Umanità Nova, n.19 del 17 maggio 2009, anno 89

Ottimismo in crisi


Un clima di moderata euforia si sta diffondendo tra gli operatori finanziari. Una frase, di cui troppo spesso si era abusato in passato "ormai il peggio è già passato", è tornata a risuonare nelle dichiarazioni di banchieri, economisti e governanti. Categorie che hanno recentemente mostrato un notevole ardimento nello sfidare il ridicolo. Però è indubbio, vi sono diversi segnali incoraggianti: la mini-ripresa del settore immobiliare Usa, con un aumento delle compravendite; l'indice di fiducia delle imprese tedesche, cresciuto rispetto ai mesi precedenti; un moderato aumento dei consumi italiani; il piccolo rally delle borse mondiali che sta portando gli indici azionari sui valori di inizio 2009; il ridursi del differenziale tra i titoli di Stato tedeschi e italiani che segnala una maggiore propensione al rischio da parte degli investitori; la riduzione dei tassi interbancari giunti ormai a livelli di minimo storico. Come si vede, stanno emergendo numerosi indizi che segnalano una ritrovata fiducia in una prossima ripresa economica. Ovviamente, le crisi, come i periodi di boom, non durano in eterno, per cui certamente anche il crollo che stiamo vivendo finirà. Il punto è: davvero il periodo peggiore è alle nostre spalle? Possiamo veramente guardare al futuro con minor apprensione rispetto ai mesi scorsi?
Non ho alcuna vocazione per la figura del menagramo, tuttavia temo sia ancora troppo presto per festeggiare la fine di una delle peggiori debaclé economiche del mondo occidentale. Anche se sarei ben felice di sbagliarmi.
Prima ho citato diversi indicatori che farebbero propendere per una lettura ottimistica dell'evoluzione della situazione. Ve ne sono però altri che contraddicono tale interpretazione. Le previsioni sulla congiuntura economica stilate dagli organismi internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Ocse, Unione Europea) sono state tutte riviste drasticamente verso il basso rispetto a quelle prodotte solo un paio di mesi fa. La stima elaborata ad aprile, da parte del Fondo Monetario Internazionale, delle perdite conseguenti alle insolvenze subprime è pari a circa 4 mila miliardi di dollari, quasi il doppio di quanto si ipotizzava a gennaio! I credit default swap (ossia, il costo per assicurarsi contro il fallimento) sugli istituti di credito americani ed europei continuano a viaggiare intorno ai loro valori massimi. Aumentano le ore di cassa integrazione e le chiusure di aziende.
Insomma, come districarsi in questo insieme ambiguo di segnali?
Uno dei primi aspetti da considerare è che niente è cambiato nella situazione che ha dato origine al disastro: la famiglie Usa continuano a non avere il denaro per ripagare i debiti contratti e le banche occidentali continuano ad avere in portafoglio i cosiddetti titoli tossici legati ai mutui subprime. Non traggano in inganno i bilanci del primo trimestre degli istituti di credito statunitensi che mostrano risultati migliori delle aspettative. Tutti gli analisti sono concordi nell'affermare che questi conti trimestrali, a causa del cambiamento dei criteri contabili usati per il calcolo del valore dei titoli posseduti dalle banche, sono delle finzioni non rappresentative della realtà.
Ma è proprio sul terreno del mondo reale che questa crisi appare ancora ben lontana dall'aver raggiunto il punto peggiore. Come ben sa chi lavora, in media le imprese italiane stanno sperimentando una riduzione dei fatturati intorno al 30%. L'indice Istat della produzione industriale nel primo bimestre del 2009 è sceso del 19,2% rispetto ai primi due mesi del 2008. Come viene gestita questa drammatica situazione dalle imprese? In primo luogo attraverso l'obbligo per i dipendenti di utilizzare tutte le ferie arretrate e poi, dove possibile, ricorrendo alla cassa integrazione. Il punto è che questi escamotage hanno una durata limitata. Dopo l'estate, quando i lavoratori avranno esaurito anche le ferie dell'anno in corso, se non saranno arrivati nuovi ordini di produzione cosa accadrà? Il rischio di un'ondata di licenziamenti e di una impennata delle ore di cassa integrazione guadagni è concreto. Questo rischio è associato, naturalmente, a quello del fallimento delle imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni. Cosa potrà succedere quando sul tessuto sociale si riverseranno migliaia di persone prive di un reddito e centinaia di aziende che chiudono i battenti? Non solo i consumi delle famiglie ne risentiranno negativamente, contribuendo così ad un ulteriore rallentamento dell'economia, ma anche le banche avranno i loro problemi, dato che le aziende fallite non saranno certo in grado di restituire il denaro ricevuto in prestito. Il quadro non appare molto esaltante.
È in atto una disperata corsa contro il tempo, poiché mancano solo pochi mesi all'appuntamento con la ripresa autunnale delle attività. La speranza è che gli stimoli messi in campo dai governi e dalle banche centrali riescano a manifestare almeno una parte dei loro effetti prima dell'estate. In questo contesto, una buona dose di ottimismo "pilotato" fa parte delle misure anticrisi, con il vantaggio di costare relativamente poco. Basterà?

Toni Iero

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti