Umanità Nova, n.19 del 17 maggio 2009, anno 89

Chi pagherà?


Tutto si può dire di Sergio Marchionne, tranne che si tratti di uomo privo di iniziativa e di fantasia.
Nel terremoto che sta sempre più travolgendo l'industria automobilistica mondiale, in particolare quella statunitense, l'Amministratore delegato del Gruppo Fiat da alcuni mesi lavora in controtendenza e mira alto, molto alto.
Approfittando delle altrui difficoltà, Marchionne sta spregiudicatamente portando il Gruppo Fiat a "fare la spesa" entrando nel capitale di alcune delle più note aziende automobilistiche, con il palese intento di trasformare l'azienda di Torino, da medio partecipante al mercato mondiale dell'auto, a gruppo di rilevanza internazionale, alla pari di marchi quali Ford, GM, Volkswagen o Toyota.
In questi giorni infatti si accinge a tagliare il traguardo che lo porterà ad assicurarsi, pur avendo in mano, almeno inizialmente, il solo 20% del capitale, il controllo della Chrysler, storica casa automobilistica statunitense oramai ridotta in briciole ed affidata al Tribunale Fallimentare, e lo sta facendo senza tirare fuori un solo quattrino, grazie alla benedizione di Obama ed ai 5 o 6 miliardi di Dollari che il Governo USA fornirà quale dote per salvare ciò che resta della Chrysler, e con lei migliaia di posti di lavoro.
Ma il buon Marchionne, come si diceva, mira alto.
Ora, dopo l'americana Chrysler, e sempre approfittando delle altrui disastrate condizioni economiche, è finito nel suo mirino addirittura il ramo Europeo della General Motors, rappresentato dalla tedesca Opel con la sussidiaria Britannica Vauxhall e dalla Svedese Saab, iniziando l'operazione con la Opel, per la quale sarebbe disposto a sborsare fino ad un miliardo di euro.
Da parte sua il governo tedesco, allarmato per il fatto che, non essendo la controllante G.M. in condizione di rifinanziare la Opel, avrebbe dovuto prima dell'estate porre mano al portafoglio per evitare il tracollo della Casa di Rüsselsheim, si sta mostrando disponibile ad assecondare l'opzione Marchionne, mentre, la Fiat già chiede prestiti "ponte" per 5/6 miliardi di Euro ai governi dei Land tedeschi dove sono situati gli stabilimenti Opel, offrendo una contropartita "In cambio – ha dichiarato Marchionne – offro al governo tedesco un'azienda automobilistica che sarà effettivamente senza debiti e mi farò carico delle passività, comprese le pensioni".
Ma, ad oggi, è proprio dai Land Tedeschi e dai sindacati aziendali che vengono le critiche e le diffidenze per l'offerta della Fiat in quanto temono una emorragia di posti di lavoro con la chiusura di alcuni degli stabilimenti più importanti. Da sottolineare inoltre i forti dubbi che solleva un produttore di auto italiano il quale non brilla certamente quanto a risultati (nei primi tre mesi del 2009 l'indebitamento Fiat è salito di 822 Milioni di €, mentre le vendite auto sono calate "solo" del 25%).
Di qui tutti i dubbi che hanno, sin dall'inizio, reso difficile la trattativa Opel, con il Governo tedesco che, pur mostrandosi convinto a fare di necessità virtù, pone però ben 14 condizioni per giungere al via libera definitivo.
Resta a questo punto da chiarire un interrogativo fondamentale.
Ammesso che tutto fili liscio e che il topolino Fiat si inghiotta i due giganti in un solo boccone, chi pagherà i costi della ristrutturazione della nuova macchina da guerra di Marchionne & Co.?
A questa domanda l'uomo della Fiat ha risposto in un'intervista rilasciata all'Economist il 9 maggio, pubblicata con il significativo titolo "The italian solution".
In sostanza, dice Marchionne, l'attuale crisi del mercato automobilistico vedrà risorgere dal caos attuale una sola grande Casa automobilistica negli Usa, una in Germania, una in Francia/Giappone ed una in Cina.
A suo parere "Il mercato dell'auto è sfavillante come Las Vegas, ma dietro le quinte la macchina produttiva è complessa e caotica". Per uscirne occorre quindi ripartire proprio dalla produzione, operando una riorganizzazione totale dell'intera macchina produttiva in modo da affinare al massimo le economie di scala, raggiungendo l'equilibrio ottimale tra numero di auto prodotte e singola piattaforma (il pianale e la parte meccanica) condivisa da più modelli di case facenti parte dello stesso gruppo. Ad esempio, porta l'ipotesi della riorganizzazione combinata tra Fiat ed Opel, che consentirebbe risparmi annui fino ad un miliardo di Euro.
Inoltre – afferma – sussiste globalmente una pesante sovraccapacità produttiva. Si producono oggi circa 90 milioni di auto, ovvero 30 milioni in più rispetto a quelle che – già in condizioni normali – potrebbero essere acquistate.
Per rimediare a ciò, Marchionne intende ridurre di ben il 22 per cento la capacità produttiva del futuro Gruppo Fiat "allargato", senza però giungere alla chiusura di stabilimenti in Europa, ma solo "snellendoli" in maniera soft, ovvero tagliando il personale mediante il blocco del turn-over e l'utilizzo degli ammortizzatori sociali, evitando in tal modo possibili "traumi sociali", il tutto nell'arco di pochi anni (si dice entro il 2012).
Fin qui il piano Marchionne, applaudito entusiasticamente dalla stampa italiana, mentre il Governo italiano, dal canto suo, appare praticamente assente, forse perché occupatissimo con problemi ben più rilevanti quali le disavventure coniugali del Capo e gli scontri con la Lega in vista delle incombenti elezioni.
In tutto questo tripudio di canti, trombe e bandiere tricolori, l'aspetto che però viene meno preso in considerazione dalla stampa è quello occupazionale.
Tra i diretti interessati (i lavoratori) invece, sia in Italia che negli altri Paesi europei, le paure crescono ad ogni stormir di fronda e le voci si susseguono di giorno in giorno: in Italia si parla di rischio chiusura per Pomigliano d'Arco, per Arese, per Termini Imerese o addirittura per Mirafiori, in Germania si teme per quello di Kaiserslautern, timori anche per gli stabilimenti Belgi. Tutte voci prontamente smentite direttamente da Marchionne, cosa che – paradossalmente – contribuisce ad accrescere il panico.
L'unico fatto assodato è che i tagli ci saranno sicuramente, che vengano effettuati in Italia oppure in altri paesi poco importa, e non saranno leggeri dato che si ipotizza la chiusura di una linea di produzione ogni cinque attuali.
Resta quindi da capire se lo "snellimento" ipotizzato da Marchionne avverrà così come promesso, se i Governi interessati saranno in grado nei prossimi anni di stanziare i fondi necessari agli ammortizzatori sociali, se nei fatti quindi le promesse di oggi verranno mantenute domani, oppure se, al contrario, la realtà si rivelerà – negli anni a venire – amara per migliaia di lavoratori dell'auto. Non resta che attendere per verificare.

J. Rebaudengo

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