Umanità Nova, n.14 del 12 aprile 2009, anno 89

Università S.p.a.


Mentre in molti paesi europei gli studenti universitari si stanno mobilitando contro il cosiddetto "Processo di Bologna", in Italia di questo processo non si parla quasi mai, neppure nell'ambito dei movimenti studenteschi nati nelle università italiane in autunno. Il che suona strano, dal momento che lo stato italiano è stato uno dei suoi più accaniti sostenitori. L'applicazione di questo processo in Italia è iniziata con la riforma Berlinguer-Zecchino del 1999, con la quale vennero istituiti il 3+2 e i crediti formativi, ed è continuato con tutta una serie di leggi e riforme, fino all'attuale ddl.1387, che attende di passare in parlamento, e che prevede un ulteriore inasprimento dei contributi studenteschi, la centralizzazione del potere e l'aumento dell'influenza del mondo finanziario ed imprenditoriale all'interno degli atenei. All'implementazione di questo processo hanno contribuito tutti i governi che si sono succeduti, siano stati di destra o di sinistra.
Il processo di Bologna è nato da un accordo non vincolante a livello europeo (la dichiarazione di Bologna del 1999), sulla base del quale sono state attuate riforme del sistema di educazione superiore in tutti i paesi firmatari. Le riforme sono state portate avanti con caratteristiche diverse e in tempi diversi a seconda del paese, ma dovunque hanno suscitato polemiche e proteste da parte degli studenti.
Lo scopo dichiarato del processo di Bologna è quello di "modernizzare" e "armonizzare" i diversi sistemi di educazione superiore, con la creazione dell'Area Europea di Educazione Superiore (European Higher Education Area), per promuovere la mobilità e la competitività internazionale. Attualmente partecipano al processo (che dovrebbe concludersi entro il 2010) 46 paesi, con il sostegno di alcune organizzazioni internazionali.
I ministri si riempiono la bocca di belle parole e presentano il processo di Bologna come una meravigliosa occasione per migliorare le università europee, ma dietro la loro retorica si cela un disegno subdolo che sta affossando i principi stessi che i ministri dicono di voler promuovere.
Per comprendere meglio la questione bisogna però considerare anche il contesto nel quale il processo si è sviluppato. Non bisogna infatti pensare che la questione sia limitata unicamente all'università: il processo di Bologna si inserisce all'interno di un attacco generalizzato contro i servizi pubblici, iniziato con i GATS e proseguito attraverso la strategia di Lisbona.
Il GATS (Accordo Generale sul Commercio dei Servizi) è un accordo firmato dal WTO nel 1995, con il quale 151 Stati si sono accordati per "liberalizzare il commercio dei servizi". Tra questi servizi molti paesi, compresa l'UE, hanno scelto di inserire anche i servizi educativi.
La strategia di Lisbona, invece, è un piano di azione di più ampio respiro delineato dal Consiglio Europeo nel 2000, con il quale si sottolinea, tra le altre cose, la necessità che gli investimenti nel campo dell'educazione avvengano solo a condizione che gli istituti dimostrino di essere produttivi, efficaci e utili alla "società" (rappresentata in questo caso solo dal mondo politico ed imprenditoriale).
Non c'è quindi da meravigliarsi se oggi, a 10 anni di distanza dall'inizio di questo processo, le istituzioni universitarie europee siano organizzate in maniera tale da favorire l'aziendalizzazione e le privatizzazioni a scapito del diritto allo studio, della mobilità e dell'educazione di qualità.
I cardini sui quali ruota il Processo di Bologna sono: l'introduzione dei crediti formativi, la strutturazione dell'istruzione superiore su tre cicli e la cooperazione europea nella valutazione della qualità delle università.
I crediti universitari dovrebbero venir introdotti in ogni paese sul modello del sistema ECTS (Sistema Europeo di Trasferimento e Accumulo di Crediti), al fine di promuovere la mobilità internazionale degli studenti. Di fatto, in Italia, da quando sono stati introdotti hanno avuto l'effetto esattamente opposto, complicando ulteriormente i passaggi da un corso ad un altro e da un ateneo all'altro.
Inoltre questo sistema dovrebbe favorire l'apprendimento permanente o "lifelong learning", concetto particolarmente ricorrente nell'ambito della riforma Moratti del 2002, e che vorrebbe equiparare i diplomi conseguiti nelle università statali con qualsivoglia esperienza presso un istituto privato.
L'istruzione superiore si dovrebbe articolare su tre cicli: il "bachelor" (la nostra laurea triennale), il master (corso di specializzazione) e il PhD (il nostro dottorato, una sorta di "limbo" nel quale non si è considerati né studenti né lavoratori). Nella categoria di "master", così come viene definito nella dichiarazione di Bologna, possono rientrare sia la nostra laurea specialistica (che sembra essere una peculiarità italiana) sia uno dei tanti master propriamente detti, con costi esorbitanti e ore di lavoro obbligatorie non retribuite.
Il sistema di valutazione andrebbe quindi ad inserirsi in un contesto di frammentazione del sapere, che risulta così già dequalificato e più utile a fornire quel nozionismo e quel know-how che servono ai datori di lavoro, piuttosto che a trasmettere sapere per formare cittadini attivi e consapevoli.
Dato che gli obbiettivi perseguiti dai governi dei vari paesi convergono, anche tra le rivendicazioni degli studenti si possono delineare dei punti comuni.
Quello che gli studenti contestano è la sempre più accentuata tendenza ad una organizzazione aziendale e manageriale delle università e la selezione sempre più spinta degli studenti sulla base del censo.
L'autonomia finanziaria delle singole università vincola, infatti, l'erogazione dei fondi a criteri aziendali: le università devono dimostrare di essere "produttive" per competere per i fondi pubblici, oppure andare alla ricerca di fondi privati.
Il potere negli atenei viene sempre più centralizzato, aumentando i poteri dei rettori a scapito degli organi collegiali, e i rapporti tra università e imprese vengono favoriti in diversi modi, anche attraverso l'inserimento di rappresentanti del mondo finanziario ed imprenditoriale negli organi decisionali di ateneo.
Le tasse vengono istituite nei paesi dove prima non esistevano, mentre negli altri si tende a sostituire le borse di studio con i prestiti d'onore (soldi che vanno quindi restituiti). A ciò si affianca l'introduzione di master costosissimi, a volte vincolanti per poter esercitare una determinata professione, per i quali, in genere, è quasi impossibile ottenere una borsa di studio.
Del resto un obiettivo dichiarato della strategia di Lisbona consiste nel sostituire sempre più i finanziamenti statali con quelli delle imprese e degli studenti. Svincolato dalla competenza statale il sistema educativo sarà così molto più semplice da inserire nella rete del libero commercio.
Ogni due anni i Ministri dell'Istruzione dei paesi firmatari si incontrano per valutare i risultati raggiunti e stabilire le priorità per il biennio successivo. La prossima Conferenza Ministeriale si terrà a Louvain/Leuven (Belgio) il 29 aprile 2009. Studenti da diversi paesi europei si stanno organizzando per confrontarsi in un contro-vertice nei giorni immediatamente precedenti il summit, per poi dar vita a manifestazioni di piazza. L'obiettivo è quello di contrastare l'aziendalizzazione delle università e la commercializzazione del sapere, e difendere il diritto per tutti ad una educazione libera e di qualità.

Valentina

Alcuni riferimenti utili:
http://movimiento.noabolonia.org/index.php
http://www.emancipating-education-for-all.org
http://www.vagueeuropeenne.fr/?lang=it

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti