Difendiamo l'operaio
dagli oltraggi e le disfatte
che l'Ardito, oggi, combatte
per l'altrui felicità.
(Inno degli Arditi del Popolo)
Tra le tante, positive, recensioni del sintetico saggio di Andrea
Staid, Gli Arditi del popolo. La prima lotta armata contro il fascismo
(La Fiaccola, Ragusa 2007), merita attenzione la "messa a punto
storiografica" proposta dall'internazionalista D.E. nel pamphlet
intitolato La leggenda nera degli Arditi del popolo (Ed. All'insegna
del gatto rosso, Milano 2008), in cui si evidenziano criticamente
alcune questioni riguardanti la breve quanto combattuta esperienza
ardito-popolare che, tra il 1921 e il 1922, si oppose al montante
fascismo.
Tra i limiti delineati, viene ipotizzato che "La causa del declino
[degli Adp] risiedeva negli stessi presupposti politici
dell'iniziativa, rivolta al puro ripristino delle garanzie
democratiche": una tesi ribadita anche quando, riferendosi alla
partecipazione degli anarchici al movimento, si sostiene che nonostante
la loro coerenza e le loro intenzioni "non riuscirono a superare la
deriva democratica, destinata a prevalere tra gli Arditi del popolo".
Questa lettura, oltre a non avere adeguati riscontri nei manifesti
nazionali degli Arditi del popolo ove la parola democrazia non appare
citata neanche una volta, appare seppur involontariamente subalterna a
quella, tendenziosa, fornita allora dai dirigenti del Partito Comunista
d'Italia, ma anche a quella che in tempi più recenti, seppur con
opposta valenza, è stata offerta dalla storiografia legata al
Pci/Pds/Ds.
Infatti, per motivare la propria dissociazione dagli Arditi del popolo
decisa dall'Esecutivo del PcdI, venne sostenuto che questi si
limitavano all'obiettivo di ristabilire "l'ordine" e la
normalità della vita sociale, mentre l'obiettivo dei comunisti
era la lotta proletaria fino alla vittoria rivoluzionaria (si veda
«L'Ordine Nuovo» del 21 luglio 1921).
Tale accusa, come già detto, non trova conferme nella quasi
totalità delle coeve prese di posizione degli Arditi del popolo,
ad eccezione di un manifesto della sezione degli Arditi del popolo di
Alessandria (pubblicato, forse non a caso, sul quotidiano socialista
«Avanti!» del 30 luglio 1921), indirizzato ai lavoratori
d'ogni partito e che si concludeva col proposito apparentemente
legalitario: "Noi lottiamo per ristabilire in Italia il diritto e la
giustizia".
Obiettivo questo certo limitato, ma che comunque proveniva da
un'organizzazione di fatto già messa fuorilegge dallo Stato e
che comunque non parlava di democrazia. D'altro canto, riferirsi in
termini di democrazia all'Italia monarchica di Giolitti, Bonomi e Facta
sarebbe stato e rimane un anacronismo politico. Infatti all'ombra del
reale dispotismo dei Savoia - come osservava Pietro Gobetti - non si
era compiuta neppure una "rivoluzione liberale", tanto che a circa
metà dei cittadini - ossia alle donne - era ancora negato il
diritto al voto.
Al contrario, nelle dichiarazioni programmatiche, nei manifesti e
persino negli inni degli Arditi del popolo, pur incentrandosi sugli
scopi di difesa proletaria e contrasto allo squadrismo tricolorato, non
mancarono certo i richiami sovversivi e le motivazioni classiste a
favore di una totale emancipazione dei lavoratori, come ben documentato
da Ferdinando Cordova (Arditi e legionari dannunziani, Marsilio, Padova
1969, ripubblicato di recente da Manifesto Libri).
Questa connotazione radicale in sintonia con la predominanza
anarco-comunista tra gli aderenti, dopo che il socialista massimalista
Mingrino s'impadronì della direzione politica dell'associazione
ardito-popolare, fu soprattutto rivendicata dalla minoranza raccolta
attorno a Secondari e al giornale «L'Avanguardia sociale».
Gli Arditi del popolo, nel considerarsi "sovversivi nel senso
più vasto della parola", non aspiravano infatti a dare vita ad
un partito rivoluzionario, ma a sviluppare e organizzare l'azione
contro le violenze antiproletarie dei "soldati di ventura" ingaggiati
dalla "borghesia mandataria e fautrice di movimenti reazionari e
conservatori", cercando di raccogliere gli ex-arditi di guerra e i
reduci del primo conflitto imperialista prima che cadessero preda della
retorica nazionalista di Mussolini, come avvenne a Milano.
Infatti dove invece questo tentativo riuscì, come a Roma e
Parma, i fascisti incontrarono rilevanti problemi d'agibilità in
diversi quartieri anche durante la mitizzata Marcia su Roma; mentre
nelle situazioni in cui il movimento operaio non fu capace o
rinunciò ad attrarre a sé gli ex-combattenti
dimostrò tutta la propria inadeguatezza - anche nelle sue
componenti rivoluzionarie - nel fronteggiare l'assalto militare
lanciato dai fascisti e dalle forze repressive statali.
Anche la leggenda attorno agli "Arditi di Nitti", ossia sul presunto
appoggio che il precedente presidente del consiglio avrebbe assicurato
agli arditi guidati dall'anarchico Argo Secondari, nel ricalcare le
mistificate e infamanti informazioni fornite dal dirigente del PcdI
Ruggero Grieco davanti al Comintern, risulta del tutto infondata. Come
evidenziato dagli storici Marco Grispigni e Eros Francescangeli,
già pochi giorni dopo la fondazione degli Arditi del popolo e la
loro prima dimostrazione di forza all'Orto Botanico a Roma, la testata
nittiana «Il Paese» iniziò a pronunciarsi a favore
del loro disarmo e del nefasto trattato di pacificazione che poche
settimane dopo sarebbe stato congiuntamente sottoscritto dai fascisti
assieme al Psi e alla CGdL.
Come accennato all'inizio, in tempi più recenti, la leggenda
degli Arditi del popolo impegnati a "difendere la democrazia" è
stata rilanciata proprio da alcuni storici legati al percorso politico
del Pci per appropriarsi indebitamente della loro memoria, giungendo
persino al recupero delle Barricate dell'Oltretorrente del '22 e al
loro strumentale utilizzo politico di volta in volta contro la
violenza, il terrorismo, la mafia… (si veda la ricerca di William
Gambetta e Massimo Giuffredi, Memorie d'agosto. Letture delle Barricate
antifasciste di Parma del 1922, Edizioni Punto Rosso, Milano 2007). E'
il caso, ad esempio, delle memorie del comunista livornese Danilo Conti
(Gli Arditi del popolo, in «Dimensioni» n. 20/1981) che
come Paolo Spriano rimuove tutti gli aspetti antagonisti e di classe
del primo antifascismo, o del lavoro, peraltro dignitoso, di Ivan
Fuschini, autore de Gli Arditi del popolo (con prefazione di Arrigo
Boldrini, Longo Editore, Ravenna 1994) che ne ha fornito
un'interpretazione in chiave democratica, connessa in modo alquanto
disinvolto alla Resistenza di un ventennio dopo che, come sappiamo, fu
un'altra storia; pur se numerosi protagonisti del primo antifascismo si
ritrovarono a combattere per un'effettiva liberazione sociale contro
gli immutati nemici.
emmerre