Oggi, 1° maggio 2009, siamo nelle strade, nelle piazze, tra la gente e con la gente come sempre.
Ci siamo per ricorrenza storica, certo, ma anche e soprattutto per non
lasciare che questa importante scadenza del movimento dei lavoratori
sia patrimonio - sempre più edulcorato nei suoi significati
originari – di forze politiche e sindacali che, sull'altare delle
compatibilità statali e capitaliste, hanno tradito le
aspettative di emancipazione e liberazione di milioni di persone.
"Reduci" dalle celebrazioni revisioniste sempre più in odore di
solidarietà nazionale del 25 aprile, non possiamo non denunciare
a che tipo di quotidianità ci relegano vincitori e vinti (visto
che ora governano) di quel fatidico giorno "tradito" del 1945.
Viviamo in un periodo storico ove l'omologazione delle coscienze, il
ricorso alle azioni di guerra, la repressione del dissenso, qualunque
esso sia – dalla difesa del territorio alla difesa del libero pensiero
– è prassi quotidiana.
Viviamo in questa pseudo-democrazia che ci fa sentire e credere di
essere liberi solo perché mettiamo una croce sulla scheda
elettorale negandoci, l'indomani, il diritto alla partecipazione e alle
decisioni che riguardano la nostra vita individuale e collettiva (come
in Val Susa, Vicenza, Scanzano e ora, tragicamente, l'Aquila...).
Viviamo in città, alcune centro delle lotta partigiane e
operaie, che lasciano sfilare impunemente neo-fascisti con saluto
romano e vessilli nazisti benedetti da sacerdoti, autorizzati da intere
amministrazioni comunali e incarcerano, dopo cacce all'antifascista
strada per strada, chi vi si oppone.
Il potere clericale, con connivenze politiche trasversali agli
schieramenti, scatena il proprio continuo attacco alle libertà
individuali e collettive, all'autodeterminazione e al diritto alla
scelta per donne, omosessuali e lesbiche, benedicendo dentro e fuori le
parrocchie il privilegio maschile fino alla sopraffazione e alla
violenza.
Il lavoro, per quei sempre meno a cui viene data la possibilità
di averlo, è sempre più luogo di subordinazione, di
alienazione e sfruttamento.
Spenti i soliti riflettori mass-mediatici sulla grande tragedia del
fronte di guerra del lavoro – leggasi Thyssen – i morti nel solo primo
quadrimestre del 2009 sono oltre 330, oltre 300.000 gli infortuni e
oltre 8000 le invalidità permanenti.
A chi si oppone, chi rivendica salute e dignità, il padronato –
con complicità sindacali – ripaga sempre con la solita moneta:
minacce, soprusi, licenziamenti.
Fuori dalle fabbriche, dai cantieri, dagli uffici ci attende
un'esistenza in territori sempre più inquinati e devastati,
dominati dalla speculazione che, mentre ci nega il diritto alla casa,
spadroneggia impunemente edificando monumentali opere (Expo 2015,
Città della moda, ecc.) finalizzate unicamente alla ulteriore
rapina di denaro pubblico a vantaggio di pochi.
Le città, grandi o piccole che siano, sono luoghi sempre meno
socializzanti e sempre più artificialmente "impauriti" da una
stampa e TV sempre più asservite ai desiderata del potente di
turno.
Ai margini delle città fioriscono veri e propri lager di stato
chiamati eufemisticamente "Centri di Identificazione ed Espulsione".
Ad oggi, queste barbariche ed incivili strutture, sono atte
all'internamento forzato di chi, scappando da miseria e guerra o per
naturale desiderio di vivere una vita diversa in un luogo diverso da
dove si è nati, è venuto fin qui rischiando il più
delle volte la propria vita. Ma domani chi potrebbero "accogliere"? La
storia del '900 è lì ad indicarci il pericolo.
In questo clima di cappa opprimente le destre conservatrici,
autoritarie e di stampo fascista, nelle loro declinazioni nazionali
(Popolo della Libertà) e territoriali (Lega Nord) governano,
sempre più in modo autoritario, il paese.
Il neo partito centrista denominatosi "Partito Democratico" dimostra
una "opposizione" parolaia e inconcludente, quando non collaborativa, e
la "sinistra" ex parlamentare, dissoltasi dopo la sconfitta dell'anno
scorso, è preda di lotte intestine a fini elettoralistici,
completamente avulsa dalle reali condizioni materiali di quella parte
di popolo di cui si dichiarava rappresentante storico nei vari
parlamenti.
Ora più che mai – soprattutto oggi "1° maggio" giornata
internazionale di lotta – vi è quindi la necessità di
ribadire la nostra più ferma opposizione ai nuovi tentativi
autoritari che si delineano all'orizzonte.
Tocca a noi anarchiche e anarchici, strenui difensori della
libertà, rivolgere il nostro invito a quei milioni di
lavoratrici e lavoratori "delusi" dalle sinistre parlamentari e
autoritarie sconfitte dalla storia e dalle urne elettorali, a tutti gli
antifascisti e agli amanti della libertà affinché, senza
indugi, diano vita ad organizzazioni di base senza gerarchie, senza
funzionari di partito e di apparato, per il rilancio dell'azione
diretta collettiva, la gestione in prima persona della lotta, il
rifiuto della delega come garanzie di un percorso autogestionario che
non si limiti agli "aggiustamenti", alle "compatibilità" interne
all'organizzazione capitalistica del lavoro e della società, ma
ponga all'ordine del giorno la trasformazione radicale dei rapporti
sociali, per un mondo di libere ed uguali!
Oggi è il 1° maggio… se non ora, quando?