Quando si è in giro per l'Europa - per far visita a un amico
o per cercare un lavoro - e ci si intrattiene a chiacchierare con
qualche locale, capita spesso di sentirsi rimproverare le misfatte dei
vari governi italiani o meglio della classe politica italiana,
simboleggiata da quel Cavaliere con cui tanto si sollazzano giornali e
televisioni di mezzo mondo. E, nonostante le ovvie considerazioni
sulla sostanziale equivalenza, nei loro abusi, tra i vari poteri e
governi da una parte e l'appello a una necessaria solidarietà
tra governati dall'altra, può capitare di avere la sensazione
netta che l'Italia sia "un paese peggiore degli altri", in qualche
misura "piu' arretrato". A me invece viene il dubbio di vivere in un
paese "all'avanguardia", ovvero un posto dove l'arroganza e le brutture
del potere sono più profonde, plateali e si verificano prima che
altrove.
Ora, questa visione, per quanto semplicistica, sembra trovare una
qualche conferma nelle politiche ferocemente razziste che l'Italia,
"avanguardia" dell'Europa, non solo mette in atto, ma rivendica
orgogliosamente, per bocca dei suoi ministri sempre più
fascisti.
E allora non sarà un caso che, su questo fronte, i governi del
nostro paese abbiano trovato negli ultimi anni una sempre maggiore
consonanza con il regime di Gheddafi. Da Amato a Maroni i ministri
degli interni hanno le mani insanguinate, ma continuano a
riempirsi la bocca dei "buoni frutti" dell'accordo Italia-Libia,
considerando un "risultato storico" il fatto che i nostri militari
respingano le imbarcazioni cariche di immigrati. I ministri italiani
sono dei criminali, così come lo sono quelli maltesi, tunisini o
libici. Nelle acque internazionali non è obbligo previsto dalla
legge né l'identificazione, né la tutela dei minori,
né l'asilo politico. Si può agire "liberamente": un altro
passo verso la barbarie. Nonostante il clamore mediatico delle ultime
settimane, è dal 2005 che vengono fermate imbarcazioni, anche
dai militari italiani, e date in consegna alle autorità di
Tripoli.
Qui le violenze, le torture, gli stupri della polizia nei confronti dei
migranti sono ampiamente testimoniate, almeno dal 2004 (cfr.
Fortresseurope.blogspot.com); in Libia ci sono circa trenta campi di
detenzione, le deportazioni collettive sono quotidiane - e questo
implica spesso che decine e decine di persone vengono abbandonate in
mezzo al deserto - il diritto d'asilo non è riconosciuto, gli
immigranti non sono accolti negli ospedali: insomma, le
probabilità di sopravvivere per loro sono molto poche: è
per questo che, dopo essere passati dalla Libia, i migranti
africani (provenienti principalmente da Marocco, Egitto, Eritrea,
Tunisia) sono disposti a giocarsi la vita pur di tentare l'approdo
sulle coste italiane.
I respingimenti collettivi sarebbero stati vietati dalla Corte europea
dei diritti umani nel 2005, ma l'ipocrisia dell'Unione Europea è
senza pari: ufficialmente continua a ignorare il problema, ma nella
realtà finanzia le politiche antimigratorie di Gheddafi,
attraverso Berlusconi, primo a firmare, nel 2003, un accordo
segreto con Tripoli per il contrasto dell'immigrazione clandestina,
all' interno di un "patto" per lo sviluppo della produzione ed
esportazione degli idrocarburi e che doveva assicurare in cambio la
riabilitazione internazionale della Libia. Questo accordo ha anche
fatto sì che diversi campi di detenzione fossero finanziati
direttamente dal governo italiano, il quale tra l'altro ha pagato
più volte, e con tutta probabilità continua a pagare, per
il rimpatrio via aerea di migliaia di clandestini dalla Libia ai loro
paesi d'origine.
Lo stato di barbarie in cui ci costringono i governanti è
palese: varie testimonianze indicano come sia sempre più
difficile e pericoloso per i pescatori prestare soccorso ai migranti
alla deriva: le pene per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione
clandestina arrivano fino a quindici anni di carcere.
Frontex, l'agenzia europea che si occupa della "sicurezza" delle
frontiere, ha ormai definito la sua strategia criminale, di cui Italia
e Libia sono tra i principali esecutori: l'imperativo non è il
soccorso dei naufraghi ma il loro respingimento: con quali conseguenze
quando il mare è in burrasca o agitato?
Così se non affogano prima, una volta raggiunta la Libia, i
migranti sono costretti ad affrontare una sorte crudele, in una delle
tante Guantanamo libiche o abbandonati in mezzo al deserto. Morte e
violenza: questi, e non altro, sono i "risultati storici" di una notte
della ragione in cui il governo italiano non intende essere secondo a
nessuno.
A. Soto