Tutto si può dire di Sergio Marchionne, tranne che si tratti di uomo privo di iniziativa e di fantasia.
Nel terremoto che sta sempre più travolgendo l'industria
automobilistica mondiale, in particolare quella statunitense,
l'Amministratore delegato del Gruppo Fiat da alcuni mesi lavora in
controtendenza e mira alto, molto alto.
Approfittando delle altrui difficoltà, Marchionne sta
spregiudicatamente portando il Gruppo Fiat a "fare la spesa" entrando
nel capitale di alcune delle più note aziende automobilistiche,
con il palese intento di trasformare l'azienda di Torino, da medio
partecipante al mercato mondiale dell'auto, a gruppo di rilevanza
internazionale, alla pari di marchi quali Ford, GM, Volkswagen o Toyota.
In questi giorni infatti si accinge a tagliare il traguardo che lo
porterà ad assicurarsi, pur avendo in mano, almeno inizialmente,
il solo 20% del capitale, il controllo della Chrysler, storica casa
automobilistica statunitense oramai ridotta in briciole ed affidata al
Tribunale Fallimentare, e lo sta facendo senza tirare fuori un solo
quattrino, grazie alla benedizione di Obama ed ai 5 o 6 miliardi di
Dollari che il Governo USA fornirà quale dote per salvare
ciò che resta della Chrysler, e con lei migliaia di posti di
lavoro.
Ma il buon Marchionne, come si diceva, mira alto.
Ora, dopo l'americana Chrysler, e sempre approfittando delle altrui
disastrate condizioni economiche, è finito nel suo mirino
addirittura il ramo Europeo della General Motors, rappresentato dalla
tedesca Opel con la sussidiaria Britannica Vauxhall e dalla Svedese
Saab, iniziando l'operazione con la Opel, per la quale sarebbe disposto
a sborsare fino ad un miliardo di euro.
Da parte sua il governo tedesco, allarmato per il fatto che, non
essendo la controllante G.M. in condizione di rifinanziare la Opel,
avrebbe dovuto prima dell'estate porre mano al portafoglio per evitare
il tracollo della Casa di Rüsselsheim, si sta mostrando
disponibile ad assecondare l'opzione Marchionne, mentre, la Fiat
già chiede prestiti "ponte" per 5/6 miliardi di Euro ai governi
dei Land tedeschi dove sono situati gli stabilimenti Opel, offrendo una
contropartita "In cambio – ha dichiarato Marchionne – offro al governo
tedesco un'azienda automobilistica che sarà effettivamente senza
debiti e mi farò carico delle passività, comprese le
pensioni".
Ma, ad oggi, è proprio dai Land Tedeschi e dai sindacati
aziendali che vengono le critiche e le diffidenze per l'offerta della
Fiat in quanto temono una emorragia di posti di lavoro con la chiusura
di alcuni degli stabilimenti più importanti. Da sottolineare
inoltre i forti dubbi che solleva un produttore di auto italiano il
quale non brilla certamente quanto a risultati (nei primi tre mesi del
2009 l'indebitamento Fiat è salito di 822 Milioni di €, mentre
le vendite auto sono calate "solo" del 25%).
Di qui tutti i dubbi che hanno, sin dall'inizio, reso difficile la
trattativa Opel, con il Governo tedesco che, pur mostrandosi convinto a
fare di necessità virtù, pone però ben 14
condizioni per giungere al via libera definitivo.
Resta a questo punto da chiarire un interrogativo fondamentale.
Ammesso che tutto fili liscio e che il topolino Fiat si inghiotta i due
giganti in un solo boccone, chi pagherà i costi della
ristrutturazione della nuova macchina da guerra di Marchionne & Co.?
A questa domanda l'uomo della Fiat ha risposto in un'intervista
rilasciata all'Economist il 9 maggio, pubblicata con il significativo
titolo "The italian solution".
In sostanza, dice Marchionne, l'attuale crisi del mercato
automobilistico vedrà risorgere dal caos attuale una sola grande
Casa automobilistica negli Usa, una in Germania, una in
Francia/Giappone ed una in Cina.
A suo parere "Il mercato dell'auto è sfavillante come Las Vegas,
ma dietro le quinte la macchina produttiva è complessa e
caotica". Per uscirne occorre quindi ripartire proprio dalla
produzione, operando una riorganizzazione totale dell'intera macchina
produttiva in modo da affinare al massimo le economie di scala,
raggiungendo l'equilibrio ottimale tra numero di auto prodotte e
singola piattaforma (il pianale e la parte meccanica) condivisa da
più modelli di case facenti parte dello stesso gruppo. Ad
esempio, porta l'ipotesi della riorganizzazione combinata tra Fiat ed
Opel, che consentirebbe risparmi annui fino ad un miliardo di Euro.
Inoltre – afferma – sussiste globalmente una pesante
sovraccapacità produttiva. Si producono oggi circa 90 milioni di
auto, ovvero 30 milioni in più rispetto a quelle che –
già in condizioni normali – potrebbero essere acquistate.
Per rimediare a ciò, Marchionne intende ridurre di ben il 22 per
cento la capacità produttiva del futuro Gruppo Fiat "allargato",
senza però giungere alla chiusura di stabilimenti in Europa, ma
solo "snellendoli" in maniera soft, ovvero tagliando il personale
mediante il blocco del turn-over e l'utilizzo degli ammortizzatori
sociali, evitando in tal modo possibili "traumi sociali", il tutto
nell'arco di pochi anni (si dice entro il 2012).
Fin qui il piano Marchionne, applaudito entusiasticamente dalla stampa
italiana, mentre il Governo italiano, dal canto suo, appare
praticamente assente, forse perché occupatissimo con problemi
ben più rilevanti quali le disavventure coniugali del Capo e gli
scontri con la Lega in vista delle incombenti elezioni.
In tutto questo tripudio di canti, trombe e bandiere tricolori,
l'aspetto che però viene meno preso in considerazione dalla
stampa è quello occupazionale.
Tra i diretti interessati (i lavoratori) invece, sia in Italia che
negli altri Paesi europei, le paure crescono ad ogni stormir di fronda
e le voci si susseguono di giorno in giorno: in Italia si parla di
rischio chiusura per Pomigliano d'Arco, per Arese, per Termini Imerese
o addirittura per Mirafiori, in Germania si teme per quello di
Kaiserslautern, timori anche per gli stabilimenti Belgi. Tutte voci
prontamente smentite direttamente da Marchionne, cosa che –
paradossalmente – contribuisce ad accrescere il panico.
L'unico fatto assodato è che i tagli ci saranno sicuramente, che
vengano effettuati in Italia oppure in altri paesi poco importa, e non
saranno leggeri dato che si ipotizza la chiusura di una linea di
produzione ogni cinque attuali.
Resta quindi da capire se lo "snellimento" ipotizzato da Marchionne
avverrà così come promesso, se i Governi interessati
saranno in grado nei prossimi anni di stanziare i fondi necessari agli
ammortizzatori sociali, se nei fatti quindi le promesse di oggi
verranno mantenute domani, oppure se, al contrario, la realtà si
rivelerà – negli anni a venire – amara per migliaia di
lavoratori dell'auto. Non resta che attendere per verificare.
J. Rebaudengo