Umanità Nova, n.15 del 19 aprile 2009, anno 89

Un due tre, stella... La marcia del gambero del sindacalismo di base


Mi è capitato sempre più spesso, nel corso delle ultime settimane, di verificare fra le compagne ed i compagni che frequento e con i quali intrattengo una corrispondenza di rilevare una sorta d'impazienza, d'insoddisfazione, d'esigenza che, in qualche modo, la situazione stagnante che viviamo si metta in moto.
Circa un mese addietro un compagno sensibile ed intelligente, anche se alquanto in sonno, mio compaesano di sindacato scriveva:
"Spesso ci si chiede a che cosa servono il sindacato (serio) e la sinistra politica (perbene). Epifani, in prima pagina del Corriere della Sera di oggi 15 marzo 2009, ci dà una risposta 'In Francia e in Grecia la rabbia è esplosa. In Italia, grazie a noi, la protesta è stata governata' ".
La citazione di Epifani mi ha colpito per due ragioni.
Per un verso è chiaro che Epifani si propone alla borghesia italiana come esponente di una sinistra sindacale autorevole, capace di fare opposizione e di farla a maggior ragione quando la sinistra parlamentare è, come ora, alla canna gas, ma anche di imbrigliare un'opposizione sociale potenziale, di incanalarla in forme d'azione non traumatiche. A mio avviso, quando si esibisce in tale veste, Epifani vanta un ruolo ed un potere che, in realtà, non ha o, almeno, non ha nella misura che pretende. Ma questo è un altro discorso.
Per l'altro è evidente che il mio corrispondente, che chiameremo per comodità D., ritiene plausibile che il ruolo della sinistra istituzionale sia, in primo luogo, quello di controllare il conflitto sociale. In qualche modo un conflitto che si immagina, spera, desidera radicale, aspro, non imbrigliato dalle usuali mediazioni.
Sulla stessa linea di pensiero insiste un altro compagno, G., altrettanto autorevole che, a fronte dei sequestri di manager in Francia:
"Se l'importanza dell'azione diretta, senza mediazioni sindacali, si riconosce e la sua pratica si diffonde, ben venga il mal francese. Chissà perché i cugini hanno sempre qualcosa da insegnarci?… Tra l'altro i cugini hanno una condizione sindacale apparentemente sfavorevole (minor tasso di sindacalizzazione, minor potere dei sindacati, assenza del sindacalismo di base) che convertono nella propensione al far da sé che come è noto vale per tre".
A parte il fatto che anche la Francia è illeggiadrita da sindacati alternativi, magari meno consistenti che in Italia, ancora una volta l'attenzione è posta sul fatto che i professionisti del controllo sociale democratico svolgerebbero in Italia un ruolo di freno al conflitto sociale che altrove, per una minor forza dei sindacati, non vi sarebbe con l'effetto di favorire l'azione diretta. Tesi suggestiva, ma, probabilmente, alquanto unilaterale se non avventata.
Un altro mio compaesano di sindacato, uomo meno raffinato, scrive a propositivo del primo sequestro di manager avvenuto in Italia:
 "Cosimo pensi che ci sia da meravigliarsi? Io credo, che quello successo a Milano, è caso sporadico che potrebbe diventare realtà. Le famiglie non arrivavano a fine mese prima della crisi e ora rischiano di morire di fame. Che dobbiamo fa'? Ma tanto c'è il supremo che risolve tutto!"
Se lasciamo da parte la sopravvalutazione del ruolo e del potere del Cavalier Berlusconi, l'idea è che la crisi ponga le condizioni per una ripresa del conflitto aperto fra le classi. Nuovo capitalismo e vecchia lotta di classe per citare il vecchio Paul Mattick.
Interessante, poi, è leggere quanto mi scrive a proposito del sequestro di manager il compagno E., uomo, a quanto ne so, non guastato dal sindacalismo:
"Comunque oggi, tornando a casa dal lavoro, mi è capitato di ascoltare un pezzo della trasmissione che Fahrenheit (Radio 3) ha dedicato proprio a questo tema. Uno degli ospiti era il sociologo Marc Lazar che spiegava che in Italia il conflitto stenta a decollare, non solo per una situazione un po' meno grave, ma anche per via del fatto che in Francia c'è stato un attacco dello stesso Sarkozy verso quegli stessi manager sequestrati. Di contro, qui, non solo il governo, ma gli stessi media tenderebbero a tenere a bada il conflitto.... Da parte mia ho mandato un sms delle notizie riportate da Cosimo sui fatti di Milano: la notizia buona è che è stato letto in diretta, quella negativa (x Cosimuccio soprattutto) è che non hanno nominato la CUB.".

È interessante notare in questo caso che:
- la spiegazione della maggior crudezza dello scontro sociale in Italia rispetto alla Francia sarebbe duplice, per un verso effetti meno aspri della crisi e, per l'altro, una maggior copertura da parte del governo nei confronti dei manager. Il minor peso della meritocrazia in Italia come causa di minor intensità del conflitto. Il buon Lazar non fa cenno al debole insediamento dei sindacati;
- il mio amico E. mi attribuisce un soprannome assai gentile ed un senso di identificazione con il sindacato nel quale milito un po', un po' tanto, superiore a quella che è in realtà.
Nei fatti, a mio avviso, se è vero che il primo sequestro di manager milanese, sequestro in realtà assai blando, ha visto la presenza al presidio di un rsu CUB, è altrettanto vero che la presenza di delegati di questo o quel sindacato non è l'elemento da valutare per primo, e nemmeno per secondo direi, nell'analisi dei conflitti industriali.
Per un verso, infatti, è chiaro che a fronte della messa in mobilità o, peggio del licenziamento, i casi di lotte aspre non potranno che accrescersi fisiologicamente a prescindere da quali organizzazioni sindacali o politiche siano presenti nella lotta.
Per l'altro, sarebbe sbagliato non considerare il ruolo di stimolo o di freno nei confronti delle lotte che possono avere le organizzazioni sindacali e, in primis, i delegati aziendali.
L'idea che le lotte derivino meccanicamente dalla reazione al degrado delle condizioni di vita e di lavoro non tiene conto del fatto banale che i lavoratori e le lavoratrici elaborano iniziative, strategie, linguaggi e che a questo processo danno un contributo le correnti di azione e di pensiero che esistono all'interno del movimento dei lavoratori.
E, da questo punto di vista, non ritengo plausibile che la presenza di forti organizzazioni sindacali su posizioni di classe possa essere un freno all'azione diretta. Al contrario penso che possano essere un strumento ed uno stimolo all'autorganizzazione sociale.
Che possano, non che necessariamente sono.
Il problema reale oggi è proprio questo, il sindacalismo di base realmente esistente non sta giocando un ruolo comparabile a quello che l'eccellente riuscita dello sciopero del 17 ottobre 2008 rendeva prevedibile e non lo sta giocando essenzialmente per ragioni interne al suo percorso.
In altri termini, le tensioni interne alla CUB, la più consistente organizzazione di quest'area, tensioni che si riflettono sulla vita e sull'azione delle altre organizzazioni del sindacalismo alternativo a partire da quelle che costituiscono il Patto di Base, stanno, a mio avviso, significativamente bloccando l'iniziativa del sindacalismo di base.
Gran parte delle energie vengono assorbite dagli scontri interni e dal posizionamento in previsioni di scomposizioni e ricomposizioni mentre urgerebbe ben altro.
Lo stesso dibattito è impoverito e viene letto in funzione dello scontro fra componenti, delle alleanze e delle rotture di alleanze in corso.
Quello che colpisce è il fatto che molti militanti, e non mi riferisco solo né principalmente a quelli d'area libertaria, sono perfettamente consapevoli che è in atto uno scontro di posizioni tutt'altro che chiaro, ma il fatto che i soggetti che hanno dato vita a questo scontro hanno le risorse e le determinazioni per portarlo avanti blocca, almeno in parte, l'iniziativa di chi vede il danno che deriva all'azione di classe da pratiche di apparato e da lotte di potere.
Siamo di fronte ad un ennesimo verificarsi della vigenza della legge bronzea delle oligarchie? Dipende anche da noi se questa è la situazione.

Cosimo Scarinzi 

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