Ha suscitato rabbia
disorientamento e polemiche l'episodio di violenza sessista al termine
della Mayday del Primo Maggio a Milano (vedi "Testosterone partout,
justice nulle part": http://www.precaria.org)
Anche senza entrare nel merito del
fatto e delle sue strumentalizzazioni giornalistiche, ci pare che sia
emersa un'impreparazione diffusa riguardo all'esercizio
dell'antisessismo negli ambiti delle lotte sociali. Per contribuire al
dibattito, proponiamo la traduzione di un manifestino tedesco diffuso a
Kreuzberg negli anni Novanta: sebbene parli di antifascismo, il
discorso potrebbe valere infatti anche per altre forme di antagonismo.
Poiché il testo stesso invita alla riscrittura, lo abbiamo
abbreviato e rivisto qua e là. Crediamo che una riflessione su
questi temi sia importante, non solo a partire da singoli episodi, ma
mettendo in questione ogni giorno il sistema storico-culturale che li
produce.
Manifesto dell'antisessismo nei luoghi misti antifascisti
Questa bozza è aperta e imperfetta. Ognuno può
riscriverla e migliorarla a suo modo. Perché su questo problema
non abbiamo parole definitive.
Essere antifascisti vuol dire contrastare organizzazioni e ideologie
autoritarie ben differenti e individuate: qualcosa di esterno, di
estraneo, di ostile, con pratiche squadriste di aggressione violenta e
una cultura della gerarchia, della norma e dell'intolleranza.
Nel caso dell'antisessismo in luoghi misti, invece, l'azione di
contrasto non può che rivolgersi sia all'esterno che
all'interno. Ognuno di noi cresce e si forma in una società che
ha modellato per secoli l'identità sessuale in senso autoritario
attraverso pratiche molteplici di subordinazione della donna all'uomo.
È uno degli strati più arcaici dello sfruttamento e della
disparità tra esseri umani e proprio per questo mette in gioco
radicalmente la persona, i suoi comportamenti, la sua
quotidianità, il suo linguaggio. Ognuno di noi cresce e si forma
in una società che diffonde a piene mani discriminazione di
genere, nelle parole, nelle immagini, nei gesti, nelle allusioni, a
scuola, sul lavoro. Nessuno se ne libera se non attraverso un percorso
critico e una continua esperienza di sé.
Proprio per questo la soggettività antifascista, abituata a
contrastare la violenza sociale come elemento esterno e separato da
sé, deve guardarsi dal non mettersi in discussione e
problematizzare costantemente le proprie pratiche di ogni giorno. Anche
sul versante della vita quotidiana e dei rapporti fra i generi.
Non tocca a noi dare una definizione astratta del sessismo. Ci compete
invece coltivare una consapevolezza di fondo: ogni uomo eterosessuale
è potenzialmente uno stupratore. Per secoli la sessualità
europea è stata disciplinata mettendo al centro l'uomo, i suoi
bisogni, le sue pretese, il suo senso autoritario di possesso. Non ci
si libera da processi secolari – che hanno modellato profondamente
persino il linguaggio – in cinque minuti dichiarandosi sbrigativamente
«antisessisti».
Nei luoghi misti il discorso antisessista – se vissuto superficialmente
– non solo non scalfisce il problema, ma lo nasconde attraverso
l'autoassoluzione maschile e il meccanismo psicologico
dell'esorcizzazione: il maschio che condanna il «sessista»
rischia di proiettare al di fuori e rimuovere qualcosa che forse lo
riguarda da vicino. In tal modo si resta disarmati e acritici di fronte
a se stessi. Occorre allora ragionare collettivamente e scomporre la
fenomenologia culturale del sessismo cercando di attivare pratiche di
contrasto diversificate:
1. Stereotipi sessisti. L'uso di stereotipi sessisti può essere
il residuo più o meno consapevole di un'educazione o il riflesso
dell'immaginario sociale sessista. Lasciar correre significa avvallare
espressioni discriminatorie. Isolare, escludere o denigrare alle spalle
la persona che ne fa uso vuol dire impedirle di prendere piena
coscienza del suo chiuso orizzonte mentale. Tra la complicità e
il pettegolezzo occorre invece perseguire la strada della critica
ragionata. Oggi le aree antagoniste danno spesso per scontato le
proprie idee e non c'è più abitudine ad argomentare le
proprie ragioni e a tradurle in un discorso che non sia rituale. Ogni
discorso autentico include dei rischi. Si espone alla critica altrui. A
questo livello, la parola è l'unico strumento che abbiamo.
2. Pregiudizi sessisti. Vi sono stereotipi che derivano da pregiudizi
sessisti. Proprio la capacità di criticare in modo argomentato
gli stereotipi è un modo per far emergere i pregiudizi sessisti.
È un avvio per fare inchiesta e autoinchiesta sul pregiudizio,
sull'ovvietà, sul non detto: ciò che V. Woolf chiama
«the hypnotic power of dominance» [«il potere
ipnotico del dominio»].
3. Violenza sessista a qualsiasi livello. Come in ogni ambito di lotta,
si tratta di non sostituire un soggetto astratto ai corpi e ai generi
che subiscono violenza. I luoghi misti non possono che essere aperti e
ricettivi rispetto alle istanze che vengono da persone violate o da
gruppi specifici. E ricettivi vuol dire avere la prontezza di agire in
modo adeguato ed esercitare l'intelligenza collettiva ad essere
sensibili al problema nelle sue più diverse forme.
Questo testo vuol essere un atto di solidarietà, magari
incompleto e impreciso, verso tutt* coloro che hanno subito e subiscono
violenza sessista.