Umanità Nova, n.19 del 17 maggio 2009, anno 89

All’avanguardia della barbarie


Quando si è in giro per l'Europa - per far visita a un amico o per cercare un lavoro -  e ci si intrattiene a chiacchierare con qualche locale, capita spesso di sentirsi rimproverare le misfatte dei vari governi italiani o meglio della classe politica italiana, simboleggiata da quel Cavaliere con cui tanto si sollazzano giornali e televisioni di mezzo mondo. E, nonostante  le ovvie considerazioni sulla sostanziale equivalenza, nei loro abusi, tra i vari poteri e governi da una parte e l'appello a una necessaria solidarietà tra governati dall'altra, può capitare di avere la sensazione netta che l'Italia sia "un paese peggiore degli altri", in qualche misura "piu' arretrato". A me invece viene il dubbio di vivere in un paese "all'avanguardia", ovvero un posto dove l'arroganza e le brutture del potere sono più profonde, plateali e si verificano prima che altrove.
Ora, questa visione, per quanto semplicistica, sembra trovare una qualche conferma nelle politiche ferocemente razziste che l'Italia, "avanguardia" dell'Europa, non solo mette in atto, ma rivendica orgogliosamente, per bocca dei suoi ministri sempre più fascisti.
E allora non sarà un caso che, su questo fronte, i governi del nostro paese abbiano trovato negli ultimi anni una sempre maggiore consonanza con il regime di Gheddafi. Da Amato a Maroni i ministri degli interni  hanno le mani insanguinate, ma continuano a riempirsi la bocca dei "buoni frutti" dell'accordo Italia-Libia, considerando un "risultato storico" il fatto che i nostri militari respingano le imbarcazioni cariche di immigrati. I ministri italiani sono dei criminali, così come lo sono quelli maltesi, tunisini o libici. Nelle acque internazionali non è obbligo previsto dalla legge né l'identificazione, né la tutela dei minori, né l'asilo politico. Si può agire "liberamente": un altro passo verso la barbarie. Nonostante il clamore mediatico delle ultime settimane, è dal 2005 che vengono fermate imbarcazioni, anche dai militari italiani, e date in consegna alle autorità di Tripoli.
Qui le violenze, le torture, gli stupri della polizia nei confronti dei migranti sono ampiamente testimoniate, almeno dal 2004 (cfr. Fortresseurope.blogspot.com); in Libia ci sono circa trenta campi di detenzione, le deportazioni collettive sono quotidiane - e questo implica spesso che decine e decine di persone vengono abbandonate in mezzo al deserto - il diritto d'asilo non è riconosciuto, gli immigranti non sono accolti negli ospedali: insomma, le probabilità di sopravvivere per loro sono molto poche: è per questo  che, dopo essere passati dalla Libia, i migranti africani (provenienti principalmente da Marocco, Egitto, Eritrea, Tunisia) sono disposti a giocarsi la vita pur di tentare l'approdo sulle coste italiane.
I respingimenti collettivi sarebbero stati vietati dalla Corte europea dei diritti umani nel 2005, ma l'ipocrisia dell'Unione Europea è senza pari: ufficialmente continua a ignorare il problema, ma nella realtà finanzia le politiche antimigratorie di Gheddafi, attraverso Berlusconi, primo a firmare, nel 2003, un  accordo segreto con Tripoli per il contrasto dell'immigrazione clandestina, all' interno di un "patto" per lo sviluppo della produzione ed esportazione degli idrocarburi e che doveva assicurare in cambio la riabilitazione internazionale della Libia. Questo accordo ha anche fatto sì che diversi campi di detenzione fossero finanziati direttamente dal governo italiano, il quale tra l'altro ha pagato più volte, e con tutta probabilità continua a pagare, per il rimpatrio via aerea di migliaia di clandestini dalla Libia ai loro paesi d'origine.
Lo stato di barbarie in cui ci costringono i governanti è palese: varie testimonianze indicano come sia sempre più difficile e pericoloso per i pescatori prestare soccorso ai migranti alla deriva: le pene per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina arrivano fino a quindici anni di carcere.
Frontex, l'agenzia europea che si occupa della "sicurezza" delle frontiere, ha ormai definito la sua strategia criminale, di cui Italia e Libia sono tra i principali esecutori: l'imperativo non è il soccorso dei naufraghi ma il loro respingimento: con quali conseguenze quando il mare è in burrasca o agitato?
Così se non affogano prima, una volta raggiunta la Libia, i migranti sono costretti ad affrontare una sorte crudele, in una delle tante Guantanamo libiche o abbandonati in mezzo al deserto. Morte e violenza: questi, e non altro, sono i "risultati storici" di una notte della ragione in cui il governo italiano non intende essere secondo a nessuno.

A. Soto

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