Umanità Nova, n.16 del 26 aprile 2009, anno 89

Fidel: il dolore di non essere più


Liberamente tratto da alcuni frammenti di un lavoro di Daniel Barret sull'evoluzione del regime politico cubano dal 17 novembre 2005 a oggi.
Questo pezzo prova a spiegare il ruolo di Fidel Castro negli ultimi mesi.
Per ulteriori informazioni in inglese e spagnolo e il punto di vista degli anarchici su Cuba vedi il blog "Movimiento Libertario Cubano"
http://movimientolibertariocubano.entodaspartes.net

Trattando di un regime politico così dipendente dal suo "simbolo totemico", non è sorprendente che un capitolo fondamentale riguardi Fidel Castro, "comandante in capo" per i suoi meriti di guerrigliero nei secoli dei secoli.
Fidel è parso morto, ma non ancora seppellito l'11 gennaio 2009. Da quel momento ha interrotto la stesura delle sue "Riflessioni" e non sembrava molto interessato a farsi vedere in prima persona durante le visite di leaders stranieri come l'ecuadoreño Rafael Correa e il panamense Martín Torrijos. Nello stesso giorno, a coronamento della situazione, un commosso Hugo Chavez, in uno dei suoi periodici reports sullo stato di salute di Castro ha detto: "sappiamo che il Fidel che ha attraversato le strade e i villaggi con la sua immagine di guerriero, con la sua uniforme, abbracciando la gente, non tornerà", finendo con l'affermare: "rimarrà nei nostri ricordi, perchè Fidel vivrà, come vive oggi, e vivrà per sempre, una volta passata la vita fisica. E deve vivere – e lui lo sa – per molti anni". Questo sembrava un epitaffio poetico, il prodotto della proverbiale mancanza di tatto di Chavez. Ma quel che Chavez non ha forse tenuto in debito conto è stata la decisione presa dai leader cubani riguardo all'immortalità della loro icona e quindi ha dovuto tornare sui suoi passi immediatamente, annunciando che Fidel era "vivo e in salute".
La situazione non è mutata di molto sino a quando Cristina Fernández de Kirchner rimetteva le cose a posto. Ha insistito così tanto per avere un incontro con Fidel, che questi, con grande gesto di galanteria, ha infine accettato.
Nonostante i dubbi e le voci sulla durata di tale incontro, questo, almeno "ufficialmente" ci sarebbe effettivamente stato, con tanto di ammirazione reciproca e foto finale dove si vedeva un Fidel magro sì, ma un po' più in carne e con una migliore aplomb ripetto alle precedenti apparizioni di fronte alle telecamere. E, a questo punto, visto che si era incontrato con Cristina Fernández, non poteva mancare la visita di Michelle Bachelet. Qui le cose si sono un po' complicate dal momento che lo "scrittore in capo" ha commesso il passo falso di scrivere di avere informato il presidente del Cile della sua presa di posizione in favore della Boliva nell'eterno contenzioso tra i due paesi; qualcosa – come è stato addotto a mò di scusa – di non troppo importante se detto da qualcuno che non occupa più nessuna posizione nella struttura di Stato di Cuba; peccato che Fidel sia sempre il segretario e il leader indiscusso dell'unico partito politico...
Michelle Bachelet ha appreso la notizia comunicando il proprio dispiacere al vero Presidente di Cuba, sicura che ogni questione si risolverà senza grosse conseguenze, dal momento che i problemi tra Bolivia e Chile verranno risolti dagli stessi paesi, mentre Fidel non verrà invitato a nessun negoziato a riguardo.
Lo spettacolo delle visite presidenziali non si ferma qui. Subito il guatemalteco Alvaro Colom è entrato in scena, portando, come omaggio all'illustre convalescente, la massima riconoscenza da parte del suo paese: l'ordine del quetzal. Il mondo guardava curioso, forse aspettandosi il "comandante" che rifiutava assai poco gentilmente la paccottiglia portata in regalo da Colom. Ma fortunatamente non è successo niente di tutto ciò. Fidel ringraziava, facendosi sostituire da Raúl, mentre questi chiariva che il fratello non poteva accogliere chiunque veniva a L'Havana e che tale privilegio era stato concesso solo alle due presidentesse.
Il problema è stato che proprio in quel momento Chávez decideva di fare una visita a sorpresa al suo padre putativo e, per non essere da meno delle presidentesse, si aspettava un incontro-intervista. Quasi nessuno sa se questa c'è stata, né di cosa abbiano parlato, ma è stato chiaro che l'imbroglio stava per essere scoperto dal pubblico di questa soap opera.
Se ora Fidel era disponibile a incontrare anche i leader dei paesi amici, quale ragione per il vecchio guerriero di rifiutare una piacevole conversazione con i Presidenti della Repubblica Domenicana e dell'Honduras? Sembrava andare tutto alla perfezione con Leonel Fernández, ma con Manuel Zelaya ci sono stai un po' di problemi di coordinamento. Infatti mentre Fidel affermava di non potere incontrarsi col leader dell'Honduras, questi sosteneva di essere stato ricevuto con tutti gli onori. Comunque, tutto è stato sistemato con una velocità degna di miglior causa e anche Zelaya ha avuto l'onore di essere menzionato in una delle successive "riflessioni" di Fidel.
Nel frattempo, la commedia andava avanti: Hugo Chávez, nel suo ruolo di infallibile predicatore ci aveva mostrato Fidel Castro che passeggiava per Jaimanitas, qualificando la passeggiata come "miracolosa", assicurando che la gente "piangeva quando lo vedeva passare", persino omettendo il fatto che le sacre vesti fossero per questa volta rimpiazzate da una tuta adidas.
Ma l'evento più importante non sarebbe stato uno di questi momenti, quanto l'annuncio del rimpasto ministeriale che si è verificato all'inizio di marzo.
La comunicazione ufficiale è stata laconica, anche se venivano fatte fuori figure come Carlos Lage and Felipe Pérez Roque, entrambe ex-stelle di prima grandezza del paradiso fidelista e parte del circolo più intimo del "comandante in capo".
Anche in questo caso la divinità non poteva esimersi dall'apporre il proprio sigillo, trasformando il rimpasto in esecuzione: "le sirene del potere hanno risvegliato in loro l'ambizione che li ha guidati fuori strada". Ecco il motivo.
Qualche riga prima metteva in evidenza di essere stato consultato sui cambiamenti di governo e chiariva che nessuno poteva considerarli come un passaggio di consegne dagli "uomini di Fidel" agli "uomini di Raúl".
L'ultimo periodo di leadership ha causato ovunque parecchio stupore tra gli "amici di Cuba" e così ultimamente sono apparsi chiari segnali di fumo da parte di scrittori di provata fedeltà come Narciso Isa Conde, Pascual Serrano, Carlo Frabetti o Miguel Urbano Rodrigues: forse anche gli amici più fedeli stanno cercando di dire ai leader della politica cubana che il gioco ha i suoi limiti.
Questa soap opera è indecifrabile; tra le altre cose perché il segreto è uno sport di Stato a Cuba e anche perché servizi e contro-servizi segreti non mancano mai di spargere i semi della confusione. Ad ogni modo gli elementi esterni al palazzo degli intrighi sono perfettamente comprensibili. Per cominciare è ovvio che la vocazione al segreto o la sicurezza di Stato non possono fare niente nei confronti di un'economia in rovina, della gente che non ci crede e dell'inefficienza burocratica.
Di fronte a tutto ciò l'eterno modo bellicoso di presentare i problemi e la sempre presente paranoia non son altro se non un ostacolo e non possono essere una chiave di interpretazione o un ragionevole modo di azione per risolvere i problemi immediati e più pressanti del regime politico di Cuba. Proprio qui lo Stato e le sue lotte per il potere si rivelano essere totalmente fallimentari.
Secondo il governo la soluzione dei problemi sarebbe l'incorporazione di Cuba nel sistema interstatale americano, la possibilità di stabilire relazioni con il resto del mondo e la creazione di nuovi stimoli per una rinascita degli investimenti stranieri sull'isola. Tutto questo implica una riformulazione della relazione con gli Stati Uniti. L'evidenza più eclatante di questo è stato il meeting di Costa de Sauípe, in Brasile nel dicembre 2008, dove Cuba è stata ammessa come membro del Gruppo di Río. Questo e nient'altro è all'origine dello stuolo di visite presidenziali nei primi mesi del 2009: nel codice diplomatico che i presidenti di Ecuador, Panama, Argentina, Cile, Guatemala, Venezuela, Repubblica Dominicana e Honduras abbiano visitato tutti Fidel, significa che chi deve discutere della questione con gli Stati Uniti è il Brasile. Il paese di Lula si conferma come potenza globale e leader della regione; un paese capace di assumere la rappresentanza dei suoi "fratelli minori" e di rafforzare il business latinoamericano, rendendo gli Stati Uniti impossibilitati a reclamare qualsiasi priorità a riguardo.
In tal senso tutto sta funzionando bene e Cuba può segnare colpi diplomatici impensabili fino a qualche tempo fa.
Ma il problema ora è che lo Stato cubano e il suo Partito Unico mancano di ogni legittimità che non sia quella che viene dalla Sierra Maestra e dalla sua epica, ovvero dalla biografia del suo "comandante in capo".
C'è chi dice che Raul sia un difensore del "costituzionalismo" come una diga contro il retaggio di idee, di arbitrarietà e di capricci senza limiti che hanno caratterizzato il fratello maggiore; ma il dramma del regime politico cubano è che non è rimasto molto tempo né idee per dare carattere formale e statutario al gigantesco fallimento e non hanno più a portata di mano – come è invece accaduto negli ultimi cinquanta anni – "l'oppio" del condottiero carismatico.
In questo volgere al tramonto, nonostante tutti gli sforzi del Brasile (assecondato da tutti gli altri paesi latinoamericani) la leadership storica si copre di ridicolo e non pensa a nient'altro di meglio che a incrementare la militarizzazione delle élites dominanti e a trasformarsi in un governo mediatico "al di là della morte", la cui legittimità assume un carattere spettrale.
Anche se il fantasma, stando alle recenti dichiarazioni, nuota nella sua piscina privata, studia Darwin, fa lunghe passeggiate e, ogni tanto, palesa la sua fisicità, di sicuro fino a che dura la commedia non ci sarà mai mancanza di presidenti latinoamericani pronti a scambiare vacuità affettuose con Fidel, a farsi fotografare per dare lustro all'album di famiglia e, tra l'altro, a provare a presentarsi alla "propria" gente con un'immagine progressista in grado di contenere gli attacchi degli avversari di sinistra.

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