Da pochi mesi il regista statunitense Robert Greenwald ha dato avvio
a un documentario in tempo reale che si sviluppa quotidianamente
attraverso un web-site (Rethinkafghanistan.com); il titolo della prima
parte appare emblematica: Più truppe più Afghanistan =
Catastrofe.
Tra il 2 e il 3 maggio scorso, in Afghanistan, infatti è stata
compiuta forse la più grave strage di civili dall'inizio della
guerra nel 2001 ed almeno la settima della presidenza Obama: centinaia
di vittime sotto le bombe Usa-Nato. Le fonti non possono essere
sospettate di simpatie filo talebane: il governatore della provincia di
Farah, Rohul Amin, nonché la Croce Rossa Internazionale il cui
personale ha riferito di molte case distrutte e decine di cadaveri, tra
cui quelli di donne e bambini che invano avevano cercato riparo alle
incursioni. Tra le vittime anche un volontario del primo soccorso della
Red Crescent in Afghanistan, perito assieme a tredici suoi familiari.
Pateticamente, per l'ennesima volta, il presidente Hamid Karzai, in
vista a Washington per incontrare per la prima volta il presidente
Obama, ha definito la perdita di civili ingiustificabile e
inaccettabile, smentendo il capo della polizia provinciale, Watandar,
che aveva puntualmente parlato di civili usati come scudi umani dai
talebani, secondo il collaudato copione che da Mogadiscio a Falluja, da
Belgrado a Gaza, viene da decenni utilizzato per giustificare i crimini
perpetrati dai militari, siano questi italiani, statunitensi,
britannici o israeliani.
Nelle settimane precedenti, quotidianamente, erano giunti i soliti
bollettini di guerra che vantavano l'uccisione da parte delle forze
Isaf-Nato di decine di presunti guerriglieri talebani in combattimento
e, a dimostrazione della tattiche impiegate, vale la pena ricordare che
nel luglio e nell'ottobre dello scorso anno erano rimasti uccisi da
"fuoco amico" una ventina di soldati regolari afgani nel corso di
attacchi aerei della Coalizione. Nei giorni successivi il governo Usa,
per bocca di Hilary Clinton, esprimeva il suo rammarico per la strage,
senza alcuna ammissione di colpa e il 6 maggio Obama annunciava un
ulteriore incremento di truppe.
Il 3 maggio nelle stesse ore dei bombardamenti, a Herat anche i
militari italiani facevano una vittima innocente, una bambina di 12
anni, colpita in auto assieme ai genitori e a uno zio, rimasti feriti,
mentre si stavano recando ad una festa nunziale; il suo nome era
Behnooshahr.
La seconda versione ufficiale (inizialmente si era parlato di un posto
di blocco), resa nota dal comandante del contingente italiano, gen.
Rosario Castellano, riferisce di una pattuglia di militari italiani
composta da tre veicoli blindati Lince che avrebbe incrociato un'auto
civile procedente a forte velocità. Quindi, sempre secondo
tale ricostruzione di parte, dopo le previste procedure di ingaggio,
sarebbe stata colpita nel timore si trattasse di un'auto-bomba. Come di
consueto, la versione dei militari ha subito mostrato rilevanti
contraddizioni: a fronte dell'ammissione che erano stati esplosi
soltanto tre colpi (uno in aria, uno sull'asfalto e uno sul cofano
della Toyota Corolla) ci sono un morto e tre feriti, colpiti da
proiettili di mitragliatrice MG. Inoltre, se i soldati hanno sostenuto
di aver sparato frontalmente alla vettura, le foto diffuse dalle
agenzie mostrano inequivocabilmente il lunotto posteriore polverizzato
ed un foro sul montante del portellone posteriore come se il colpo
fosse stato esploso quando la macchina aveva già superato il
blindato. Il parabrezza anteriore dell'auto, per quanto è
possibile vedere dalle immagini, risulta invece integro.
I soldati della pattuglia italiana farebbero parte dell'Omlt (Operation
mentoring liason team) operante nella zona di Herat con compiti
addestrativi delle forze governative. Non è ancora dato di
sapere con sicurezza se tale unità era composta da carabinieri
(eventualità assai probabile), mentre il mitragliere sarebbe un
parà della Folgore; comunque il pubblico ministero Pietro
Saviotti ha chiesto ai carabinieri del Ros un'informativa per
ricostruire la dinamica dei fatti.
Dopo la tragica morte della bambina afgana, se il ministro della guerra
La Russa non ha perso una frazione di secondo per accreditare la tesi
del drammatico errore ed assolvere anticipatamente i suoi "ragazzi",
l'esponente Pd Fassino si è subito premurato a chiedere l'invio
di ulteriori truppe italiane in Afghanistan, secondo le direttive
belliciste del nuovo inquilino della Casa Bianca, nonostante che il
maggiore esperto dell'area Ahmed Rashid avesse già denunciato
(sul Corriere della Sera del 19.10.2008) le "gravi
responsabilità" del contingente italiano nell'escalation di
violenza a Herat.
Riguardo l'Afghanistan (come più volte richiamato su queste
pagine), il presidente Obama è stato terribilmente esplicito sin
dalla sua campagna elettorale nelle intenzioni belliciste. Intenzioni
peraltro confermate in questi mesi dall'aumento delle truppe Usa
impegnate e la conferma del guerrafondaio Robert Gates come segretario
della Difesa, al fine di "sconfiggere le minacce del 21° secolo".
Peraltro, nel gennaio scorso, era stato lo stesso vicepresidente Joe
Biden ad anticipare che in primavera ci sarebbero stati molti
più morti. Nonostante questo, per non parlare
dell'impunità assicurata da Obama ai torturatori e ai
sequestratori della Cia, permane il sinistro equivoco per il quale
Obama è considerato un presidente "pacifista" e torna a fare la
sua raggelante comparsa l'idea che alcune guerre possono essere
moralmente accettabili anche da chi fa mostra di principi pacifisti e
umanitari.
Si tratta di una contraddizione ormai storica, eppure assume una
particolare attualità di fronte al cosiddetto smarrimento della
sinistra politica.
Basterebbe ricordare come i partiti della fu sinistra si sono
rapportati alla guerra in questi decenni, sostenendo acriticamente la
politica estera dei governi Craxi, D'Alema, Prodi, Blair, Zapatero od
Obama, anche quando le conseguenze erano tragicamente analoghe a quelle
determinate dagli esecutivi di destra. Eppure una bomba a
frammentazione è sempre uguale a se stessa, così come i
suoi strazianti effetti.
Si parla tanto di moralità della politica con riferimento a
tangenti o infedeltà coniugali, ma puntualmente si elude un
giudizio morale sulle politiche di guerra col loro corollario di
vittime, ovviamente accidentali.
Eppure, anche adesso che si discute tanto di rimedi contro gli effetti
della crisi, anche la sinistra più moderata dovrebbe sostenere a
rigor di logica, sia quando è all'opposizione che quando
è al governo, l'utilizzo per fini sociali delle spaventose spese
militari.
Invece, anche su questa questione, si sommano una responsabilità
trasversale in alto e una diffusa sudditanza tra il popolo votante e
magari pure pacifista… con buona pace per i profitti dell'industria
bellica e dei nemici dell'umanità.
U. F