Umanità Nova, n.15 del 19 aprile 2009, anno 89

Non è mai troppo tardi. Le Ardeatine e il suicidio della memoria


È da lontano (Venezia) che ci ritorna un messaggio nella bottiglia partito da dietro casa. Potremmo facilmente citare il senno di poi e il piangere sul latte versato, ma mi sembra una troppo facile retorica. Dato per scontato tutto ciò che ha diviso e divide il sentire anarchico da quello extraparlamentare di anni ormai passati e quello extraparlamentare dell' oggi e fortunatamente passerà anche questa pioggia sottile (e il governo che comporta). La sottigliezza della bestia strisciante, se non ci coglie di sorpresa, comunque non è stata evitata né contrastata da adeguate pratiche sociali (comuniste/libertarie) da nessuna componente, ahimè, la nostra compresa. Quello che è sicuro è che non si può certo stare ad aspettare che passi, alla Charlie Brown, ma è indispensabile riannodare nella società, senza curarsi delle istituzioni, tanto poco credibili da non escludere che qualcuno possa ritenere a buona ragione di restaurare il suo potere temporale. Così ci troveremmo, slittamenti progressivi del potere a prima del 1860. Ma si sa la storia non è una cometa che passa e va. E riemerge anche di sotto le più fosche revisioni e negazioni. E l'odio è sicuramente meno importante del disgusto e della nausea. Prendiamo allora atto che almeno questo poco è chiaro, e non basta un ballo mascherato per riabilitare quelle stesse istituzioni fuggitive, ma con le tasche piene, che tornano a pietire in sembianze di vittime emarginate, di custodi della "sicurezza" e via di seguito. Si comincia con un mi consenta... per fare impallidire anche i cavallerizzi del passato. Non posso che augurare che Savino Pezzotta sia d'accordo con le rose bianche. È altresì certo, come dice mia nipote quindicenne, che il fascismo e lo stalinismo sono ormai cose vecchie, ma questo era vero anche quando quindici anni li avevo io. Il confronto tra il modello sociale autoritario e quello libertario sarà sempre davanti a noi. Ma quale dei sistemi è il meno bestiale (o magari solo scimmiesco, perché coinvolgere le amebe nei limiti degli umani)? È qui che si delinea la discriminante: di classe, popolare o sociale che dir si voglia.
Il problema è allora neppure da che parte stare, ma se vogliamo vedere qualcosa di ancora peggio di quanto si è già visto.

Tommaso Aversa

Le Ardeatine e il suicidio della memoria

Sotto un cielo severo si è consumato il dolore più grande. Sgomenti, i familiari e i compagni delle Ardeatine, hanno assistito alla rappresentazione più dura della sconfitta. Tina singhiozzava ben oltre il suo austero senso del pudore, Carlo si è accasciato al suolo, i brividi, le punture di spillo ripetute sei volte sul ricordo della strage dei Di Consiglio. Chiusa dentro un recinto la comunità di dolore invecchiata e stanca ha assistito alla commemorazione istituzionale presenziata da Fini, La Russa e il sindaco Alemanno. Una distanza siderale tra le ragioni, le paure, i tormenti e le ambizioni dei 335 e l'omaggio formale e militare dei rappresentanti dello stato e della città.
Ancora più palese la contraddizione tra il ricordo senza pace e la militarizzazione della memoria. Questa odiosa invasione del campo civile da parte militare valeva ieri e vale oggi.
Ma oggi il colpo allo stomaco arriva dalla nostra inadeguatezza, dalla nostra superficialità, il colpo che fa male, che riga il volto di lacrime lente, arriva dall'incapacità tutta nostra di non essere riusciti a mettere in salvo la memoria più preziosa, di non essere stati capaci di preservare con cura e determinazione la storia dei padri.
Abbiamo consegnato il nostro onore ai nemici di un tempo, gli abbiamo consegnato le nostre storie, il coraggio e le parole e siamo qui a pregare affinché ne facciano buon uso.
La sinistra si ritrova sgomenta e muta sul prato delle Ardeatine. Plurale, divisa, distorta e malconcia si specchia nel suo fallimento nel luogo più sacro, nel posto dell'anima, principio e fine di ogni liberazione.
Provo dolore ma anche vergogna, provo disgusto per le modalità sguaiate con cui spesso abbiamo calpestato le memorie più care, magari in nome dell'innovazione o dell'identità.
Che vergogna compagni, appesi al buonsenso del presidente della Camera e all'onore delle armi che non si nega agli sconfitti.
Il 24 marzo è inciso nella mia memoria famigliare e in quella politica, ho imparato a camminare, a correre, ad odiare e ad avere paura frequentando con mia nonna le cave, ho visto piangere e lottare i famigliari delle vittime che hanno resistito alle provocazioni, alle leggende metropolitane, alle contrapposizioni, alla fuga di Kappler e all'oblio della memoria.
Il 24 marzo 2009 è per me, per noi, il giorno più triste, abbiamo giocato a palla con la giara dei mali, contribuendo alla diffusioni dei suoi umori più neri senza nemmeno sentire il dovere di mostrare le stigmate della responsabilità. Che brutta sinistra, la storia consegna il conto a noi che non eravamo pronti neanche a far di conto con la cronaca.
Ieri, 23 marzo, c'era il sole e il cielo si è colorato di tanti palloncini con i nomi dei martiri grazie alla volontà di insegnanti e ragazzi di una comunità resistente come quella del municipio XI e del suo presidente.
Ieri Sara, 7 anni a giugno, mi ha insegnato che la memoria può avere un colore diverso dal rosso, può avere la dignità di una rosa bianca, gomitolo di essenzialità, appoggiata con cura accanto alla foto di Enrico Mancini, partigiano dal volto gentile, sangue del nostro sangue. Mi ha spiegato che bianco è meglio del rosso e che una carezza capace di accompagnare la foto è meglio di un saluto militare e di un pugno chiuso. Ho fatto fatica ma ho deciso di farmi guidare da mia figlia, ha il cuore più grande del mio e nutre il suo ricordo per il gusto di farlo senza concedere nulla al nemico, neanche il suo odio. E forse proprio per questo il suo viaggio sarà più fortunato del nostro.

Massimiliano Smeriglio

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