Umanità Nova, n.12 del 29 marzo 2009, anno 89

Le efferate ovvietà di Gaza


E' prassi mediatica la gestione dell'informazione in tempi di guerra, rispetto al passato però le democrazie occidentali sanno fare meglio garantendo con dosaggi calibrati quali e quante informazioni possono sfuggire al controllo e soprattutto "quando".
L'ultimo conflitto a Gaza, il famigerato "piombo fuso" con cui l'esercito Israeliano ha voluto preparare le elezioni nazionali dispensando morte e terrore presso la striscia popolosa palestinese,  non sfugge a questa regola da guerra moderna come già successo per l'Iraq con Abu Ghraib e le carceri disumane.
E' uscito su Repubblica un servizio titolato Racconti shock dei soldati israeliani "Così a Gaza abbiamo ucciso civili"(1)  e si possono leggere stralci di queste confessioni come quella di un comandante di una piccola unità di fanteria che spiega: "C'era un casa con dentro una famiglia, ordinammo alla famiglia di stare tutti in una stanza. Poi ce ne andammo e arrivò un nuovo plotone. Dopo alcuni giorni venne l'ordine di rilasciare la famiglia. Avevamo messo un tiratore scelto sul tetto. Il comandante rilasciò la famiglia, dicendo loro di andare verso destra, ma dimenticò di avvertire il tiratore scelto che quella gente veniva liberata e che era tutto ok, e non avrebbe dovuto sparare. Anziché a destra, la madre coi due figli prende a sinistra. Il cecchino li vede avvicinarsi alla linea che, secondo quanto gli era stato detto, nessuno avrebbe dovuto oltrepassare. Così ha sparato subito, uccidendoli".
I racconti continuano con aneddoti di azioni di sdegno, sopraffazione e di vile uccisione di civili palestinesi con dichiarazioni come quella di un capitano: "Scrivere 'morte agli arabi' sui muri (delle case occupate), prendere le foto di famiglia e sputare su di esse soltanto perché lo puoi fare, credo che questa sia la cosa più importante per capire quanto le forze armate israeliane siano precipitate sul piano della morale".
Nello stesso articolo ci sono le posizioni ufficiali come quelle del ministro della Difesa Ehud Barak che ribadisce quanto l'esercito israeliano sia "la forza armata più morale che esista al mondo" e che, ovviamente, quelli da chiarire sono "episodi individuali".
Un articolo che mentre chiarisce che "non si parla né di bombe al fosforo né di altri micidiali ordigni sconosciuti" ma "parla, per quanto possa sembrare fuori logo trattandosi di una guerra, di morale" s'inserisce in quel filone delle piccole e parziali verità che emergono a mattanza finita (almeno per questo giro) e che dimostrerebbero che in fondo nell'occidentalismo "anche nel male c'è il bene" cioè la verità comunque emerge.
La mistificazione di questo approccio alla notizia sta nello spostare la questione centrale di un attacco impari e ingiustificabile, una di quelle aggressioni che varrebbero come crimini contro l'umanità e che basterebbero per scomodare o la NATO o qualche stato "volenteroso" contro aggressori e tiranni, verso il tema delle ignobili gesta di militari fanatici, di regole d'ingaggio "sbagliate" e di una morale ferita in guerra.
D'altronde in questa, come in altre notizie di genere, il trucco c'è, ma non si vede (o molti non lo vogliono vedere): chi è che rende note le confessioni, gli sfoghi, le crisi di coscienza?
Il direttore del programma pre-militare dell'accademia Danny Zamir, il Capo di Stato maggiore Gaby Ashkenazy e infine reso noto tramite Haaretz,  uno dei quotidiani israeliano più letti.
Ma come? Israele in questo attacco ha negato in modo totale l'accesso a tutte le fonti d'informazioni internazionali, nessun giornalista poteva mettere piede in prossimità all'attacco durante tutta l'operazione e chi ha provato ha subito la mira dei cecchini israeliani come Fadel Shana, 23 anni, operatore palestinese della Reuters, ucciso da un carro armato (2).
In realtà Israele vietò qualsiasi tipo di accesso, da quello sanitario a quello alimentare, provocando persino "l'irritazione" dell'Unione Europea e mentre la UE s'irritava, più dell'85% dei mezzi di trasporto privati e più del 65% di quelli adibiti ad uso sanitario, rimasero fermi una settimana per mancanza di carburante, la cui sospensione fu decisa il 9 aprile mentre il DCO (Ufficio di Coordinamento Israeliano) si rifiutava di concedere il permesso di recarsi in Israele o in Cisgiordania, per ricevere le cure mediche adeguate, a più di 1500 feriti palestinesi.
E' evidente che queste "shockanti confessioni" di giovani, ma esperti allievi dell'accademia militare dovrebbero, come nel peggior copione militaresco, addossare l'immoralità di una guerra sulla pelle dei soldati tutt'al più con la connivenza di direttive militari troppo ferree e allora basta confezionarle nel modo più consono seguendo l'iter gerarchico necessario "al punto che il procuratore militare, quasi a voler bilanciare l'inevitabile scalpore con un gesto rassicurante, ha deciso di rendere pubblica la decisione di aprire un'inchiesta".
Che il militarismo e di conseguenza la guerra siano ciò che di più mortifero l'uomo possa concepire è per noi cosa nota, dovrebbe esserlo anche per i più, ma purtroppo così non è.
L'idea della necessità degli eserciti, degli armamenti e della loro sovvenzione sono ancora oggi patrimonio diffuso presso larga parte delle comunità in occidente; il perché non è riassumibile in poche righe, tuttavia alcune motivazioni sono lampanti perché ataviche: la paura di un nemico (solitamente inferiore, cattivo e livoroso) e l'insicurezza economica (se non difendiamo quello che abbiamo qualcuno potrebbe portarcelo via).
Ma queste sono le percezioni sociali e non certo le motivazioni di chi fornisce la propaganda mediatica affinché questa insicurezza, questa paura, sostenga poi il patriottismo, gli eserciti, le fabbriche e i traffici d'armi, il finanziamento alle misssioni di guerra, l'invio di militari al fronte e, in definitiva, il massacro di civili in paesi di serie B, C, D ecc.
Le motivazioni di questa necessità militarista sono quelle dei governi, di tutti i governi, grandi e piccoli, attori primari, secondari o soltanto aspiranti attori nella spartizione di risorse, potere e consenso.
Se non si riesce a scardinare questo doppio filo che lega le paure sociali con il potere statuale non si potrà sfuggire alla complicità morale che una guerra contiene già nel ventre della sua necessità come nel caso "del diritto d'Israele di difendersi" che significa nei fatti "Israele starà qui per sempre, anche se dovesse usare l'arma nucleare. Noi possiamo imporre a voi tutto ciò che vogliamo!"(3) o nel diritto di Hamas ad imporre, dopo la contingente alleanza nella resistenza palestinese, un regime Islamico in Palestina, frutto di mezzo secolo di divisioni logoranti, di corruzione ad ogni livello gerarchico dall'OLP, a Fatah, all'ANP.
In Israele esiste da anni il movimento dei refusniks, giovani che rifiutano il servizio di leva (4) e nel corso degli anni continua offrendo motivi d'obiezione anche a chi si rifiuta d'intervenire nei territori occupati, dal 2001 prende maggiore impulso grazie a 62 maturandi israeliani che inviano al governo la "Lettera dei Maturandi" in cui dichiarano il loro rifiuto totale di prestare il servizio militare obbligatorio.
All'oggi questo movimento assieme agli Anarchici contro il Muro è, seppur minoritario, uno dei più radicali momenti d'insubordinazione al militarismo. Di questo nei grandi quotidiani italiani non c'è traccia, le loro dichiarazioni, la repressione e la prigionia che subiscono per "alto tradimento della patria" non sono né utili né shockanti, è preferibile attendere gli scoop che l'apparato militaresco lascia trapelare alla stampa in cui, seppur postuma, l'umanità dei militari traspare e la bontà del sistema si premunirà di correggere con burlesche inchieste interne delle procure militari o le pesanti sanzioni ad personam come nel caso dei disgraziati aguzzini di Abu Ghraib.
Affinché tutto continui come prima.

Stefano Raspa

(1) http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/esteri/medio-oriente-51/gaza-civili/gaza-civili.html?ref=search il 20/03/2009 a cura di Alberto Stabile
(2) James Henry Dominic Miller, un famoso operatore e produttore televisivo gallese (vincitore anche di un Emmy Award) fu ucciso a Gaza il 2 maggio 2003 dalle truppe israeliane. L'operatore, secondo gli inquirenti britannici che hanno condotto una indagine parallela a quella israeliana, fu ucciso con un colpo d'arma da fuoco alla nuca esploso da un soldato israeliano. Nel caso del giornalista gallese lo stato israeliano s'è reso disponibile a compensare la famiglia con un indennizzo di 1,8 milioni di sterline (2,24 milioni di euro), alla famiglia del reporter palestinese non sono giunte alcune proposte.
(3) Mohamed Hassan, co-autore di "Iraq, Eye-to-eye with the occupation"(Iraq, occhi puntati sull'occupazione)
(4) Movimento che nasce nei primi anni '70 su impulso dell'organizzazione comunista libertaria che pubblicava la rivista "Matzpen"

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti