
magari anche un benevolo invito a "mettersi sul mercato" per trovarsi
un nuovo posto di lavoro.
Mal gliene incolse! Quei facinorosi energumeni dei suoi "ex", per nulla
contenti delle rosee prospettive loro augurate da M.Foucher cosa ti
fanno? Scendono in sciopero di punto in bianco, bloccano i cancelli con
robusti tronchi d'albero e, udite udite, invitano cortesemente ma
fermamente M.Foucher a trascorrere la notte assieme a loro all'interno
della fabbrica.
Messosi in contatto con l'esterno il povero Foucher avvisa: "non mi
lasciano uscire dalla fabbrica" e: "bisogna fare appello alle
forze dell'ordine".
Ma niente da fare: i lavoratori presenti (circa 80) replicano
all'esterno, affermando "lui (Foucher) non ci vuole assolutamente
ascoltare, abbiamo quindi pensato che questa soluzione potesse
convincerlo; il clima dentro è comunque amichevole".
Accorre il responsabile della direzione regionale del lavoro per
trovare un'onorevole via d'uscita, ma anche lui deve tornare sui suoi
passi senza avere concluso nulla. Sono pazzi questi qua! Chiedono
addirittura che la loro buonuscita sia almeno pari a quella erogata
nello stabilimento in Alsazia, chiuso mesi addietro!
La triste disavventura di M.Foucher si conclude alle 10,30 del giorno
successivo, 13 marzo 2009, quando viene, diciamo così,
"rilasciato" solo dopo che la Sony France ha accettato di riaprire le
trattative che dovranno svolgersi presso la sotto-prefettura locale, ed
alle quali dovranno partecipare sua eccellenza il vice-prefetto, i
rappresentanti sindacali, quelli della direzione generale del lavoro e,
ovviamente, il povero Monsieur Serge Foucher.
Lunedì 9 marzo si è attuato un primo pacchetto di
quattro ore di sciopero dei lavoratori delle Ferrovie
dell'Emilia-Romagna - F.E.R. - per protestare contro l'indecente
comportamento dell'azienda che disconosce perfino le direttive europee
recepite dal codice civile, regole che di sicuro non possono essere
tacciate di radicalismo.
Non stabiliscono infatti nulla più di un principio di buon
senso: "In caso di trasferimento di azienda i dirigenti sindacali
eletti del complesso ceduto mantengono il loro ruolo fino al termine
del periodo di armonizzazione, in quanto funzionali per loro natura,
alla tutela degli stessi lavoratori trasferiti".
La R.S.U. eletta in A.C.T. (azienda consorziale trasporti di Reggio
Emilia) nel dicembre del 2008 nel pieno rispetto di tutte le
formalità, non viene riconosciuta da F.E.R., che si è
posta al di sopra delle leggi vigenti in materia scegliendo di fatto
come, in che modo e con quale "rappresentanza" sindacale trattare.
F.E.R. e i soliti sindacati collaborazionisti, pur sapendo della
situazione sviluppatasi per i delegati dell'R.S.U. passati sotto il
ramo d'azienda ex A.C.T. in F.E.R., sedendosi da soli al tavolo delle
trattative non hanno fatto valere la volontà espressa
formalmente dagli allora dipendenti A.C.T. calpestando di fatto
la chiara scelta dei lavoratori su chi li debba rappresentare.
Gli unici responsabili dell'agitazione del 9 marzo e degli scioperi
futuri sono i dirigenti dell'azienda, i cui atteggiamenti
inqualificabili hanno generato la protesta dei lavoratori, che si
vedranno costretti a portare avanti la lotta finché i loro
legittimi delegati non potranno sedere al tavolo e partecipare con voce
in capitolo ai processi aziendali in corso per tutelare i diritti e gli
interessi di tutti i lavoratori coinvolti.
Nel processo di deindustrializzazione e delocalizzazioni speculative
in atto nella bergamasca, nel mese di febbraio, è stato imposto
la chiusura del reparto cartiera alla Pigna nel comune di Alzano
Lombardo.
Da parte dei sindacati confederali è stata concordata la cassa
integrazione per 130 operai, mentre 12 lavoratori pakistani della
cooperativa "Soluzione Lavoro", addetti al carico e pulizia degli
stessi impianti, sono stati esclusi da ogni accordo e licenziati in
tronco. Nel completo disinteresse dei sindacati confederali,
dell'azienda e della cooperativa stessa questi lavoratori immigrati
sono risultati "invisibili". E' per questo motivo che i dodici
lavoratori si sono organizzati con il sindacato di base (Cub),
iniziando un percorso di mobilitazione. Mentre "Cgil, Cisl e Uil
firmatari del pessimo accordo che ha escluso dalla cassa integrazione
12 operai tacciono… la RSU di fabbrica ha emesso un comunicato di
solidarietà affiancandosi alla richiesta dei lavoratori".
Lunedì 9 marzo sono state effettuate 2 ore di sciopero e per
lunedì 16 è stato indetto alle ore 10 un presidio davanti
al comune di Alzano. Va rilevato che sui lavoratori pakistani, oltre
alla perdita del posto di lavoro, incombe il pericolo - per effetto
della legge in vigore sulla immigrazione - di espulsione a causa del
mancato rinnovo del permesso di soggiorno.
Dopo 2 mesi di lotta e presidio, i 20 lavoratori della Ahlstrom di
Gallarate hanno ottenuto un primo risultato. Su richiesta dell'azienda,
l'11 marzo si è tenuto un incontro con la direzione, al quale
hanno partecipato sia CGIL e UIL, sia la RSU AlCobas, che rappresenta
la totalità degli addetti di Gallarate.
Evidentemente la lotta a Gallarate e a Cressa (No) ha reso l'azienda
più morbida, tanto che è stata ritirata la decisione del
7 gennaio scorso di mettere in mobilità ben 61 lavoratori, di
cui tutti i 20 di Gallarate; inoltre, l'azienda ha comunicato
l'intenzione di arrivare ad un accordo con TUTTE le rappresentanze
sindacali, modificando il piano industriale presentato a gennaio.
Dalla prossima settimana inizierà quindi il periodo di CIG,
mentre verrà inoltrata richiesta al Ministero del lavoro per
l'utilizzo della cassa integrazione straordinaria di 12 mesi, durante
la quale sarà aperta la procedura di mobilità,
inizialmente solo su base volontaria.
Per i 20 lavoratori dello stabilimento Gallarate, la cui chiusura
è stata riconfermata, è prevista la ricollocazione presso
gli altri stabilimenti del gruppo situati nella zona.
Il sindacato di base AlCobas, pur esprimendo soddisfazione per
l'evolversi della situazione, ha ribadito che considera errato il
mantenere la trattativa su due tavoli di trattativa e che è
impraticabile un accordo che comunque porti, dopo 12 mesi di cassa
straordinaria, al licenziamento di lavoratori posti in mobilità
oltre al volontariato.
Per il momento restano attivi sia il presidio di Gallarate che quello di Cressa
Circa due anni fa è stato intrapreso da parte della "Rete per
il reddito" dal sindacalismo di base una mobilitazione nei confronti
della regione Lazio, rivendicando un reddito minimo garantito anche
come risposta al "ricatto del precariato introdotto dalle politiche
liberiste nel mercato del lavoro".
Adesso la regione, anche sotto la pressione della crisi che incalza
sempre di più, ha approvato l'introduzione di un reddito di 530
Euro al mese per "disoccupati, inoccupati e precari del Lazio con
reddito inferiore a 8.000 Euro".
Può essere considerato un primo risultato per dare più
vigore e forza alla lotta rivendicativa di quanti non riescono
più a campare.
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