E tra qualche settimana arriverà anche il Papa, così
non mancherà nessuno. Proprio nessuno. Perché, a l'Aquila
e nei paesi scossi dal terremoto dello scorso 6 aprile, non sarà
soltanto il "prima" ad essere ricordato per le malefatte delle
amministrazioni pubbliche e private, quanto il "dopo" ad essere la
riconferma della pericolosità di un sistema economico, politico
e giudiziario; più dell'imprevedibilità degli
eventi naturali è la prevedibilità criminale della sua
organizzazione ad esser stata causa dei 295 morti, e a esser
causa del processo affaristico clientelare che metterà mano alla
ricostruzione dell'Abruzzo e di tutto il Paese: lo vuole Dio, lo
reclama il Progresso, lo invoca la Nazione.
Nel mentre, nell' "adesso", ciò che accade è una lotta,
una sfida, fra le forze dello Stato, impegnate da subito – questo
sì – a riprendere il controllo della situazione al fine di auto
legittimarsi come garanti della sicurezza, della coesione, ma
soprattutto della risoluzione "finale" ai problemi da lui stesso
determinati, e le forze dell'auto organizzazione, della
solidarietà sociale, della partecipazione diretta, collettiva e
consapevole. Certo: le forze sono impari, la violenza si conosce chi la
coordina, la esegue e la applica; non a caso l'Aquila e l'Abruzzo sono
di fatto occupate militarmente e mediaticamente. La presenza dello
Stato – ha ragione Silvio Berlusconi – non si è fatta certo
attendere; e come "prima" è stata responsabile di quanto
è accaduto e poteva non accadere, "dopo" sarà
responsabile di come si sarà data attuazione alla ricostruzione
rispetto alle volontà, alle decisioni, ai desideri della
popolazione.
Una popolazione affranta, distrutta, disperata, la cui principale
speranza è "fare presto" per uscire dalla paura di un futuro
senza domani, perché rappresentato da un eterno presente
precario come è sempre stato il "dopo" di ogni terremoto: da
quello della Calabria e della Sicilia nel 1908, a quello del Molise e
della Puglia nel 2002. In un simile frangente lo Stato è sovrano
negli aiuti e attraverso gli aiuti controlla e riorganizza la propria
presenza sul territorio, soprattutto laddove è brillata la sua
inefficienza, o per meglio dire il suo sistema affaristico-clientelare
attraverso una pubblica amministrazione corrotta e corruttibile. Che
potrà anche essere indagata e messa sotto accusa al pari del
settore privato, da sempre sede principale del riciclaggio di denaro
sporco (in primis nel settore dell'edilizia), ma che si auto
assolverà in quanto sistema, addebitando le
responsabilità alla mancata applicazione delle leggi da parte
dei singoli.
Cosicché assisteremo a processi mediatici contro politici e
professionisti, dove la qualità del cemento, la consistenza del
ferro, la regolarità degli impianti saranno al centro delle
accuse per reati colposi e dolosi; così come la Magistratura si
attiverà attraverso il pool antimafia, affinché la
ricostruzione delle zone terremotate non possa cadere nelle mani della
criminalità organizzata. Ma tutto ciò non scalfirà
minimamente il sistema economico-politico dello Stato, quel sistema
basato sull'inapplicabilità delle leggi che ha determinato in
ogni settore il ricorso all'illegalità economica e finanziaria.
Perché non è la criminalità ad aver bisogno del
sistema economico-politico, ma è lo Stato e la sua economia che
ha bisogno della criminalità per giustificare la propria e
l'altrui violenza contro ogni forma di organizzazione sociale che non
ponga al centro dei propri interessi lo sfruttamento degli uomini e del
loro ambiente al fine di conseguirne il massimo profitto.
Lo sa bene chi – come i nostri compagni presenti a l'Aquila –
immediatamente ha dato vita a strutture di solidarietà e di
mutuo appoggio indipendenti ed autonome dagli aiuti statali che,
attraverso la Protezione Civile, la Croce Rossa, la Prefettura, le
Amministrazioni Comunali e le imprese private integrate al sistema,
stanno preparando le basi per il "dopo" terremoto, quando passate le
elezioni europee e ingabbiati i responsabili minori della filiera
affaristico-politica, tutto ritornerà come "prima". E allora non
resta che auto organizzarci la nostra vita e il nostro futuro.
gianfranco marelli