Il 9 aprile scorso, quando è “sparito” dal web il sito
wikileaks.de, per qualche giorno tutti hanno pensato all’ennesimo atto
di censura delle autorità contro un sito scomodo. Invece pare
che si sia trattato solo di una “distrazione” dei gestori del sito che
avevano dimenticato di pagare in tempo la tassa di registrazione.
Wikileaks è un progetto, nato alla fine del 2006, sul quale in
questi tre anni sono stati pubblicati migliaia di documenti che di
solito vengono classificati come ”segreti” o della cui esistenza non si
è mai sentito parlare. Dopotutto lo scopo di wikileaks è
chiaro: “assistiamo le persone di tutti i paesi che vogliono rivelare i
comportamenti eticamente scorretti dei loro governi e delle loro
istituzioni”.
Per dare una idea del tipo di documenti pubblicati su wikileaks si veda
l’elenco di quelli riguardanti l’Italia che vanno dal “Modulo
iscrizione servizi Scientology” all’”Audit of the Galileo System at the
United Nations Logistic Base in Brindisi”, dal “Vatican decree of
investigation in relation to Miles Jesu” a non meglio precisate
“Italian mother-daughter telephone intercepts”. Uno degli ultimi
documenti pubblicati riguarda l’ACTA, un protocollo di intesa firmato
da vari paesi sui problemi relativi al copyright, i cui particolari non
sono stati mai resi pubblicamente noti.
Naturalmente, data la natura dei documenti e l’anonimato dietro al
quale si nascondono coloro che li mettono a disposizione, nessuno
potrebbe essere mai sicuro che siano autentici o se siano il prodotto
del lavoro di intossicazione dell’informazione portata avanti dai
servizi segreti di tutti gli Stati del mondo.
Qualunque sia la verità, resta il fatto che un sito del genere
non si può certo aspettare gli encomi delle autorità
costituite e infatti lo scorso 24 marzo, la casa dell’intestatario del
dominio wikileaks.de è stata perquisita da una dozzina di agenti
alla ricerca di “materiale pornografico”. La scintilla che ha scatenato
la repressione è stata la pubblicazione su wikileaks della lista
dei siti proibiti in Australia, dove (come in Italia) esiste un qualche
comitato che non ha di meglio da fare che stilare liste di siti che i
cittadini non devono vedere. Nella lista in questione comparivano
soprattutto siti etichettati come porno, pedofili o presunti tali, ma
nell’elenco si trovavano anche siti di studi dentistici ed altri
difficilmente classificabili come pericolosi. Già in passato
erano state pubblicate liste simili relative alla Tailandia, alla
Danimarca e ad altri paesi.
Episodi del genere dimostrano che, nonostante tutti gli stati
continuino a lamentarsi di come in Cina, in Tailandia o a Cuba ci sia
una limitazione della libertà di espressione su Internet (e non
solo), poi essi agiscano esattamente come quei governi tanto criticati.
Questo perché la libertà di espressione fa paura, a
prescindere dalla forma che assume il sistema di sfruttamento.
Pepsy
Link: https://secure.wikileaks.org/wiki/Wikileaks/it