Qual è la posta in gioco nell'organizzare un Festival delle
culture antifasciste come quello – plurale, aperto e autogestito – che
si prepara a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno 2009? Oggi ci troviamo
di fronte a una serie molteplice di fenomeni reazionari, in parte
eterogenei, ma sempre più interrelati e capaci di rafforzarsi
l'un l'altro: leggi e decreti autoritari, razzismo di stato, familismo,
perbenismo, populismo, manipolazione revisionista della memoria
sociale, politiche e campagne «securitarie», inviti alla
delazione contro i «clandestini», minacce e attentati
contro i migranti, atti sessisti e omofobi, aggressioni e violenze
neofasciste, rastrellamenti di corpi da «espellere». In
prima approssimazione, tutto ciò può ben essere chiamato
«fascismo» o «fascistizzazione», non solo per i
richiami espliciti al Fascismo storico, ma soprattutto per la
riattivazione di discorsi e dispositivi di potere tipici del Ventennio.
È come se fossimo in una stanza completamente buia e cercassimo
di riconoscere a tentoni un oggetto che abbiamo dinanzi: possiamo solo
dire che è ampio, mobile e pericoloso. Ogni soggetto oppresso ne
percepisce nitidamente qualche dettaglio: occorre mettere insieme i
pezzi e creare reti trasversali di lotta e solidarietà
finché resta aperta la possibilità di una battaglia
pubblica per la libertà e l'uguaglianza sociale. Non si creda
che sia un'esagerazione. Orwell scriveva nel 1937: «Prima di
dichiarare che un mondo totalitario è un incubo che non
potrà mai avverarsi, ricordate che nel 1925 il mondo in cui
viviamo oggi sarebbe sembrato un incubo, che non poteva assolutamente
avverarsi».
Sta di fatto che, accanto all'esigenza di mobilitarsi, abbiamo bisogno
di conoscere le nuove strategie dell'autoritarismo: infatti solo il
confronto e la collaborazione intellettuale tra storici contemporanei,
ricercatori sociali e militanti antifascisti può offrire un
retroterra e un orientamento per decifrare le rapide, insidiose
trasformazioni della nostra società. Non è certo un caso
che negli ultimi mesi si siano programmate due iniziative in parte
simili: non solo il Festival di fine maggio, ma anche il convegno
«Trasformazioni dello Stato e della società: deriva
autoritaria e mobilitazione reazionaria» promosso a Marina di
Massa il 18 e 19 aprile dal Coordinamento nazionale contro il
revisionismo storico, intersecando le competenze di studiosi, di
realtà militanti, dell'ANPI, di lavoratori, di associazioni di
migranti (ed è importante fare in modo che, anche con una
raccolta fondi, la pubblicazione degli atti sia il più possibile
tempestiva). Già questo convegno mette a confronto vecchi e
nuovi fascismi, il passato e l'attualità, lasciando ampio spazio
a un dibattito a tutto campo.
Certo il Festival delle culture antifasciste prevede anche altro:
concerti, spettacoli teatrali, video, mostre, seminari, presentazioni
di libri, momenti in cui vi è ancora una divaricazione tra
produttori e utenti, non solo per rivolgersi a un pubblico il
più possibile ampio ed eterogeneo, ma soprattutto per
sperimentare nuovi linguaggi e possibilità dell'antifascismo,
sottraendolo ai riti consunti della legittimazione democratica per
proiettarlo al centro delle lotte di oggi, come espressione di
libertà inattuale e utopica, come sogno di una società
finalmente liberata e «acefala». Tuttavia, e anzi proprio
per questo, il cuore del Festival resta la pratica autorganizzativa,
orizzontale, autogestita: anzitutto quella dei Tavoli di discussione
come spazi liberi di dibattito intorno ad ambiti e problemi specifici,
a cui tutt* sono invitati a contribuire.
La logistica dei dibattiti prevede così due livelli
indipendenti, due assi che possono incrociarsi, ma che restano
però su piani diversi. Da una parte il Festival va
strutturandosi in una serie di giornate tematiche: il 29 maggio vi
saranno iniziative sulla memoria storica e i revisionismi; il 30 sulle
trasformazioni del neofascismo, sulla rete delle sue complicità
istituzionali, sui modi per contrastarlo e per promuovere un
antiautoritarismo rivoluzionario; il 31 si discuterà di
razzismo, xenofobia e politiche securitarie; l'1 della normalizzazione
delle identità sessuali, dell'omofobia, del familismo, di
sessismo ed eterosessismo; la giornata finale sarà dedicata
invece a un'assemblea plenaria che dovrà raccogliere e
rilanciare le diverse analisi e proposte.
Trasversalmente a questa partizione per giornate, vi sarà il
costituirsi dei Tavoli come luoghi permanenti di dibattito, di analisi,
di coordinamento e di proposta, in modo che il Festival non sia solo un
evento chiuso in se stesso, ma si proietti in avanti sedimentando una
rete di contatti, di prospettive, di discorsi, di tecniche
d'intervento, di mobilitazioni.
Proprio la definizione dei Tavoli – il fatto che ognun* parta dalla
propria esperienza e dai propri desideri per incontrare altr* – diventa
allora la sfida più rilevante e ardua del Festival: quella di
prefigurare e organizzare una comunità di lotta molteplice, in
divenire, senza mitologie, sotto il segno dell'antifascismo come utopia
di liberazione dalle violenze del patriarcato, del capitale e dello
stato. Per sperimentare, già nelle lotte, la creazione libera e
ininterrotta di noi stessi.
G.F.