Umanità Nova, n.20 del 24 maggio 2009, anno 89

informAzione - 1


Firenze contro la repressione

Lunedì 11 maggio una sessantina di studenti medi e universitari si sono ritrovati fuori dal liceo Michelangelo per manifestare contro l'ennesima chiusura di spazi autogestiti in città. Il preside Primerano (candidato alle elezioni comunali nella lista del centrosinistra di Renzi) non poteva più sopportare che i Collettivi "colpevoli" dell' "aggressione" al gazebo del candidato del PDL Galli - avvenuto durante il corteo del 25 Aprile - potessero riunirsi proprio nella sua scuola.
Di fronte all'impossibilità di riunirsi, visto il portone chiuso e presidiato dalle (cosiddette) forze dell'ordine, è partito un corteo spontaneo per le vie del centro.
In via della Colonna il corteo è stato caricato in seguito ad un diverbio verbale tra i manifestanti e la Digos: ad un agente che continuava a filmare i ragazzi per far scattare qualche denuncia è stato chiesto (comunque in un modo mai gentile quanto quello di un poliziotto che ti filma per denunciarti) di allontanarsi. Questo è bastato per scagliarsi con caschi e manganelli contro ragazzi totalmente inermi.
In pieno centro città si è scatenata la repressione e la violenza: studenti manganellati mentre sono a terra, o chiusi contro un muro senza vie di fuga; la gente dalle finestre vede e apre le porte.
Un ragazzo di 16 anni finisce all'ospedale per i traumi al naso e allo zigomo, altri due vengono portati in questura.
E quando i manifestanti tentano di raggiungere l'edificio partono altre cariche, che sfociano in una caccia all'uomo (o caccia al "diverso"?) fin sui viali.
Bilancio: 10 fermati, 19 denunce e un ferito.
C'è una ragazza minorenne tra i fermati, riferisce altre violenze dalla questura. «Un agente mi ha storto un polso e preso a manganellate su un braccio. Poi mi hanno portato in questura dove per un´ora e mezzo mi hanno insultata: hai avuto quello che ti meriti, ragazzina comunista, mi hanno detto, ti faremo passare la voglia di fare cortei. Per fortuna, dopo un´ora e mezza, mi hanno lasciata andare».
Questi episodi vanno di pari passo con le politiche di "sicurezza" adottate per difendere la città: chiusura di spazi autogestiti e repressione nei confronti di chi esprime il proprio dissenso.
Sicurezza che sul piano nazionale si traduce in xenofobia e autoritarismo, ronde e Cie.
Il movimento studentesco fiorentino, nato dalle contestazioni dell'autunno, non rientra nei canoni dell'organizzazione partitica o sindacale.
L'autorganizzazione è troppo pericolosa per chi governa, se la sicurezza e la legalità sono gli ideali di destra e sinistra al potere.
Per rispondere a questi episodi e per affermare il diritto all'autogestione la Rete dei collettivi, insieme alll´Unione degli studenti e al Coordinamento studenti medi, ha indetto una manifestazione per sabato 16.
Hanno aderito i Cobas, il Movimento di lotta per la casa, il Cpa, il Next Emerson, Sinistra universitaria.
"Contro la repressione, estendere la solidarietà e rilanciare la lotta"
Migliaia di persone e poche sigle, a dimostrare che Firenze non si arrende davanti alla repressione.

Cecilia

Firenze. Corteo

Il corteo contro la repressione di sabato 16 maggio a Firenze è stato una decisa risposta non solo alle cariche di polizia che lunedì 11 hanno provocato numerosi feriti e contusi tra gli studenti medi, ma anche più in generale al clima repressivo che partiti, istituzioni e stampa stanno montando a Firenze. 2500 persone hanno attraversato con un lungo corteo il centro della città, moltissimi gli studenti e i giovani. Nei giorni precedenti i giornali avevano annunciato una giornata di violenza e la questura aveva continuato a criminalizzare gli studenti medi, inventando legami tra attentati alle sedi del centrodestra avvenuti negli scorsi mesi, l'assalto al banchetto elettorale del PDL il 25 aprile e gli studenti presenti al corteo spontaneo dell'11 maggio.
Nonostante questo clima, il corteo ha avuto una partecipazione di massa e ha portato nelle strade un forte messaggio contro la repressione. Lo striscione di apertura ne sintetizzava la piattaforma: "Contro repressione, pestaggi e denunce: estendere la solidarietà, rilanciare la lotta".
Subito dietro lo striscione alcuni cordoni di manifestanti e subito dopo il furgone con il corteo vero e proprio, studenti soprattutto, molti genitori, nessun partito istituzionale (rifondazione ha sostenuto la linea "isolare i violenti"), nessun sindacato, visibili il medagliere del'ANPI e le bandiere rosse, molte anche le bandiere rosse e nere. Nessun sound system, solo una banda e tanti slogan e cori, urlati forte, contro la repressione, la polizia, i padroni.
Forze dell'ordine invisibili ma presenti, alcune provocazioni ignorate dai manifestanti: auto dei carabinieri vuote ed incustodite a lato del corteo, singoli agenti DIGOS e carabinieri, isolati e posti vicino al percorso, sicuramente in attesa di un pretesto per dare ragione a chi desiderava un corteo violento. Sabato 16 ha perso la paura e il tentativo di isolare chi lotta, è stato incrinato il muro mediatico che paradossalmente aveva portato la questione repressiva sulle prime pagine di Firenze per settimane oscurandola però totalmente già nelle città più vicine.
È da considerare però che il silenzio, a livello regionale, sulle cariche e sul pesante clima fiorentino non è responsabilità solo dei media ufficiali, ma anche dei movimenti e delle realtà che dovrebbero riempire questo vuoto d'informazione come minima forma di solidarietà attiva; questo avviene in molte località, ma è preoccupante il silenzio di alcune realtà, specie studentesche, attive in Toscana.
Sono adesso da attendere gli sviluppi della situazione, cosa seguirà alle 19 denunce per manifestazione non autorizzata e lesioni in relazione al corteo dell'11 maggio e come dopo il corteo sarà il clima a Firenze.

Dario

Alessandria. Azione diretta contro il militarismo

"Non un soldo per la guerra" questa scritta a caratteri giganti campeggia su uno striscione di otto metri per quattro issato sull'imponente monumento ai caduti nei centralissimi giardini di via Crimea ad Alessandria. Sul basamento è apparsa la scritta "sabotare la guerra" mentre veniva aperto lo striscione "No agli eserciti!".
Inizia così la campagna contro il G8 in Piemonte.
Pattuglie di polizia sono passate più volte senza fermarsi mentre la digos è timidamente apparsa dopo quattro ore, pochi minuti dopo che gli antimilitaristi se ne erano andati. Nel comunicato diffuso dal Laboratorio Anarchico "Perlanera" e dalla FAI torinese, che hanno promosso l'iniziativa si leggeva che "La guerra è ogni giorno. Il G8 è ogni giorno. Ovunque. La Resistenza è ogni giorno. Ovunque."
Nel volantino distribuito ai passanti e nel vicino mercato si dice che "L'Italia è in guerra. Truppe tricolori combattono in Afghanistan. Lo chiamano 'peace keeping': suona meglio e mette la coscienza a posto. Ma, là, in Afghanistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini, donne e bambini. In silenzio. Otto anni di guerra e dicono che sono lì per mantenere la pace. Dicono che sono lì per la libertà. Dopo otto anni le donne sono ancora incarcerate sotto i burqua, le poche scuole per bambine sono fatte saltare in aria, le attiviste vengono uccise. Un massacro senza fine. Ma che importa? Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
L'esercito è anche nelle nostre strade. Nel mirino sono i poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa, chi si ribella alla devastazione del territorio e al saccheggio delle risorse.
Lo Stato militarizza le strade e le piazze e tratta da delinquenti quelli che si ribellano. È la guerra. La guerra interna. Anche questa serve alla pace, la pace sociale.
Viviamo tempi difficili. La crisi strangola tanti, troppi. Chi governa questo paese, oggi la destra ieri la sinistra, ha tagliato pensioni, sanità, scuola, ha fatto leggi che condannano alla precarietà a vita, ha inventato il caporalato legale, favorito il sistema degli appalti a catena dove chi sta in fondo è poco più di uno schiavo.
Solo la spesa militare aumenta ogni anno.
In Afghanistan ci sono 2.600 soldati italiani: questo orrore costa a tutti noi milioni di euro. La spesa di guerra comprende il mantenimento di basi, caserme, aeroporti ed un buon numero di ben addestrati assassini di professione. I governi di destra e quelli di sinistra hanno fatto a gara nel finanziare le imprese belliche.
A Vicenza stanno preparando la più grande base militare USA d'Europa. A Novara hanno deciso di fare uno stabilimento per l'assemblaggio dei nuovi bombardieri F35, giocattolini da 150 milioni di euro l'uno.
Con i soldi di uno solo dei cento F35 appena acquistati dal governo si pagherebbe un quartiere a l'Aquila, un nuovo ospedale, la manutenzione delle linee ferroviarie per i pendolari… Tante cose utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall'altra parte del mondo. Come la bambina che quelli della Folgore hanno ucciso la scorsa settimana in Afghanistan.
Non un soldo per la guerra!
Bisogna mettersi in mezzo. Fermare la guerra. Quella esterna, che si combatte in Afghanistan, quella interna contro i poveri, gli immigrati, i senza casa, opponendosi all'esistenza stessa degli eserciti, vere organizzazioni criminali legali.
A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d'armi. A partire dalle nostre piazze dove campeggiano come 'eroi' le statue dei macellai di tutte le guerre."
Qui le foto dell'azione: http://piemonte.indymedia.org/article/4957

R. Em.

Carrara. Convegno su Meschi e tavola rotonda sul sindacalismo di base

Il 16 di maggio si è svolto a Carrara il "Convegno di studi sulla figura del sindacalista Alberto Meschi nel 130° anniversario dalla nascita e tavola rotonda sul sindacalismo di base", organizzato dall'Archivio Germinal.
In un soleggiato sabato che, purtroppo, non ha favorito l'affluenza, si sono succeduti gli oratori per dar vita a un'interessante ricostruzione storica del percorso del sindacalista seguita da un accalorato (non solo per la temperatura) dibattito sull'attualità del sindacalismo di base.
Come da programma, la mattina Massimiliano Giorgi, autore del libro "Alberto Meschi e la Camera del Lavoro di Carrara (1911-15)" e Gino Vatteroni, autore di "Sindacalismo, anarchismo e lotte sociali a Carrara dalla prima guerra mondiale all'avvento del fascismo" hanno illustrato, in maniera particolareggiata, l'attività di Meschi dal suo arrivo a Carrara, che lo vide da subito impegnato nel rilancio della Camera del Lavoro locale uscita sconfitta dalla ultime lotte contro il padronato, al suo capolavoro: il contratto del 1919 con cui ottenne la riduzione del lavoro a 6 ore e mezzo e l'inizio della giornata lavorativa dal poggio, il punto di raduno a inizio bacino dal quale si parte per raggiungere la cava. Italiano Rossi, della Biblioteca Franco Serantini di Pisa e dell'Archivio Germinal di Carrara, ha poi raccontato del suo esilio in Francia, del rientro a Carrara e di come, negli anni successivi alla fine della guerra, venne piano piano isolato e definitivamente escluso dalla Camera del Lavoro per far spazio a "sindacalisti" meno scomodi e più compiacenti.
Tomaso Marabini, coautore del libro, "Attilio Sassi detto Bestione. Autobiografia di un sindacalista libertario (1876-1957)",  ha disegnato con lodevoli parole la figura di un altro grande sindacalista anarchico. Infine è stato letto il contributo di Antonio Senta sulla documentazione riguardante Meschi nel Fondo Rolland presso l'Istituto di Storia Sociale di Amsterdam.
Dopo un breve buffet, nel pomeriggio si è svolta una tavola rotonda sul sindacalismo di base, la sua attualità e l'opera dei compagni che svolgono attività nelle diverse realtà. Introdotti da Andrea Ferrari della FAI reggiana, hanno contribuito con i loro interventi, stimolati anche dalla partecipazione del pubblico presente, Cosimo Scarinzi (CUB Scuola), Guido Barroero (USI), Claudio Galatolo (Unicobas Scuola) e Giovanni Pedrazzi (Cobas Marmo Carrara). Il dibattito si è sviluppato partendo da un sostanziale riconoscimento del fallimento del progetto di creazione di alternative sindacali dal basso da contrapporre al sindacalismo istituzionale per arrivare alla indicazione di quanto sia necessario il ripensare un percorso per rilanciare un sindacato alternativo in un periodo di profonda crisi come quello attuale. Particolarmente caldo e sentito l'intervento di Giovanni Pedrazzi, che si è dilungato nell'esporre l'ultimo, infame, contratto di lavoro firmato dai sindacati confederali e che cancella quello che era rimasto delle storiche conquiste di Meschi.

RedC

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