Umanità Nova, n.12 del 29 marzo 2009, anno 89

Il carcere ieri, il carcere oggi


Quella che segue è la sintesi di un intervento tenuto alla presentazione del pamphlet Dietro le sbarre (Zero in Condotta, 2009) all'archivio storico della FAI di Imola il 21 febbraio 2009.

Dietro le sbarre  è la traduzione di un'antologia pensata da un collettivo anarchico di Oakland (California) e pubblicata nel 2003 dalla Kate Sharpley Library di Londra. Il lavoro è stato curato da Simone Buratti e Elio Xerri; proprio a Elio e a Giulio, due compagni scomparsi recentemente, è dedicato questo lavoro. Il testo si divide in due sezioni: Idee e Memorie, ovvero da una parte riflessioni di anarchici sul carcere e dall'altra la loro esperienza dietro le sbarre.
Albert Parsons, uno dei "martiri di Chicago", proprio alla vigilia della sua uccisione (1887), traccia con estrema chiarezza il punto di vista anarchico sulla legge e il carcere: "Il governo emana la legge; la polizia, l'esercito e le prigioni su ordini del ricco la impongono facendola rispettare (...) La legge è una concessione (...) Da essa l'umanità è stata sempre degradata e schiavizzata (...) L'anarchia – la legge naturale – è libertà."
Nel secondo saggio Piotr Kropotkin muove dal nocciolo del problema: la prigione non risponde al suo scopo, in quanto chi va in galera una prima volta – lungi dall'essere rieducato – con molta probabilità ci tornerà e spesso per un reato più grave del primo.  Ecco perchè "una prigone non può essere migliorata. A parte insignificanti cambiamenti, non resta altro da fare che distruggerla". In secondo luogo  - dice - "le sbarre non sono fatte per i criminali, ma per gli incapaci (...) I veri ladri sono coloro che detengono, non i detenuti". Oggi come ieri i tanti Berlusconi non corrono certo grandi rischi, mentre le prigioni sono piene di "pesci piccoli". Secondo Kropotkin le cause sociali sono le prime cause del crimine. Soppresse queste, nella futura società liberata, "il maggior di questi atti non avrà più ragion d'essere. I restanti altri saranno soffocati sul nascere."
Questo saggio ci offre un duplice motivo di riflessione: che peso dobbiamo dare alle cause sociali?
E' convincente l'ottimismo di Kroptkin sulla pressoché totale assenza di crimine in una società liberata?
Emma Goldman definisce le prigioni un "crimine sociale e un fallimento", descrivendo come gli istituti di pena spezzino la volontà, degradino le anime, soggioghino lo spirito e Alexander Berkman denuncia come le galere servano agli Stati per sbarazzarsi dei criminali, altro che per rieducare!
Berkman torna alle cause del crimine e scrive: "L'unica vera cura per il crimine è abolirne le cause (...) L'anarchismo significa eliminare quelle condizioni". E se "alcuni tipi di crimine persisteranno per qualche tempo (...) anche questi scompariranno gradualmente."
Errico Malatesta mostra la propria grande fiducia nell'uomo, sottolineando che "l'attenzione dei doveri sociali deve essere volontaria" e alle domande "Chi giudichera? Chi provvederà alla difesa necessaria? Chi stabilirà i mezzi di repressione?" risponde: "Noi non vediamo altra via che lasciare fare agli interessati (...) bisogna evitare la costituzione di corpi (...) di polizia (...) Meglio, in tutti i casi, l'ingiustizia, la violenza transitoria del popolo che la cappa di piombo, la violenza legalizzata dello Stato giudiziario e poliziesco".
Tutte queste considerazioni hanno un carattere utopico e realistico allo stesso tempo e, indubbiamente figlie di un retaggio culturale illuministico e in alcuni casi positivistico, risultano però essere pragmatiche. Inoltre, nonostante esse facciano parte della storia, il problema (il carcere) e la soluzione (la sua distruzione) sono di stringente attualità: come allora non ci sono altre vie. Oggi tra galere e Centri di identificazione ed esplusione (ex CPT) in Europa la popolazione detenuta è in crescita costante (circa 600mila detenuti), così come tutta l'area del "controllo penale". Ciò che è in crisi è proprio quel che gli anarchici contestavano: l'idea stessa di reinserimento sociale. Violazioni e condizioni disumane caratterizzano tutte le galere. In Italia il regime di 41bis, il sovraffollamento cronico, i lunghi periodi di chiusura in cella, gli episodi ricorrenti di abusi e di violenze sono tra i fattori che aggravano una situazione insostenibile. Nelle prigioni italiane ci sono tra i 55 e i 60mila detenuti per poco più di quarantamila posti letto, in aumento costante per l'applicazione della Bossi-Fini. Il 55% della popolazione detenuta è in attesa di condanna definitiva (e la presunzione di innocenza?). Il 30% dei reati ascritti consiste in delitti contro il patrimonio; il 16% contro le persone; il 15% è dentro per avere violato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. I detenuti stranieri sono 20mila, il 40%. Prima dell'introduzione della Bossi-Fini costituivano il 30%. In carcere ci si ammazza più o meno diciotto volte più che fuori. E spesso ci pensano i secondini. Come nel caso delle morti di Marcello Lonzi e di Aldo Bianzino, solo due, tra le tante, che sono venute a galla, grazie all'impegno di parenti, amici e compagni.
Ma, oggi come allora, ci sono uomini e donne che si mobilitano contro il carcere, con i comitati, i presidi, i blog, le lettere e il supporto ai detenuti. La necessità di urlare l'inumanità del carcere, della sua idea e della sua sostanza allo stesso tempo, è più che mai attuale. Perché esso non è cambiato in nulla e anzi le tante Guantanamo sparse per il mondo fanno venire il lecito dubbio che il sistema penale sia oggi ancora più inumano di ieri. E allora pare più che legittimo volere fare a meno una volta per tutte di ciò che sta alla base del carcere e quotidianamente lo alimenta: lo stato, il governo, il potere.

A.S.

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