16 marzo. Perquisizioni e corde al collo
Non accenna a placarsi la tensione al CIE di corso Brunelleschi a
Torino: il prolungamento della detenzione a sei mesi e i "normali"
soprusi quotidiani innescano ogni giorno nuove proteste. Nella
mattinata di lunedì 16 marzo la polizia in assetto antisommossa
con cani e bastoni è entrata nella sezione "rossa", agitando i
manganelli e minacciando pestaggi. I reclusi hanno temuto il peggio e
si sono attaccati al cellulare, chiamando gli antirazzisti. Un veloce
giro di sms e presto al centralino del CIE sono fioccate le telefonate
dei tanti che non apprezzano queste prigioni per immigrati e sostengono
le lotte dei senza carte che vi sono reclusi.
La sezione "rossa" è quella dei tre tunisini che sabato hanno
evitato la deportazione tagliandosi braccia e mani o ingoiando oggetti
(cfr. UN 11 '09). Uno di loro è adesso in carcere: pare che
sull'ambulanza che lo portava all'ospedale si sia ribellato a un
sopruso e sia stato accusato di resistenza. Il terzo uomo è
stato male, perché dopo una radiografia e la promessa di
un'operazione per togliere gli oggetti inghiottiti è stato
riportato al CIE e lasciato senza cure. La perquisizione si è
conclusa dopo varie ore, senza dare alcun esito: volevano fare un po'
di paura e magari mettere le mani sul video spedito il giorno prima
agli antirazzisti. Le immagini mostravano un prigioniero in una pozza
di sangue nel cortile del CIE. Mentre era in corso la perquisizione, in
un'altra sezione un ragazzo ha fatto una corda con le lenzuola cercando
di impiccarsi, un altro è in sciopero della fame: era al CIE da
due mesi e sarebbe dovuto uscire due giorni prima. La nuova norma
consente allo Stato italiano di sequestrarlo per altri quattro mesi. I
cellulari di due immigrati sono requisiti e restituiti il giorno dopo:
uno è spaccato, l'altro è stato privato della videocamera.
Giovedì 19 marzo. Palline e vernice
A Ponte Galeria, il CIE di Roma, che, come quello di Torino, è
gestito dalla Croce Rossa, muore un immigrato algerino. Stava male,
aveva chiesto di essere curato: gli hanno detto " va a prendere le
medicine al tuo paese!" e gli hanno somministrato una buona dose di
legnate. Una vicenda simile a quella di Fathy, morto il 23 maggio dello
scorso anno al CIE di Torino. Era malato di polmonite ma gli sono state
negate le cure. A Ponte Galeria gli immigrati fanno lo sciopero della
fame, a Torino un gruppo di antirazzisti va al CIE, spara petardi e
batte i ferri per farsi sentire dentro, dove sono lanciate palline da
tennis "farcite" di bigliettini con il numero di telefono solidale
degli antirazzisti. Più tardi sui muri esterni della sede della
Croce Rossa torinese compare la scritta "assassini!", un lancio di
vernice rossa indica a tutti i responsabili degli orrori del CIE.
Venerdì 20 marzo. La lavanderia del CIE
Siamo in via Santhià, nel cuore di un vecchio rione operaio di
Torino, dove i nuovi immigrati si mescolano con quelli arrivati dal sud
trent'anni fa. Al numero 34 c'è la lavanderia "La Nuova". Nel
pomeriggio del 20 marzo un gruppo di antirazzisti dell'Assemblea
Antirazzista suona alla porta e chiede di parlare con il responsabile.
Sul marciapiede altri aprono uno striscione "Nessuna pace per chi
lavora al CIE", è distribuito ai passanti un volantino in cui si
spiegano le ragioni dell'iniziativa.
" La Nuova" ha un appalto molto speciale, un appalto per lavare i panni
che vengono dal CIE di Torino. I gestori della lavanderia non vogliono
sentire ragioni, inveiscono, si agitano, dicono che quello è un
lavoro come un altro, che i loro panni sono puliti. Già puliti.
Puliti del sangue di chi si taglia per non partire, del vomito di chi
mangia pile per sfuggire all'espulsione. Ma il puzzo, quello della
vergogna che marca questa nostra città, resta, perché
quei panni dovrebbero essere mostrati a tutti, perché quelle
lenzuola insanguinate sono un atto di accusa a chiunque chiuda gli
occhi davanti al muro che chiude i senza documenti.
Arriva la polizia, i lavandai nella concitazione si sono persi le
chiavi del portone e accusano gli antirazzisti. Arrivano altri
poliziotti e fanno le perquisizioni di rito, ovviamente senza alcun
esito se non un po' di spettacolo da strada. Fuori la gente si ferma,
chiede, prende il volantino. Una coppia giovane con il proprio bambino
sosta a lungo. Lui è figlio di immigrati di ieri, gente arrivata
dalla Sicilia con la valigia di cartone, lei è tunisina,
un'immigrata di oggi. Ci raccontano dell'inferno per fare le carte
necessarie a sposarsi. Il CPT lo conoscono bene: il fratello di lei ha
perso il lavoro, è stato preso in strada, chiuso in una delle
gabbie e deportato. Loro alla lavanderia "La Nuova" non ci vanno
più.
Domenica 22 marzo. Antirazzisti a Eataly
Una domenica sera diversa dalle altre ad Eataly, il supermercato del
gusto di via Nizza. Un folto gruppo di antirazzisti, dopo aver
disseminato in giro flyers con brevi testi sulle disperate lotte degli
immigrati chiusi nei CIE di Torino, Milano, Bologna, Roma, Bari, hanno
aperto uno striscione contro i Centri per immigrati senza carte, dove
sono quotidiani i soprusi e le violenze contro chi resiste alla
deportazione.
Gli antirazzisti hanno attraversato il supermercato/ristorante
distribuendo volantini che sollecitavano chi stava gustando manicaretti
a riflettere sulla condizione dei tanti che in questi giorni rifiutano
il cibo, si cuciono la bocca, si tagliano urlando la loro voglia di
libertà. Urla nel silenzio. Un silenzio che è urgente
rompere.
Numerosi frequentatori di Eataly hanno plaudito l'iniziativa ed
espresso solidarietà agli immigrati in lotta. Qui i flyers sulle
lotte nei CIE: http://piemonte.indymedia.org/article/4464
La lotta continua domani.
R. Em.
Armati di cartelli e bandiere una trentina di lavoratori e
lavoratrici ex CGS e una ventina di solidali si sono dati appuntamento
alle 10,30 di martedì 17 marzo davanti alla sede di HDL, in
largo Vittorio Emanuele 87. Da dicembre sono in lotta per il salario e
per il lavoro. La loro è una vicenda comune a tanti altri: sono
stati incastrati nell'infernale matrioska di cooperative che dipendono
da altre cooperative che prendono subappalti da chi ha preso appalti.
Lavoratori "usa e getta", quando la Gesconet che li aveva affittati da
CGS perde l'appalto, vengono lasciati a casa invece di passare ad HDL.
Facciamo un passo indietro.
HDL è la cooperativa che ha vinto l'appalto per la parte finale
della lavorazione di due prodotti che tutti conoscono, le Pagine
Bianche e le Pagine Gialle. Queste due guide sono prodotte dalla
Edigraf, una consociata della Ilte. Sino a dicembre l'appalto era di
Gesconet, che impiegava operai forniti da Punto Lavoro, una sigla di
copertura poiché Punto Lavoro ha sede assieme a Gesconet e
nessun altra funzione che quella di "affittare" lavoratori. Punto
Lavoro a sua volta affittava altri lavoratori da CGS, una cooperativa
che è nata e morta per l'occasione. Quando HDL subentra a
Gesconet, CGIL negozia il passaggio dei lavoratori di Punto
Lavoro/Gesconet ad HDL. Gli operai di CGS, che svolgevano le stesse
mansioni di tutti gli altri, vengono lasciati a casa. Non sono stati
neppure licenziati quindi per loro niente liquidazione e niente
indennità di disoccupazione. Sono operai "usa e getta": CGS,
Punto Lavoro e Gesconet hanno lucrato sulla loro pelle ed ora si
rimpallano le responsabilità. Molti sono immigrati sottoposti al
ricatto del lavoro che rende "liberi", grazie all'equiparazione tra
contratto di lavoro e permesso di soggiorno.
Questi lavoratori sono torinesi di oggi: ivoriani, marocchini,
nigeriani, tunisini. Sono stati pagati a ore, senza mai vedere nemmeno
una busta paga, in mezzo alla strada, come "spacciatori che passano una
dose".
Da dicembre gli ex CGS sono in lotta. Per il lavoro, perché
chiedono di essere a loro volta assunti da HDL, per i salari non
versati e per il riconoscimento delle mansioni effettivamente svolte
che implicavano una ben diversa retribuzione. Assunti con un contratto
di facchinaggio, in realtà lavoravano come operai.
A dicembre hanno fatto un presidio di fronte al solarium di
proprietà della padrona di CGS, il due marzo hanno fatto un
presidio di fronte a Gesconet. Il responsabile di Gesconet ha il
sorriso gelido dei venditori di niente e un'eloquenza da piazzista. Un
piazzista di braccia. Sostiene che il suo è un lavoro pulito,
legale, che quello non è il posto giusto dove rivolgersi,
perché loro non c'entrano nulla.
Stessa scena martedì 17 marzo di fronte ad HDL. Il responsabile
delle "risorse umane" ha uno stile più affabile, sebbene parli
spalleggiato da un tipo robusto che sgomita pur di restargli attaccato.
Sorride con ipocrita cortesia e recita il ruolo del Pilato di turno,
quello di chi si lava le mani dei pasticci fatti da altri. Con un "io,
di voi, non sapevo nulla" si defila. Incalzato dai lavoratori e dal
sindacalista della Flaica, sostiene che non c'è lavoro e che non
può assumere nessuno. Pare che al momento dell'assorbimento dei
lavoratori impiegati dai precedenti appaltanti abbia ignorato quelli
della CGS per fare posto ad una quindicina di "propri" lavoratori
già impiegati all'aeroporto e rimasti senza lavoro.
Quelli di HDL se ne vanno ma la giornata di lotta non è certo
finita. A due passi da lì c'è il solarium di
proprietà della padrona di CGS. Si forma un corteo spontaneo che
raggiunge il negozio in via Arsenale 36. Divani di plastica rossa a
cuore e luci soffuse color confetto: la padrona vede arrivare i
manifestanti, serra la porta e si rintana nel retro. La padrona non si
fa vedere, non apre neppure ai clienti che suonano. Chiama al telefono
e dichiara di aver portato le buste paga in sindacato. Ma è una
menzogna, una delle tante con le quali ha cercato di tenere buoni i
lavoratori.
Fuori si leva un solo grido "vergogna, vergogna!".
La lotta continua. I lavoratori manifesteranno venerdì 27 marzo
alla Ilte di Moncalieri. Appuntamento alle 10,30 in via Postiglione 14.
Il 19 marzo si è tenuto nella centralissima via Po, un punto
info contro il caporalato e di solidarietà con la lotta dei
lavoratori e lavoratrici ex CGS.
R. Em