Lunedì 11 maggio una sessantina di studenti medi e
universitari si sono ritrovati fuori dal liceo Michelangelo per
manifestare contro l'ennesima chiusura di spazi autogestiti in
città. Il preside Primerano (candidato alle elezioni comunali
nella lista del centrosinistra di Renzi) non poteva più
sopportare che i Collettivi "colpevoli" dell' "aggressione" al gazebo
del candidato del PDL Galli - avvenuto durante il corteo del 25 Aprile
- potessero riunirsi proprio nella sua scuola.
Di fronte all'impossibilità di riunirsi, visto il portone chiuso
e presidiato dalle (cosiddette) forze dell'ordine, è partito un
corteo spontaneo per le vie del centro.
In via della Colonna il corteo è stato caricato in seguito ad un
diverbio verbale tra i manifestanti e la Digos: ad un agente che
continuava a filmare i ragazzi per far scattare qualche denuncia
è stato chiesto (comunque in un modo mai gentile quanto quello
di un poliziotto che ti filma per denunciarti) di allontanarsi. Questo
è bastato per scagliarsi con caschi e manganelli contro ragazzi
totalmente inermi.
In pieno centro città si è scatenata la repressione e la
violenza: studenti manganellati mentre sono a terra, o chiusi contro un
muro senza vie di fuga; la gente dalle finestre vede e apre le porte.
Un ragazzo di 16 anni finisce all'ospedale per i traumi al naso e allo zigomo, altri due vengono portati in questura.
E quando i manifestanti tentano di raggiungere l'edificio partono altre
cariche, che sfociano in una caccia all'uomo (o caccia al "diverso"?)
fin sui viali.
Bilancio: 10 fermati, 19 denunce e un ferito.
C'è una ragazza minorenne tra i fermati, riferisce altre
violenze dalla questura. «Un agente mi ha storto un polso e preso
a manganellate su un braccio. Poi mi hanno portato in questura dove per
un´ora e mezzo mi hanno insultata: hai avuto quello che ti
meriti, ragazzina comunista, mi hanno detto, ti faremo passare la
voglia di fare cortei. Per fortuna, dopo un´ora e mezza, mi hanno
lasciata andare».
Questi episodi vanno di pari passo con le politiche di "sicurezza"
adottate per difendere la città: chiusura di spazi autogestiti e
repressione nei confronti di chi esprime il proprio dissenso.
Sicurezza che sul piano nazionale si traduce in xenofobia e autoritarismo, ronde e Cie.
Il movimento studentesco fiorentino, nato dalle contestazioni
dell'autunno, non rientra nei canoni dell'organizzazione partitica o
sindacale.
L'autorganizzazione è troppo pericolosa per chi governa, se la
sicurezza e la legalità sono gli ideali di destra e sinistra al
potere.
Per rispondere a questi episodi e per affermare il diritto
all'autogestione la Rete dei collettivi, insieme alll´Unione
degli studenti e al Coordinamento studenti medi, ha indetto una
manifestazione per sabato 16.
Hanno aderito i Cobas, il Movimento di lotta per la casa, il Cpa, il Next Emerson, Sinistra universitaria.
"Contro la repressione, estendere la solidarietà e rilanciare la lotta"
Migliaia di persone e poche sigle, a dimostrare che Firenze non si arrende davanti alla repressione.
Cecilia
Il corteo contro la repressione di sabato 16 maggio a Firenze
è stato una decisa risposta non solo alle cariche di polizia che
lunedì 11 hanno provocato numerosi feriti e contusi tra gli
studenti medi, ma anche più in generale al clima repressivo che
partiti, istituzioni e stampa stanno montando a Firenze. 2500 persone
hanno attraversato con un lungo corteo il centro della città,
moltissimi gli studenti e i giovani. Nei giorni precedenti i giornali
avevano annunciato una giornata di violenza e la questura aveva
continuato a criminalizzare gli studenti medi, inventando legami tra
attentati alle sedi del centrodestra avvenuti negli scorsi mesi,
l'assalto al banchetto elettorale del PDL il 25 aprile e gli studenti
presenti al corteo spontaneo dell'11 maggio.
Nonostante questo clima, il corteo ha avuto una partecipazione di massa
e ha portato nelle strade un forte messaggio contro la repressione. Lo
striscione di apertura ne sintetizzava la piattaforma: "Contro
repressione, pestaggi e denunce: estendere la solidarietà,
rilanciare la lotta".
Subito dietro lo striscione alcuni cordoni di manifestanti e subito
dopo il furgone con il corteo vero e proprio, studenti soprattutto,
molti genitori, nessun partito istituzionale (rifondazione ha sostenuto
la linea "isolare i violenti"), nessun sindacato, visibili il
medagliere del'ANPI e le bandiere rosse, molte anche le bandiere rosse
e nere. Nessun sound system, solo una banda e tanti slogan e cori,
urlati forte, contro la repressione, la polizia, i padroni.
Forze dell'ordine invisibili ma presenti, alcune provocazioni ignorate
dai manifestanti: auto dei carabinieri vuote ed incustodite a lato del
corteo, singoli agenti DIGOS e carabinieri, isolati e posti vicino al
percorso, sicuramente in attesa di un pretesto per dare ragione a chi
desiderava un corteo violento. Sabato 16 ha perso la paura e il
tentativo di isolare chi lotta, è stato incrinato il muro
mediatico che paradossalmente aveva portato la questione repressiva
sulle prime pagine di Firenze per settimane oscurandola però
totalmente già nelle città più vicine.
È da considerare però che il silenzio, a livello
regionale, sulle cariche e sul pesante clima fiorentino non è
responsabilità solo dei media ufficiali, ma anche dei movimenti
e delle realtà che dovrebbero riempire questo vuoto
d'informazione come minima forma di solidarietà attiva; questo
avviene in molte località, ma è preoccupante il silenzio
di alcune realtà, specie studentesche, attive in Toscana.
Sono adesso da attendere gli sviluppi della situazione, cosa
seguirà alle 19 denunce per manifestazione non autorizzata e
lesioni in relazione al corteo dell'11 maggio e come dopo il corteo
sarà il clima a Firenze.
Dario
"Non un soldo per la guerra" questa scritta a caratteri giganti
campeggia su uno striscione di otto metri per quattro issato
sull'imponente monumento ai caduti nei centralissimi giardini di via
Crimea ad Alessandria. Sul basamento è apparsa la scritta
"sabotare la guerra" mentre veniva aperto lo striscione "No agli
eserciti!".
Inizia così la campagna contro il G8 in Piemonte.
Pattuglie di polizia sono passate più volte senza fermarsi
mentre la digos è timidamente apparsa dopo quattro ore, pochi
minuti dopo che gli antimilitaristi se ne erano andati. Nel comunicato
diffuso dal Laboratorio Anarchico "Perlanera" e dalla FAI torinese, che
hanno promosso l'iniziativa si leggeva che "La guerra è ogni
giorno. Il G8 è ogni giorno. Ovunque. La Resistenza è
ogni giorno. Ovunque."
Nel volantino distribuito ai passanti e nel vicino mercato si dice che
"L'Italia è in guerra. Truppe tricolori combattono in
Afghanistan. Lo chiamano 'peace keeping': suona meglio e mette la
coscienza a posto. Ma, là, in Afghanistan, ogni giorno
bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini,
donne e bambini. In silenzio. Otto anni di guerra e dicono che sono
lì per mantenere la pace. Dicono che sono lì per la
libertà. Dopo otto anni le donne sono ancora incarcerate sotto i
burqua, le poche scuole per bambine sono fatte saltare in aria, le
attiviste vengono uccise. Un massacro senza fine. Ma che importa? Gli
affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
L'esercito è anche nelle nostre strade. Nel mirino sono i
poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa, chi si ribella alla
devastazione del territorio e al saccheggio delle risorse.
Lo Stato militarizza le strade e le piazze e tratta da delinquenti
quelli che si ribellano. È la guerra. La guerra interna. Anche
questa serve alla pace, la pace sociale.
Viviamo tempi difficili. La crisi strangola tanti, troppi. Chi governa
questo paese, oggi la destra ieri la sinistra, ha tagliato pensioni,
sanità, scuola, ha fatto leggi che condannano alla
precarietà a vita, ha inventato il caporalato legale, favorito
il sistema degli appalti a catena dove chi sta in fondo è poco
più di uno schiavo.
Solo la spesa militare aumenta ogni anno.
In Afghanistan ci sono 2.600 soldati italiani: questo orrore costa a
tutti noi milioni di euro. La spesa di guerra comprende il mantenimento
di basi, caserme, aeroporti ed un buon numero di ben addestrati
assassini di professione. I governi di destra e quelli di sinistra
hanno fatto a gara nel finanziare le imprese belliche.
A Vicenza stanno preparando la più grande base militare USA
d'Europa. A Novara hanno deciso di fare uno stabilimento per
l'assemblaggio dei nuovi bombardieri F35, giocattolini da 150 milioni
di euro l'uno.
Con i soldi di uno solo dei cento F35 appena acquistati dal governo si
pagherebbe un quartiere a l'Aquila, un nuovo ospedale, la manutenzione
delle linee ferroviarie per i pendolari… Tante cose utili alla vita di
noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall'altra parte del mondo.
Come la bambina che quelli della Folgore hanno ucciso la scorsa
settimana in Afghanistan.
Non un soldo per la guerra!
Bisogna mettersi in mezzo. Fermare la guerra. Quella esterna, che si
combatte in Afghanistan, quella interna contro i poveri, gli immigrati,
i senza casa, opponendosi all'esistenza stessa degli eserciti, vere
organizzazioni criminali legali.
A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme,
aeroporti, scuole militari, fabbriche d'armi. A partire dalle nostre
piazze dove campeggiano come 'eroi' le statue dei macellai di tutte le
guerre."
Qui le foto dell'azione: http://piemonte.indymedia.org/article/4957
R. Em.
Il 16 di maggio si è svolto a Carrara il "Convegno di studi
sulla figura del sindacalista Alberto Meschi nel 130° anniversario
dalla nascita e tavola rotonda sul sindacalismo di base", organizzato
dall'Archivio Germinal.
In un soleggiato sabato che, purtroppo, non ha favorito l'affluenza, si
sono succeduti gli oratori per dar vita a un'interessante ricostruzione
storica del percorso del sindacalista seguita da un accalorato (non
solo per la temperatura) dibattito sull'attualità del
sindacalismo di base.
Come da programma, la mattina Massimiliano Giorgi, autore del libro
"Alberto Meschi e la Camera del Lavoro di Carrara (1911-15)" e Gino
Vatteroni, autore di "Sindacalismo, anarchismo e lotte sociali a
Carrara dalla prima guerra mondiale all'avvento del fascismo" hanno
illustrato, in maniera particolareggiata, l'attività di Meschi
dal suo arrivo a Carrara, che lo vide da subito impegnato nel rilancio
della Camera del Lavoro locale uscita sconfitta dalla ultime lotte
contro il padronato, al suo capolavoro: il contratto del 1919 con cui
ottenne la riduzione del lavoro a 6 ore e mezzo e l'inizio della
giornata lavorativa dal poggio, il punto di raduno a inizio bacino dal
quale si parte per raggiungere la cava. Italiano Rossi, della
Biblioteca Franco Serantini di Pisa e dell'Archivio Germinal di
Carrara, ha poi raccontato del suo esilio in Francia, del rientro a
Carrara e di come, negli anni successivi alla fine della guerra, venne
piano piano isolato e definitivamente escluso dalla Camera del Lavoro
per far spazio a "sindacalisti" meno scomodi e più compiacenti.
Tomaso Marabini, coautore del libro, "Attilio Sassi detto Bestione.
Autobiografia di un sindacalista libertario (1876-1957)", ha
disegnato con lodevoli parole la figura di un altro grande sindacalista
anarchico. Infine è stato letto il contributo di Antonio Senta
sulla documentazione riguardante Meschi nel Fondo Rolland presso
l'Istituto di Storia Sociale di Amsterdam.
Dopo un breve buffet, nel pomeriggio si è svolta una tavola
rotonda sul sindacalismo di base, la sua attualità e l'opera dei
compagni che svolgono attività nelle diverse realtà.
Introdotti da Andrea Ferrari della FAI reggiana, hanno contribuito con
i loro interventi, stimolati anche dalla partecipazione del pubblico
presente, Cosimo Scarinzi (CUB Scuola), Guido Barroero (USI), Claudio
Galatolo (Unicobas Scuola) e Giovanni Pedrazzi (Cobas Marmo Carrara).
Il dibattito si è sviluppato partendo da un sostanziale
riconoscimento del fallimento del progetto di creazione di alternative
sindacali dal basso da contrapporre al sindacalismo istituzionale per
arrivare alla indicazione di quanto sia necessario il ripensare un
percorso per rilanciare un sindacato alternativo in un periodo di
profonda crisi come quello attuale. Particolarmente caldo e sentito
l'intervento di Giovanni Pedrazzi, che si è dilungato
nell'esporre l'ultimo, infame, contratto di lavoro firmato dai
sindacati confederali e che cancella quello che era rimasto delle
storiche conquiste di Meschi.
RedC