Umanità Nova, n.16 del 26 aprile 2009, anno 89

Haymarket square: alle origini del primo maggio


Tra una biblioteca e un archivio ci è capitato tra le mani un numero di "Pagine Libertarie", quindicinale milanese pubblicato dal 1921 al 1923, redatto da Carlo Molaschi, probabilmente uno dei compagni più lucidi nel movimento. Affidiamo alla sua penna la ricostruzione storica delle origini del Primo Maggio. Si noterà nella prima parte dello scritto la sensazione di stare cadendo nell'"abisso": non a caso il periodico sarà costretto a chiudere meno di un anno più tardi a causa delle vessazioni fasciste.

Frammenti di storia
Le forche di Chicago

E' bello, oggi che la reazione si abbatte violentemente su di noi, rievocare le più forti pagine della nostra storia. Riandare nel passato quando lo spirito rivoluzionario non si era ancora corrotto nel parlamentarismo, quando la lotta di classe si affermava rigida senza compromessi e senza transazioni, quando gli uomini si votavano alla causa con animo sereno e sicuro. In quei tempi il Primo Maggio non era giornata di festa, ma era giorno di lotta. Oggi questa data ha perso il suo alto significato rivoluzionario ed il suo carattere di minaccia per diventare festa ufficiale... Una festa triste, però, celebrata fra canti sommessi e senza tripudio di bandiere.
Il socialismo si è corrotto attraverso il riformismo. La sua gagliardia di un tempo si è spenta e contro la reazione furibonda che oggi lo investe non sa trovare un impeto di energia decisa, uno slancio di volontà, un attimo di ribellione. Subisce, in attesa che l'uragano passi, nella fallace speranza che il mondo borghese si ricreda delle infamie che commette e che la storia, fatalmente, faccia giustizia di tutto.
Eppure il Primo Maggio è nato da una tragedia. Quattro forche dalle quali pendono i corpi inerti di quattro proletari, si drizzano sulla loro culla e stanno rigide e fosche come atto d'accusa e come richiamo. Intorno a queste forche, vi è tutta una storia di lotte, di patimenti, di dolori, di speranze... Quattro impiccati: quattro martiri nostri caduti serenamente per la buona causa!
L'immenso fragore della bomba di Haymarket, la reazione pazzesca e feroce che ne seguì, la tragedia del processo di Chicago, la condanna inesorabile dei nostri compagni innocenti, non sono fatti che si cancellano. Noi ricordiamo sempre  perché giustizia non venne ancor fatta, perché la storia che passa lascia dietro di sé una scia di rancori e di dolori... Per questo diciamo che fino a quando la classe borghese sarà al potere per noi il Primo Maggio non sarà mai giorno di festa. Lasciamo godere gli altri, coloro che credono di arrivare alla giustizia attraverso la legge, gli incoscienti che s'illudono di poter essere uomini sotto la sferza del padrone che sfrutta e comanda, coloro che sanno adattarsi a tutte le rinunce.
Il Primo Maggio per noi non è giorno di festa; vorremmo fosse giorno di battaglia; vorremmo fosse una data paurosa... Se così non può essere sia almeno un giorno di raccoglimento. E colla mente rievochiamo le pagine della storia passata perché l'eroismo dei nostri precursori sia di sprone e di conforto, ci sollevi dal buio abisso nel quale viviamo ora, e ci porti in alto verso la luce radiosa dell'Idea (...)

 Ai primi di maggio del 1886 le masse lavoratrici di Chicago erano in agitazione. Il Congresso delle Unioni Federate, tenuto nell'ottobre dell'anno precedente, aveva stabilito che la giornata di lavoro di otto ore si sarebbe inaugurata il primo maggio 1886, ed i lavoratori di Chicago volevano mantenere fede al deliberato. Non bisogna dimenticare che la stampa andava montando un ambiente ostile ai lavoratori, presagendo tumulti sanguinosi e irreparabili disastri. Industriali e commercianti non nascondevano la loro avversione all'agitazione operaia, e la polizia, ubbidiente agli ordini ricevuti dall'alto, inferociva con ogni sopruso contro tutte le manifestazioni degli scioperanti. Le giornate dell'1, 2 e 3 maggio passarono tra un susseguirsi di comizi e di cortei, sempre dispersi brutalmente dalla polizia. Nel pomeriggio del 3 le operazioni per la tutela dell'ordine pubblico divennero ancora più violente. Nei pressi delle officine Cormick si erano radunate alcune migliaia di operai polacchi e boemi ai quali parlò Augusto Spies direttore d'un giornale rivoluzionario che si pubblicava in Chicago in lingua tedesca.
Mentre l'oratore parlava irruppe sulla folla degli ascoltatori una squadra di poliziotti capitanata dall'ispettore Giovanni Bonfield, noto per il suo spirito reazionario e per la ferocia colla quale maltrattò sempre i sovversivi. Nacque un conflitto furibondo. I poliziotti randellarono i radunati senza pietà e scaricarono le loro armi ferendo una quantità enorme di operai ed uccidendone quattro. L'eccidio sollevò grande indignazione fra i lavoratori, e il giorno seguente, quando lo stesso Bonfield con gli stessi poliziotti tentarono di ripetere la stessa feroce impresa in un altro comizio che si teneva in località Haymarket, un operaio lanciò contro loro una bomba che, scoppiando con fragore immenso proprio in mezzo al gruppo degli assalitori, seminò una strage spaventosa. Più di sessantotto poliziotti rimasero sul terreno o morti o gravemente feriti.
Occhi per occhio, dente per dente!
La reazione che seguì fu terribile. Centinaia e centinaia di persone furono tradotte in carcere, percosse, maltrattate, seviziate in mille modi. Vennero così le "confessioni" e la polizia annunciò di avere scoperto un vasto e terribile complotto anarchico.
Dopo molti giorni di arresti, di perquisizioni, di prepotenze la polizia che promise la rivelazione sensazionale, incapace di scoprire il lanciatore della bomba e impotente a sostenere la tesi del complotto, decise di rilasciare tutti i prigionieri meno quelli che erano stati strettamente legati all'agitazione operaia per le otto ore, e su questi imbastì il processo. Così Augusto Spies, Michele Schwab, Adolfo Fischer, Luigi Lingg, Samuele Fielden, Giorgio Engel, Oscar Neebe e Alberto Parsons – quest'ultimo latitante, ma presentatosi poco dopo per subire il giudizio perché sicuro della sua innocenza – vennero denunciati e processati come responsabili del lancio della bomba di Haymarket.
Siccome la borghesia nord-americana voleva ad ogni costo che contro gli imputati e i loro difensori si procedesse con severità inaudita, si trovò il modo di montare il processo nel modo più scandaloso. Il processo durò otto settimane e mentre nell'aula della giustizia gli imputati e i loro difensori battagliavano contro il presidente che conduceva il processo in modo troppo ostile agli imputati e contro la giuria che non aveva nascosto che a priori aveva già deciso un verdetto d'implacabile condanna, fuori dall'aula la stampa lavorava conducendo una formidabile campagna anti-anarchica. Fu perfino iniziata una pubblica sottoscrizione che salì a 100 m.la dollari per compensare i giurati che dovevano pronunciare!
Ed il verdetto rispose alle esigenze della borghesia: sette imputati vennero condannati al capestro e uno solo, il Neebe, venne condannato a quindici anni di carcere.

Dal giorno della condanna a quello dell'esecuzione passarono quattordici mesi, durante i quali gli avvocati continuarono la battaglia legale attraverso tutti i ricorsi giuridici sino alla Suprema Corte degli Stati Uniti, mentre una forte corrente di lavoratori coll'ausilio di parecchi intellettuali tentò di creare una forte agitazione in favore dei condannati. Ma tutto fu vano, ed il 10 novembre l'autorità giudiziaria notificò ai condannati che l'esecuzione della sentenza era segnata pel giorno successivo.
Non rimaneva che la domanda di grazia al governatore, ma la domanda, per essere presa in considerazione, doveva recare la firma dei condannati. Spies, Fielden e Schwab firmarono; gli altri si rifiutarono, e si rifiutarono con tale dignità, con tanto coraggio, con tanta serenità che stupirono tutto il mondo.
Così la tragedia precipitò: Lingg si suicidò il mattino del 10 novembre facendosi esplodere in bocca una cartuccia di dinamite che la sua amante gli aveva recato il mattino stesso nel cesto delle vivande, Fielden e Schwab ebbero accolta la loro domanda di grazia e la loro pena venne mutata nel carcere a vita. Parsons, Spies, Fischer e Engel salirono coraggiosamente il patibolo (...).

 Carlo Molaschi

(Riassunto dal libro "I Martiri di Chicago" di A. Molinari), "Pagine Libertarie", Milano, a. II n. 6, I Maggio 1922.

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