E' prassi mediatica la gestione dell'informazione in tempi di
guerra, rispetto al passato però le democrazie occidentali sanno
fare meglio garantendo con dosaggi calibrati quali e quante
informazioni possono sfuggire al controllo e soprattutto "quando".
L'ultimo conflitto a Gaza, il famigerato "piombo fuso" con cui
l'esercito Israeliano ha voluto preparare le elezioni nazionali
dispensando morte e terrore presso la striscia popolosa
palestinese, non sfugge a questa regola da guerra moderna come
già successo per l'Iraq con Abu Ghraib e le carceri disumane.
E' uscito su Repubblica un servizio titolato Racconti shock dei soldati
israeliani "Così a Gaza abbiamo ucciso civili"(1) e si
possono leggere stralci di queste confessioni come quella di un
comandante di una piccola unità di fanteria che spiega: "C'era
un casa con dentro una famiglia, ordinammo alla famiglia di stare tutti
in una stanza. Poi ce ne andammo e arrivò un nuovo plotone. Dopo
alcuni giorni venne l'ordine di rilasciare la famiglia. Avevamo messo
un tiratore scelto sul tetto. Il comandante rilasciò la
famiglia, dicendo loro di andare verso destra, ma dimenticò di
avvertire il tiratore scelto che quella gente veniva liberata e che era
tutto ok, e non avrebbe dovuto sparare. Anziché a destra, la
madre coi due figli prende a sinistra. Il cecchino li vede avvicinarsi
alla linea che, secondo quanto gli era stato detto, nessuno avrebbe
dovuto oltrepassare. Così ha sparato subito, uccidendoli".
I racconti continuano con aneddoti di azioni di sdegno, sopraffazione e
di vile uccisione di civili palestinesi con dichiarazioni come quella
di un capitano: "Scrivere 'morte agli arabi' sui muri (delle case
occupate), prendere le foto di famiglia e sputare su di esse soltanto
perché lo puoi fare, credo che questa sia la cosa più
importante per capire quanto le forze armate israeliane siano
precipitate sul piano della morale".
Nello stesso articolo ci sono le posizioni ufficiali come quelle del
ministro della Difesa Ehud Barak che ribadisce quanto l'esercito
israeliano sia "la forza armata più morale che esista al mondo"
e che, ovviamente, quelli da chiarire sono "episodi individuali".
Un articolo che mentre chiarisce che "non si parla né di bombe
al fosforo né di altri micidiali ordigni sconosciuti" ma "parla,
per quanto possa sembrare fuori logo trattandosi di una guerra, di
morale" s'inserisce in quel filone delle piccole e parziali
verità che emergono a mattanza finita (almeno per questo giro) e
che dimostrerebbero che in fondo nell'occidentalismo "anche nel male
c'è il bene" cioè la verità comunque emerge.
La mistificazione di questo approccio alla notizia sta nello spostare
la questione centrale di un attacco impari e ingiustificabile, una di
quelle aggressioni che varrebbero come crimini contro l'umanità
e che basterebbero per scomodare o la NATO o qualche stato
"volenteroso" contro aggressori e tiranni, verso il tema delle ignobili
gesta di militari fanatici, di regole d'ingaggio "sbagliate" e di una
morale ferita in guerra.
D'altronde in questa, come in altre notizie di genere, il trucco
c'è, ma non si vede (o molti non lo vogliono vedere): chi
è che rende note le confessioni, gli sfoghi, le crisi di
coscienza?
Il direttore del programma pre-militare dell'accademia Danny Zamir, il
Capo di Stato maggiore Gaby Ashkenazy e infine reso noto tramite
Haaretz, uno dei quotidiani israeliano più letti.
Ma come? Israele in questo attacco ha negato in modo totale l'accesso a
tutte le fonti d'informazioni internazionali, nessun giornalista poteva
mettere piede in prossimità all'attacco durante tutta
l'operazione e chi ha provato ha subito la mira dei cecchini israeliani
come Fadel Shana, 23 anni, operatore palestinese della Reuters, ucciso
da un carro armato (2).
In realtà Israele vietò qualsiasi tipo di accesso, da
quello sanitario a quello alimentare, provocando persino
"l'irritazione" dell'Unione Europea e mentre la UE s'irritava,
più dell'85% dei mezzi di trasporto privati e più del 65%
di quelli adibiti ad uso sanitario, rimasero fermi una settimana per
mancanza di carburante, la cui sospensione fu decisa il 9 aprile mentre
il DCO (Ufficio di Coordinamento Israeliano) si rifiutava di concedere
il permesso di recarsi in Israele o in Cisgiordania, per ricevere le
cure mediche adeguate, a più di 1500 feriti palestinesi.
E' evidente che queste "shockanti confessioni" di giovani, ma esperti
allievi dell'accademia militare dovrebbero, come nel peggior copione
militaresco, addossare l'immoralità di una guerra sulla pelle
dei soldati tutt'al più con la connivenza di direttive militari
troppo ferree e allora basta confezionarle nel modo più consono
seguendo l'iter gerarchico necessario "al punto che il procuratore
militare, quasi a voler bilanciare l'inevitabile scalpore con un gesto
rassicurante, ha deciso di rendere pubblica la decisione di aprire
un'inchiesta".
Che il militarismo e di conseguenza la guerra siano ciò che di
più mortifero l'uomo possa concepire è per noi cosa nota,
dovrebbe esserlo anche per i più, ma purtroppo così non
è.
L'idea della necessità degli eserciti, degli armamenti e della
loro sovvenzione sono ancora oggi patrimonio diffuso presso larga parte
delle comunità in occidente; il perché non è
riassumibile in poche righe, tuttavia alcune motivazioni sono lampanti
perché ataviche: la paura di un nemico (solitamente inferiore,
cattivo e livoroso) e l'insicurezza economica (se non difendiamo quello
che abbiamo qualcuno potrebbe portarcelo via).
Ma queste sono le percezioni sociali e non certo le motivazioni di chi
fornisce la propaganda mediatica affinché questa insicurezza,
questa paura, sostenga poi il patriottismo, gli eserciti, le fabbriche
e i traffici d'armi, il finanziamento alle misssioni di guerra, l'invio
di militari al fronte e, in definitiva, il massacro di civili in paesi
di serie B, C, D ecc.
Le motivazioni di questa necessità militarista sono quelle dei
governi, di tutti i governi, grandi e piccoli, attori primari,
secondari o soltanto aspiranti attori nella spartizione di risorse,
potere e consenso.
Se non si riesce a scardinare questo doppio filo che lega le paure
sociali con il potere statuale non si potrà sfuggire alla
complicità morale che una guerra contiene già nel ventre
della sua necessità come nel caso "del diritto d'Israele di
difendersi" che significa nei fatti "Israele starà qui per
sempre, anche se dovesse usare l'arma nucleare. Noi possiamo imporre a
voi tutto ciò che vogliamo!"(3) o nel diritto di Hamas ad
imporre, dopo la contingente alleanza nella resistenza palestinese, un
regime Islamico in Palestina, frutto di mezzo secolo di divisioni
logoranti, di corruzione ad ogni livello gerarchico dall'OLP, a Fatah,
all'ANP.
In Israele esiste da anni il movimento dei refusniks, giovani che
rifiutano il servizio di leva (4) e nel corso degli anni continua
offrendo motivi d'obiezione anche a chi si rifiuta d'intervenire nei
territori occupati, dal 2001 prende maggiore impulso grazie a 62
maturandi israeliani che inviano al governo la "Lettera dei Maturandi"
in cui dichiarano il loro rifiuto totale di prestare il servizio
militare obbligatorio.
All'oggi questo movimento assieme agli Anarchici contro il Muro
è, seppur minoritario, uno dei più radicali momenti
d'insubordinazione al militarismo. Di questo nei grandi quotidiani
italiani non c'è traccia, le loro dichiarazioni, la repressione
e la prigionia che subiscono per "alto tradimento della patria" non
sono né utili né shockanti, è preferibile
attendere gli scoop che l'apparato militaresco lascia trapelare alla
stampa in cui, seppur postuma, l'umanità dei militari traspare e
la bontà del sistema si premunirà di correggere con
burlesche inchieste interne delle procure militari o le pesanti
sanzioni ad personam come nel caso dei disgraziati aguzzini di Abu
Ghraib.
Affinché tutto continui come prima.
Stefano Raspa
(1)
http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/esteri/medio-oriente-51/gaza-civili/gaza-civili.html?ref=search
il 20/03/2009 a cura di Alberto Stabile
(2) James Henry Dominic Miller, un famoso operatore e produttore
televisivo gallese (vincitore anche di un Emmy Award) fu ucciso a Gaza
il 2 maggio 2003 dalle truppe israeliane. L'operatore, secondo gli
inquirenti britannici che hanno condotto una indagine parallela a
quella israeliana, fu ucciso con un colpo d'arma da fuoco alla nuca
esploso da un soldato israeliano. Nel caso del giornalista gallese lo
stato israeliano s'è reso disponibile a compensare la famiglia
con un indennizzo di 1,8 milioni di sterline (2,24 milioni di euro),
alla famiglia del reporter palestinese non sono giunte alcune proposte.
(3) Mohamed Hassan, co-autore di "Iraq, Eye-to-eye with the occupation"(Iraq, occhi puntati sull'occupazione)
(4) Movimento che nasce nei primi anni '70 su impulso
dell'organizzazione comunista libertaria che pubblicava la rivista
"Matzpen"