La domanda che corre in questo periodo sui media a proposito delle
acquisizioni operate dalla FIAT, riguarda la sorte degli stabilimenti
italiani. Che fine faranno Pomigliano, e persino Mirafiori?
Ottime domande in sé, ma assolutamente non pertinenti con quanto
sta avvenendo in questi giorni. L'ipotesi che l'acquisizione della
Chrysler - o l'eventuale acquisizione della General Motors tedesca -
possa avere come corrispettivo il sacrificio di una parte delle
maestranze italiane, rientra invece nella retorica sacrificale, quella
che si rivolge allo strato più oscuro e barbarico del senso
comune. Quella che sembra all'inizio una domanda sensata, avvia solo un
gioco al massacro a cui l'opinione pubblica viene chiamata a
partecipare.
È giusto sacrificare Mirafiori alla salvezza e alla grandezza
della Patria? Sondaggio! Chi vota sì? Chi vota no? Telefonate al
numero, ecc., ecc.
Perché sacrificare uno stabilimento storico come Mirafiori? Non
è meglio sacrificare uno stabilimento del sud come Pomigliano?
Puntata di "Report": è vero che c'è la camorra a
Pomigliano?
Odio antioperaio e razzismo antimeridionale possono convergere, fingere
di contrapporsi o semplicemente alternarsi in una discussione
all'infinito, apparentemente urgente e fondata, ma, in effetti, del
tutto fuori luogo.
In realtà, non esiste sacrificio che l'Amministratore delegato
Sergio Marchionne possa imporre ai lavoratori FIAT, che sia in grado di
pagare la sua attuale avventura americana. L'unico che può
pagarla è il governo, attingendo alla spesa pubblica, come
è sempre accaduto in tutto ciò che ha riguardato la FIAT.
Nata verso la fine dell'800, la FIAT conobbe già nella culla i
vantaggi dei primi sussidi statali e dei primi appalti pubblici per le
forniture per l'esercito. La vicinanza e l'amicizia con Casa Savoia
degli aristocratici Agnelli, favorivano - chissà perché -
la vittoria nelle gare d'appalto e assicuravano loro l'attenzione
premurosa dei governi.
La costruzione di nuovi stabilimenti costituiva un ottimo pretesto per
lottizzare terreni agricoli attorno a Torino, per trasformali in aree
edificabili; così, già nei primi anni del '900, la FIAT
era diventato il maggiore speculatore immobiliare italiano. Non tutte
le speculazioni riuscivano sempre bene, anzi alcune portavano l'azienda
sull'orlo della rovina, ad un passo da quel baratro da cui la mano
soccorrevole dello Stato era sempre pronta a riprenderla. Un capitolo a
sé, ma non meno interessante, riguarda i regali di cui la Fiat
è stata fatta oggetto, dall'Alfa Romeo al "Corriere della Sera".
La storia della FIAT è quella di un bambino viziato, di un
piccolo lord, a cui lo Stato ha pagato sempre tutto, compresi i
vestitini alla marinara.
Anche adesso che la famiglia Agnelli è stata in parte fatta
fuori ed in parte marginalizzata nella gestione della FIAT, non si
è spenta questa predilezione governativa per l'azienda.
In tutta la vicenda mediatica FIAT di queste settimane il governo
è invece - ma solo in apparenza - il grande assente.
È chiaro che se i soldi pubblici elargiti dal governo italiano
non fossero i garanti e i pagatori di tutte queste acquisizioni
effettive o eventuali della FIAT, non si spiegherebbero gli entusiasmi
di Barack Obama, e a Sergio Marchionne non sarebbe stato concesso
neppure di fiutare il portone della Chrysler o della Opel; anzi non
sarebbe stato preso sul serio neanche per l'acquisto di una fabbrica di
biciclette.
In passato, quando aziende italiane hanno cercato di aprirsi spazi
all'estero, ciò non gli è stato concesso. Negli anni '70
la Montedison riuscì ad acquistare con "soldi veri" un'azienda
chimica statunitense, ma il governo federale bloccò l'operazione
in base ad una norma che impedisce l'acquisto di aziende americane da
parte di potenze straniere ostili; e ciò nonostante l'Italia
fosse, come purtroppo è tutt'oggi, un "alleato" della NATO.
Sorti analoghe hanno avuto i tentativi in terra straniera da parte
dell'Enel, a cui i "soldi veri" non hanno mai fatto difetto. Allora,
cos'ha di particolare Marchionne per essere così bene accetto
negli USA (a parte, forse, il suo tesserino della CIA)?
Il fascino che la FIAT è oggi in grado di esercitare all'estero
non riguarda la sua consistenza o il suo prestigio come azienda, semmai
il contrario. Ciò che i media fanno passare per un'offensiva
trionfale all'estero dell'industria italiana, costituisce
esclusivamente un'operazione coloniale nei confronti dell'Italia, per
la quale oggi la spesa pubblica italiana viene asservita agli interessi
dei colonizzatori. Nei suoi centoventi anni di storia, la FIAT è
sempre stata una sanguisuga della spesa pubblica italiana, ma da ora
non svolge più questo ruolo di sanguisuga per sé,
bensì per conto delle multinazionali statunitensi.
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