Umanità Nova, n.20 del 24 maggio 2009, anno 89

Gli arditi del popolo fuori da ogni leggenda


Difendiamo l'operaio
dagli oltraggi e le disfatte
che l'Ardito, oggi, combatte
per l'altrui felicità.
(Inno degli Arditi del Popolo)

Tra le tante, positive, recensioni del sintetico saggio di Andrea Staid, Gli Arditi del popolo. La prima lotta armata contro il fascismo (La Fiaccola, Ragusa 2007), merita attenzione la "messa a punto storiografica" proposta dall'internazionalista D.E. nel pamphlet intitolato La leggenda nera degli Arditi del popolo (Ed. All'insegna del gatto rosso, Milano 2008), in cui si evidenziano criticamente alcune questioni riguardanti la breve quanto combattuta esperienza ardito-popolare che, tra il 1921 e il 1922, si oppose al montante fascismo.
Tra i limiti delineati, viene ipotizzato che "La causa del declino [degli Adp] risiedeva negli stessi presupposti politici dell'iniziativa, rivolta al puro ripristino delle garanzie democratiche": una tesi ribadita anche quando, riferendosi alla partecipazione degli anarchici al movimento, si sostiene che nonostante la loro coerenza e le loro intenzioni "non riuscirono a superare la deriva democratica, destinata a prevalere tra gli Arditi del popolo".
Questa lettura, oltre a non avere adeguati riscontri nei manifesti nazionali degli Arditi del popolo ove la parola democrazia non appare citata neanche una volta, appare seppur involontariamente subalterna a quella, tendenziosa, fornita allora dai dirigenti del Partito Comunista d'Italia, ma anche a quella che in tempi più recenti, seppur con opposta valenza, è stata offerta dalla storiografia legata al Pci/Pds/Ds.
Infatti, per motivare la propria dissociazione dagli Arditi del popolo decisa dall'Esecutivo del PcdI, venne sostenuto che questi si limitavano all'obiettivo di ristabilire "l'ordine" e la normalità della vita sociale, mentre l'obiettivo dei comunisti era la lotta proletaria fino alla vittoria rivoluzionaria (si veda «L'Ordine Nuovo» del 21 luglio 1921).
Tale accusa, come già detto, non trova conferme nella quasi totalità delle coeve prese di posizione degli Arditi del popolo, ad eccezione di un manifesto della sezione degli Arditi del popolo di Alessandria (pubblicato, forse non a caso, sul quotidiano socialista «Avanti!» del 30 luglio 1921), indirizzato ai lavoratori d'ogni partito e che si concludeva col proposito apparentemente legalitario: "Noi lottiamo per ristabilire in Italia il diritto e la giustizia".
Obiettivo questo certo limitato, ma che comunque proveniva da un'organizzazione di fatto già messa fuorilegge dallo Stato e che comunque non parlava di democrazia. D'altro canto, riferirsi in termini di democrazia all'Italia monarchica di Giolitti, Bonomi e Facta sarebbe stato e rimane un anacronismo politico. Infatti all'ombra del reale dispotismo dei Savoia - come osservava Pietro Gobetti - non si era compiuta neppure una "rivoluzione liberale", tanto che a circa metà dei cittadini - ossia alle donne - era ancora negato il diritto al voto.
Al contrario, nelle dichiarazioni programmatiche, nei manifesti e persino negli inni degli Arditi del popolo, pur incentrandosi sugli scopi di difesa proletaria e contrasto allo squadrismo tricolorato, non mancarono certo i richiami sovversivi e le motivazioni classiste a favore di una totale emancipazione dei lavoratori, come ben documentato da Ferdinando Cordova (Arditi e legionari dannunziani, Marsilio, Padova 1969, ripubblicato di recente da Manifesto Libri).
Questa connotazione radicale in sintonia con la predominanza anarco-comunista tra gli aderenti, dopo che il socialista massimalista Mingrino s'impadronì della direzione politica dell'associazione ardito-popolare, fu soprattutto rivendicata dalla minoranza raccolta attorno a Secondari e al giornale «L'Avanguardia sociale».
Gli Arditi del popolo, nel considerarsi "sovversivi nel senso più vasto della parola", non aspiravano infatti a dare vita ad un partito rivoluzionario, ma a sviluppare e organizzare l'azione contro le violenze antiproletarie dei "soldati di ventura" ingaggiati dalla "borghesia mandataria e fautrice di movimenti reazionari e conservatori", cercando di raccogliere gli ex-arditi di guerra e i reduci del primo conflitto imperialista prima che cadessero preda della retorica nazionalista di Mussolini, come avvenne a Milano.
Infatti dove invece questo tentativo riuscì, come a Roma e Parma, i fascisti incontrarono rilevanti problemi d'agibilità in diversi quartieri anche durante la mitizzata Marcia su Roma; mentre nelle situazioni in cui il movimento operaio non fu capace o rinunciò ad attrarre a sé gli ex-combattenti dimostrò tutta la propria inadeguatezza - anche nelle sue componenti rivoluzionarie - nel fronteggiare l'assalto militare lanciato dai fascisti e dalle forze repressive statali.
Anche la leggenda attorno agli "Arditi di Nitti", ossia sul presunto appoggio che il precedente presidente del consiglio avrebbe assicurato agli arditi guidati dall'anarchico Argo Secondari, nel ricalcare le mistificate e infamanti informazioni fornite dal dirigente del PcdI Ruggero Grieco davanti al Comintern, risulta del tutto infondata. Come evidenziato dagli storici Marco Grispigni e Eros Francescangeli, già pochi giorni dopo la fondazione degli Arditi del popolo e la loro prima dimostrazione di forza all'Orto Botanico a Roma, la testata nittiana «Il Paese» iniziò a pronunciarsi a favore del loro disarmo e del nefasto trattato di pacificazione che poche settimane dopo sarebbe stato congiuntamente sottoscritto dai fascisti assieme al Psi e alla CGdL.   
Come accennato all'inizio, in tempi più recenti, la leggenda degli Arditi del popolo impegnati a "difendere la democrazia" è stata rilanciata proprio da alcuni storici legati al percorso politico del Pci per appropriarsi indebitamente della loro memoria, giungendo persino al recupero delle Barricate dell'Oltretorrente del '22 e al loro strumentale utilizzo politico di volta in volta contro la violenza, il terrorismo, la mafia… (si veda  la ricerca di William Gambetta e Massimo Giuffredi, Memorie d'agosto. Letture delle Barricate antifasciste di Parma del 1922, Edizioni Punto Rosso, Milano 2007). E' il caso, ad esempio, delle memorie del comunista livornese Danilo Conti (Gli Arditi del popolo, in «Dimensioni» n. 20/1981) che come Paolo Spriano rimuove tutti gli aspetti antagonisti e di classe del primo antifascismo, o del lavoro, peraltro dignitoso, di Ivan Fuschini, autore de Gli Arditi del popolo (con prefazione di Arrigo Boldrini,  Longo Editore, Ravenna 1994) che ne ha fornito un'interpretazione in chiave democratica, connessa in modo alquanto disinvolto alla Resistenza di un ventennio dopo che, come sappiamo, fu un'altra storia; pur se numerosi protagonisti del primo antifascismo si ritrovarono a combattere per un'effettiva liberazione sociale contro gli immutati nemici.

emmerre

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