Umanità Nova, n.19 del 17 maggio 2009, anno 89

informAzione - 2


Torino. Via Pisa diventa via Serantini

Il 7 maggio la FAI torinese ha organizzato un punto info contro la repressione nel centro di Torino, in via Po. Banchetti, distro, musica e lo striscione "Lo Stato uccide". Il giorno non è stato scelto a caso. Il 7 maggio 1972 moriva nel carcere di Pisa Franco Serantini. Aveva vent'anni ed era anarchico. Due giorni prima, una manifestazione antifascista contro il comizio del deputato fascista Beppe Niccolai viene più volte caricata con violenza. Franco viene pestato a sangue dagli uomini della "celere" di Roma, arrestato e portato in carcere. Il giorno dopo stava malissimo ma il dottor Mammoli gli da appena un'occhiata prima dell'interrogatorio del magistrato. Agonizzerà per tre giorni in cella. Franco è una delle tante vittime di quegli anni, quando la violenza dello Stato si scatenava contro l'opposizione politica e sociale. Franco era un figlio di nessuno, un orfano passato da un istituto ad un altro, un ragazzo senza passato e senza futuro, che tuttavia non è stato dimenticato. Nel volantino distribuito "Morire di maggio. Franco e Hassan" si ricordava anche la morte di Hassan, morto lo scorso maggio nel CIE di corso Brunelleschi a Torino. Hassan era un tunisino senza carte. Uno dei tanti che le leggi razziste di questo Stato condannano alla prigione amministrativa e alla deportazione. Hassan stava molto male: agonizza a lungo nella sua cella, ma non viene curato, né trasportato in ospedale. Gli altri reclusi chiedono aiuto, gridando inutilmente nella notte. Diranno poi: "Siamo come cani al canile. Abbai e nessuno ti ascolta". Il CPT – ora CIE – di Torino è gestito dalla Croce Rossa, guidata dal colonnello Antonio Baldacci, che dichiarerà che i suoi "ospiti" sono "clandestini abituati a dire bugie. Per loro è facile ed abituale non dire la verità". Baldacci è un medico che fa l'aguzzino, gestendo una prigione dove un uomo è morto per mancanza di cure, dove uomini e donne sono chiusi come cani. Trattati peggio.
Il dottor Baldacci, come il dottore del carcere di Pisa, Mammoli, serve un potere feroce, un potere che uccide chi si oppone, un potere che non ha pietà dei figli di nessuno e degli stranieri senza carte. Oggi come ieri. La notte di giovedì 7 maggio via Pisa è stata rinominata: tutte le targhe stradali sono state coperte ed è diventata "via Franco Serantini. Anarchico di 20 anni ucciso dalla polizia. Pisa, 7 maggio 1972".
Uno striscione con scritto "casa per tutti" è stato appeso alle finestre della palazzina ex Enel di via Pisa 5. Questa casa è abbandonata da molti anni, inutilizzata e lasciata all'incuria. Lo scorso luglio venne occupata da alcune famiglie rom, che vivevano nelle baracche di via Germagnano. Stanchi di una miseria che aveva segnato ogni momento delle loro vite, decisero di dare un po' di futuro a se ed ai propri figli. I bambini si svegliarono urlando quando le truppe dello Stato in tenuta antisommossa fecero irruzione nell'edificio. Li hanno riportati a forza lungo la Stura. La casa è rimasta lì a testimoniare la follia di chi tiene vuoto un palazzo, mentre i bambini crescono in catapecchie immonde, giocando tra il fango e i topi.
Foto dello striscione "casa per tutti", di quello "lo Stato uccide" e di "Via Franco Serantini" a quest'indirizzo:
http://piemonte.indymedia.org/article/4882

R. Em.

Taranto. Lotta all'industria della mafia

Verso la mezzanotte di giovedì 30 aprile, all'interno del centro sociale occupato Cloro Rosso di Taranto, un uomo mascherato, entrato furtivamente, ha esploso diversi proiettili verso un giovane attivista del centro, colpendolo alle gambe e ai glutei. Fortunatamente il proiettile diretto ai glutei è stato parato dal cellulare che il ragazzo portava in tasca.
La matrice mafiosa dell'agguato appare abbastanza evidente fin dai primi comunicati, emessi sia dal  Cloro Rosso, sia dai vari siti e blog che hanno dato risalto alla vicenda. L'idea comune è che i poteri occulti della città abbiano voluto dare sfoggio del loro dominio fondato sulla paura, andando a colpire nel cuore della Taranto che lotta: alcune considerazioni su questa storia, infatti, possono diventare illuminanti per aprire uno scorcio sull'assoluta repressione che qui agisce in modo esemplare.
Innanzitutto il Cloro Rosso è una ex scuola occupata nel marzo 2008 dal collettivo legato all'associazione "Eskerra". Da allora è il ritrovo dei giovani tarantini in rivolta contro la politica mafiosa e capitalista che parassita la città (la clamorosa bancarotta del Comune di Taranto risale appena al 2006) e perciò un attacco inflitto al Cloro Rosso colpisce dritto al cuore tutta la comunità che resiste.
Inoltre, nella serata in cui è avvenuta la sparatoria, era in corso un benefit organizzato per sostenere il "Comitato Lavoratori in Lotta" cioè alcuni operai, recentemente messi in cassa integrazione dall'Ilva, che frequentano il centro sociale. Un paio di settimane fa, precisamente il 18 aprile, questi stessi lavoratori avevano preso parte al corteo nazionale per la sicurezza sul lavoro che ha sfilato nella loro città, con l'obiettivo di dimostrare tutta la rabbia e lo sdegno nei confronti dell'acciaieria che con le armi della diossina e del ricatto professionale ha ucciso la comunità locale: per loro questa temibile Ilva, l'impianto siderurgico più grande d'Europa, non sarà più il padrone di Taranto. E questo messaggio è stato ulteriormente ribadito quando i ragazzi del Cloro Rosso, durante il corteo, hanno occupato per alcuni momenti il ponte girevole nel centro storico della città, accendendo fumogeni colorati e scandendo cori con un messaggio molto chiaro: "se ci bloccano il futuro – noi blocchiamo la città" e "Riva, Riva vaffanculo" diretto alla famiglia proprietaria dell'Ilva.
Era parecchio tempo che a Taranto non si alzava così fieramente la testa e l'attentato contro il Cloro Rosso tocca anche altre realtà come il comitato di quartiere Città Vecchia e il presidio permanente No Discariche, cioè quelle giovani forze che, dai vicoli della città, si stanno unendo per reclamare la resa dei conti dopo una vita di sofferenze legate allo sfruttamento del lavoro e dell'ambiente, imposte con la paura dal sistema che governa lo Stato.
Oggi Taranto non ci sta a questo armonioso sodalizio di mafiosi ed industriali: oggi la guerra è aperta.

Luca Dubbini

Bologna. Ancora violenze nel CIE di via Mattei

Mentre il governo inasprisce le leggi razziali e rivendica un'inesistente monoetnia italica da "difendere", si moltiplicano i maltrattamenti e gli episodi di crudeltà nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Di recente, anche nel CIE di Bologna vi sono state continue offese e violenze: vestiti strappati, sberle, insulti, pestaggi. Lunedì 4 maggio una ragazza, Raya, viene picchiata in infermeria da un "ispettore" in abiti civili, sviene ed è lasciata sul pavimento. Non riceve assistenza medica né prima né dopo il pestaggio. La ragazza sporge denuncia e il 6 maggio viene nuovamente picchiata. Anche alcuni ragazzi che solidarizzavano con lei subiscono botte e maltrattamenti. Dentro al CIE bolognese, secondo i racconti dei reclusi, li chiamano "la banda", e fanno il bello e il cattivo tempo intervenendo arbitrariamente in ogni situazione considerata "d'eccezione". Anche per una semplice richiesta di medicine. Al telefono i migranti dicono: "Qui non ci curano! Qui ci trattano come animali!".
Nei CIE si toglie la dignità alle persone per annientarle anzitutto moralmente. Sabato 9 maggio, nel CIE di via Mattei un ragazzo si fa male a un ginocchio, ma in infermeria non gli danno nessun medicinale nonostante le sue ripetute richieste. Poco dopo si sono verificati due casi gravi di autolesionismo: Benrib ha ingerito una grossa quantità di lamette mentre Gasmi si è procurato tagli su tutto il corpo, in particolare sulle gambe. Benrib è stato ricoverato, mentre Gasmi, curato alla svelta, è stato riportato al CIE. Ora è in isolamento, i suoi compagni non possono vederlo, ed è piantonato dalla polizia. La direzione del CIE, come sempre, ha chiamato l'ambulanza con notevole ritardo. Anche questi ritardi, come pure il rifiuto di cure, sono un modo per far sentire ai detenuti la loro condizione di corpi senza diritti e senza valore. Sono una forma di crudeltà morale. L'autolesionismo nei CIE forse non è solo un modo per evitare il "rimpatrio", ma anche un atto estremo di ribellione che vuole raffigurare la disumanità e la violenza del lager.
Oggi è importante non abituarsi alla barbarie e all'ipocrisia di stato. Nel 2002 Gianfranco Fini si scusava per le leggi razziali del 1938 proprio mentre metteva a punto la legge Bossi-Fini. Qualche giorno fa Giorgio Napolitano ha dichiarato che Pinelli fu «una vittima della strage di piazza Fontana», mentre ancor oggi vi sono persone – in genere migranti – che continuano a volar giù dalle finestre delle questure italiane, come Aufi Farid algerino accusato di borseggio morto a Genova il 6 novembre 2008. Per protestare contro l'ipocrisia e la barbarie dei CIE è stato convocato un presidio giovedì 14 maggio, dalle ore 16 volantinaggio sotto le due torri, dalle 18.30 sotto il CIE di via Mattei.

RedB

Torino. Li ammazzerei tutti. Con le mie mani

Cronaca criminale, il corteo contro la moschea.
La manifestazione dei Comitati spontanei "in solidarietà alle forze dell'ordine e per la sicurezza".
Lunedì 4 maggio. All'angolo tra strada del Fortino e via Cigna, circondati da un nugolo di angeli custodi in divisa, partono quelli del corteo contro la moschea indetto dalla Lega. Non sono più di centocinquanta: i leghisti capeggiati da Borghezio e un po' di fascisti e postfascisti. Procedono in silenzio a parte qualche slogan sull'Italia cristiana. Da un balcone un uomo grida forte la propria rabbia per il corteo razzista nel suo quartiere. I piccoli crociati camminano svelti svelti: per raggiungerli un paio di anarchici deve allungare il passo. Due digos si precipitano a dire che "loro" no, al corteo non ci possono andare. Naturalmente i due anarchici continuano imperterriti la loro passeggiata serale osservando le persone "perbene" che di leggi razziste, ronde e polizia non ne hanno mai abbastanza. Stupisce sempre guardare in faccia il male e scoprire che ha il volto normale del tuo vicino di casa. Sui muri intorno grida la protesta antirazzista: "via i razzisti dai quartieri". Per tutto il quartiere qualche antirazzista ha incollato manifestini listati a lutto: in ognuno il nome e la circostanza della morte degli immigrati morti a Torino durante controlli delle forze dell'ordine. Il giorno dopo i quotidiani cittadini grideranno all'allarme per le scritte e le locandine che, a detta di questi gazzettieri, sarebbero state fatte dai "pusher" della zona. I due anarchici, dopo un po' di giri tallonati dai digos con il telefonino incollato, se ne vanno sussurrando ai due poliziotti, "sono tutti vostri, ve li lasciamo. Godeteveli!". Ma il giro nel cuore marcio della città non è ancora finito. In piazza Sassari si sono radunati quelli del Coordinamento dei Comitati Spontanei di quartiere di Torino per una manifestazione "in solidarietà alle forze dell'ordine e per la sicurezza", dal titolo "basta carabinieri morti". La settimana precedente, un carabiniere, inseguendo un pusher tra i binari, era morto sotto un treno che sopraggiungeva. Ci sono una quarantina di persone, raccolte intorno ad un'auto con l'ampli. Pare che durante il breve corteo per il quartiere fossero circa 150. In giro qualche fascistello, altri digos, un pattuglione di quelli dell'antisommossa. Il tizio dal microfono sta invitando la gente a prendere la parola. Una donna bruna con una giacca rossa vomita odio per i peruviani del suo condominio. Un tale che "fa l'operatore a Porta Palazzo" incita a farsi giustizia con le proprie mani, perché la polizia, poverina, ha le mani legate dai politici. Poi è il turno di una bionda, sui quarantacinque, bassetta intrampolata su tacchi vertiginosi. Dice che nel suo palazzo "quelli" non osano aprire la bocca, perché gli italiani si fanno rispettare. A scuola invece, "quelli" sono la maggioranza. Poi, con sommessa rabbia, aggiunge: "Io sto diventando razzista. Anzi sono razzista. Non mi importa se muoiono nei tir, non mi importa se annegano. Li ammazzerei tutti. Con le mie mani." Gli altri applaudono a lungo. A Torino troppi chiudono gli occhi, non vedono, non vogliono vedere la tenebra che cresce tra le viscere di questa città.
In questi anni sono morti una dozzina di immigrati durante controlli e retate: qualcuno è annegato nel Po o nella Stura, una ragazza è scivolata dal tetto, un uomo è caduto dalla finestra di casa, un altro è stato sparato ad un posto di blocco.
In Afganistan il giorno prima era morta una bambina. L'hanno ammazzata dei professionisti, i parà della Folgore, ma i mandanti sono in mezzo a noi. Sono gli stessi cui non importa se gli immigrati muoiono, perché li ammazzerebbero tutti. Con le loro mani.
Bisogna fermarli. Subito.

R. Em.

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