Mi è capitato sempre più spesso, nel corso delle
ultime settimane, di verificare fra le compagne ed i compagni che
frequento e con i quali intrattengo una corrispondenza di rilevare una
sorta d'impazienza, d'insoddisfazione, d'esigenza che, in qualche modo,
la situazione stagnante che viviamo si metta in moto.
Circa un mese addietro un compagno sensibile ed intelligente, anche se alquanto in sonno, mio compaesano di sindacato scriveva:
"Spesso ci si chiede a che cosa servono il sindacato (serio) e la
sinistra politica (perbene). Epifani, in prima pagina del Corriere
della Sera di oggi 15 marzo 2009, ci dà una risposta 'In Francia
e in Grecia la rabbia è esplosa. In Italia, grazie a noi, la
protesta è stata governata' ".
La citazione di Epifani mi ha colpito per due ragioni.
Per un verso è chiaro che Epifani si propone alla borghesia
italiana come esponente di una sinistra sindacale autorevole, capace di
fare opposizione e di farla a maggior ragione quando la sinistra
parlamentare è, come ora, alla canna gas, ma anche di
imbrigliare un'opposizione sociale potenziale, di incanalarla in forme
d'azione non traumatiche. A mio avviso, quando si esibisce in tale
veste, Epifani vanta un ruolo ed un potere che, in realtà, non
ha o, almeno, non ha nella misura che pretende. Ma questo è un
altro discorso.
Per l'altro è evidente che il mio corrispondente, che chiameremo
per comodità D., ritiene plausibile che il ruolo della sinistra
istituzionale sia, in primo luogo, quello di controllare il conflitto
sociale. In qualche modo un conflitto che si immagina, spera, desidera
radicale, aspro, non imbrigliato dalle usuali mediazioni.
Sulla stessa linea di pensiero insiste un altro compagno, G.,
altrettanto autorevole che, a fronte dei sequestri di manager in
Francia:
"Se l'importanza dell'azione diretta, senza mediazioni sindacali, si
riconosce e la sua pratica si diffonde, ben venga il mal francese.
Chissà perché i cugini hanno sempre qualcosa da
insegnarci?… Tra l'altro i cugini hanno una condizione sindacale
apparentemente sfavorevole (minor tasso di sindacalizzazione, minor
potere dei sindacati, assenza del sindacalismo di base) che convertono
nella propensione al far da sé che come è noto vale per
tre".
A parte il fatto che anche la Francia è illeggiadrita da
sindacati alternativi, magari meno consistenti che in Italia, ancora
una volta l'attenzione è posta sul fatto che i professionisti
del controllo sociale democratico svolgerebbero in Italia un ruolo di
freno al conflitto sociale che altrove, per una minor forza dei
sindacati, non vi sarebbe con l'effetto di favorire l'azione diretta.
Tesi suggestiva, ma, probabilmente, alquanto unilaterale se non
avventata.
Un altro mio compaesano di sindacato, uomo meno raffinato, scrive a
propositivo del primo sequestro di manager avvenuto in Italia:
"Cosimo pensi che ci sia da meravigliarsi? Io credo, che quello
successo a Milano, è caso sporadico che potrebbe diventare
realtà. Le famiglie non arrivavano a fine mese prima della crisi
e ora rischiano di morire di fame. Che dobbiamo fa'? Ma tanto
c'è il supremo che risolve tutto!"
Se lasciamo da parte la sopravvalutazione del ruolo e del potere del
Cavalier Berlusconi, l'idea è che la crisi ponga le condizioni
per una ripresa del conflitto aperto fra le classi. Nuovo capitalismo e
vecchia lotta di classe per citare il vecchio Paul Mattick.
Interessante, poi, è leggere quanto mi scrive a proposito del
sequestro di manager il compagno E., uomo, a quanto ne so, non guastato
dal sindacalismo:
"Comunque oggi, tornando a casa dal lavoro, mi è capitato di
ascoltare un pezzo della trasmissione che Fahrenheit (Radio 3) ha
dedicato proprio a questo tema. Uno degli ospiti era il sociologo Marc
Lazar che spiegava che in Italia il conflitto stenta a decollare, non
solo per una situazione un po' meno grave, ma anche per via del fatto
che in Francia c'è stato un attacco dello stesso Sarkozy verso
quegli stessi manager sequestrati. Di contro, qui, non solo il governo,
ma gli stessi media tenderebbero a tenere a bada il conflitto.... Da
parte mia ho mandato un sms delle notizie riportate da Cosimo sui fatti
di Milano: la notizia buona è che è stato letto in
diretta, quella negativa (x Cosimuccio soprattutto) è che non
hanno nominato la CUB.".
È interessante notare in questo caso che:
- la spiegazione della maggior crudezza dello scontro sociale in Italia
rispetto alla Francia sarebbe duplice, per un verso effetti meno aspri
della crisi e, per l'altro, una maggior copertura da parte del governo
nei confronti dei manager. Il minor peso della meritocrazia in Italia
come causa di minor intensità del conflitto. Il buon Lazar non
fa cenno al debole insediamento dei sindacati;
- il mio amico E. mi attribuisce un soprannome assai gentile ed un
senso di identificazione con il sindacato nel quale milito un po', un
po' tanto, superiore a quella che è in realtà.
Nei fatti, a mio avviso, se è vero che il primo sequestro di
manager milanese, sequestro in realtà assai blando, ha visto la
presenza al presidio di un rsu CUB, è altrettanto vero che la
presenza di delegati di questo o quel sindacato non è l'elemento
da valutare per primo, e nemmeno per secondo direi, nell'analisi dei
conflitti industriali.
Per un verso, infatti, è chiaro che a fronte della messa in
mobilità o, peggio del licenziamento, i casi di lotte aspre non
potranno che accrescersi fisiologicamente a prescindere da quali
organizzazioni sindacali o politiche siano presenti nella lotta.
Per l'altro, sarebbe sbagliato non considerare il ruolo di stimolo o di
freno nei confronti delle lotte che possono avere le organizzazioni
sindacali e, in primis, i delegati aziendali.
L'idea che le lotte derivino meccanicamente dalla reazione al degrado
delle condizioni di vita e di lavoro non tiene conto del fatto banale
che i lavoratori e le lavoratrici elaborano iniziative, strategie,
linguaggi e che a questo processo danno un contributo le correnti di
azione e di pensiero che esistono all'interno del movimento dei
lavoratori.
E, da questo punto di vista, non ritengo plausibile che la presenza di
forti organizzazioni sindacali su posizioni di classe possa essere un
freno all'azione diretta. Al contrario penso che possano essere un
strumento ed uno stimolo all'autorganizzazione sociale.
Che possano, non che necessariamente sono.
Il problema reale oggi è proprio questo, il sindacalismo di base
realmente esistente non sta giocando un ruolo comparabile a quello che
l'eccellente riuscita dello sciopero del 17 ottobre 2008 rendeva
prevedibile e non lo sta giocando essenzialmente per ragioni interne al
suo percorso.
In altri termini, le tensioni interne alla CUB, la più
consistente organizzazione di quest'area, tensioni che si riflettono
sulla vita e sull'azione delle altre organizzazioni del sindacalismo
alternativo a partire da quelle che costituiscono il Patto di Base,
stanno, a mio avviso, significativamente bloccando l'iniziativa del
sindacalismo di base.
Gran parte delle energie vengono assorbite dagli scontri interni e dal
posizionamento in previsioni di scomposizioni e ricomposizioni mentre
urgerebbe ben altro.
Lo stesso dibattito è impoverito e viene letto in funzione dello
scontro fra componenti, delle alleanze e delle rotture di alleanze in
corso.
Quello che colpisce è il fatto che molti militanti, e non mi
riferisco solo né principalmente a quelli d'area libertaria,
sono perfettamente consapevoli che è in atto uno scontro di
posizioni tutt'altro che chiaro, ma il fatto che i soggetti che hanno
dato vita a questo scontro hanno le risorse e le determinazioni per
portarlo avanti blocca, almeno in parte, l'iniziativa di chi vede il
danno che deriva all'azione di classe da pratiche di apparato e da
lotte di potere.
Siamo di fronte ad un ennesimo verificarsi della vigenza della legge
bronzea delle oligarchie? Dipende anche da noi se questa è la
situazione.
Cosimo Scarinzi