C'è stato un tempo che i fascisti, in certi quartieri, non si
facevano vedere. Sapevano bene che in periferia la gente ha la memoria
lunga e loro non erano graditi.
Poi il tempo passa, la memoria sbiadisce, la guerra di classe cede il
passo alla guerra tra poveri, i militari girano per le strade. I
fascisti rimettono fuori il naso.
Ma c'è chi, come gli antirazzisti, alla guerra tra poveri, ai
militari nelle strade, alle retate di immigrati, alle leggi razziste,
al fascismo che avanza non è disposto a rassegnarsi.
Sabato mattina, è il 23 maggio ma a Torino fa caldo come ad
agosto, all'angolo tra piazza della Repubblica e via Milano, c'è
un gazebo de la Destra. A metà mattina il gazebo rovina a terra.
In giro ci sono gli alpini. Due antirazzisti, Marco e Fabio, sono
fermati e poi arrestati e portati al carcere delle Vallette.
Nel pomeriggio alcuni antirazzisti, accorsi alla notizia degli arresti,
hanno fatto un giro informativo per il mercato di Porta Palazzo e per
il Balon.
Il giorno dopo è domenica: a Porta Palazzo, nella zona del
mercato abusivo degli immigrati, è stato fissato un appuntamento
per esprimere solidarietà ai compagni arrestati. Si raduna una
sessantina di solidali: dopo qualche intervento e un po' di musica,
parte un mini corteo informativo che attraversa la grande piazza e fa
un breve giro in centro.
R. Em
L'udienza si è aperta con quella che doveva essere la
novità dell'accusa: una perizia di cui la difesa era del tutto
all'oscuro. Si tira fuori la "prova" calligrafica che in realtà
non può provare nulla in quanto, per antonomasia, priva di
scientificità. Naturalmente la difesa andrà a verificare
con una sua perizia questo sostituto di prova, guarda caso "venuto
fuori" in mancanza d'altro, ad un anno e mezzo dagli arresti!
L'accusa ha così presentato il suo principale teste, il
colonnello dei ROS Fabi, per così dire il regista di tutta
l'operazione, in perfetta sintonia con il pm Manuela Comodi, al punto
da correggersi reciprocamente espressioni e domande, il colonnello di
Perugia ha tentato con estrema difficoltà di rappresentare il
teorema che sorregge l'operazione.
Il tentativo come era già evidente dall'ordinanza che richiedeva
l'arresto il 23 ottobre dei 5 ragazzi spoletini, (per uno di essi non
vi erano nemmeno le prove per richiedere il rinvio a giudizio),
è stato quello di collegarli strettamente alle organizzazioni
anarcoinsurrezionaliste. In realtà l'operazione politica
è evidente, Michele e gli altri "sono anarchici" e perciò
non potevano che essere loro.
Ciò è emerso senza dubbio alcuno quando ad interrogare
Fabi, dopo il pm, è arrivata la difesa di Michele con l'avvocato
Marco Lucentini. Fabi è caduto in continue contraddizioni, non
riuscendo a spiegare come mai le indagini si sono concentrate subito
contro Fabiani.
Strano personaggio il colonnello dei ROS, da una parte ha una memoria
eccezionale, ricorda perfino che due giorni prima dell'incendio erano
state comprate due bottiglie di alcol identiche a quelle usate
nell'incendio, mentre dall'altra non è andato nemmeno a
controllare dove fosse il Fabiani al momento della vendita di quelle
bottiglie. Lo ha dovuto ricordare Lucentini, a Fabi e alla Corte,
Michele era al lavoro!
A quel punto Fabi, evidentemente indispettito nel vedere la sua
inchiesta incrinarsi pericolosamente, si è un po' agitato. Ha
prima detto che gravissimo indizio, a suo avviso, era che Fabiani fosse
a Spoleto in quei giorni. Ovviamente i difensori gli hanno ricordato
che Fabiani vive, viveva, studia, studiava e lavorava a Spoleto,
così come altre 40 mila persone. Allora il colonello testimone
dell'accusa ha dichiarato, ricalcando nel nervosismo, proprio lo stesso
banale esempio di Frosinone tratto dalle espressioni di Lucentini: "Lo
sa che le dico? Che anche se il cellulare del Fabiani fosse stato a
Frosinone, io avrei lo stesso sospettato che l'imputato lo avesse dato
ad un complice per coprire le sue tracce!"
Nessuna confessione più esplicita poteva provenire dal massimo
esponente del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri sul modo
prevenuto e pregiudizievole con cui sono iniziate prima e proseguite
poi le indagini.
L'escussione del teste dell'accusa, dopo 8 ore, è stata interrotta.
Proseguirà fra un mese e mezzo, il 30 giugno alle 9, quando
completeranno il controesame l'altro difensore di Michele e gli
avvocati degli altri 3 ragazzi (Damiano Corrias, Dario Polinori e
Dinucci Andrea) sotto processo in Corte d'Assise per un'inchiesta ogni
giorno più debole.
Comitato 23 ottobre
Sono durate tre giorni le iniziative organizzate dall'Onda torinese
contro il G8 dell'Università. Il rettore del Politecnico,
Profumo, promotore dell'incontro svoltosi dal 17 al 19 maggio al
castello del Valentino, sede della facoltà di architettura, ha
dovuto fare i conti con tre giorni di contestazione. Prudentemente,
temendo l'Onda e le possibili mareggiate, ministri e politici di primo
piano si sono tenuti alla larga.
Nei fatti il movimento dell'Onda, che all'ombra della Mole era ormai
nella più ferma bonaccia da mesi, pur infastidendo per tre
giorni la kermesse del Valentino, non è mai riuscito a
coinvolgere la gran parte degli studenti, che sono rimasti in buon
numero alla finestra.
I medi e le reti di genitori e insegnanti delle elementari, grandi
protagonisti delle lotte di autunno, non si sono visti. Quelli delle
facoltà umanistiche si sono goduti tre giorni di vacanze fuori
programma, perché il rettore Pellizzetti, temendo che il palazzo
di via S. Ottavio sfuggisse al suo controllo, ha chiuso a sorpresa la
principale sede dell'Ateneo durante il summit. Agli autonomi del
collettivo universitario non è rimasto che ripiegare sulla
palazzina "Aldo Moro", una dependance con tre o quattro aule, occupata
e ribattezzata "Block G8 Building". Qui si sono tenuti incontri,
concerti, assemblee. All'incontro internazionale, dove hanno parlato
anche studenti tedeschi, francesi, greci, svoltosi lunedì 18
erano presenti una cinquantina di persone.
I "moderati" si sono dati appuntamento per un campeggio, sponsorizzato
dal Comune, al Valentino. La loro iniziativa più importante, un
corteo caratterizzato dallo stile pink/silver della Torino Samba band
in versione Clown Army, si è svolto domenica 17. Vi ha preso
parte qualche centinaio di studenti.
Lunedì 18 una trentina di studenti ha aperto uno striscione e
tirato qualche gavettone d'acqua a quelli dell'antisommossa schierati
di fronte al Castello del Valentino. Subito è partita una carica
ordinata dal vicequestore Spartaco Mortola, uno che i gradi se li era
guadagnati durante un altro G8, quello di Genova. Segue una mezza
mattinata con gli studenti che girano la città tallonati dalla
polizia, mettendo di tanto in tanto qualche cassonetto in mezzo alla
strada. In via Roma, quando gli studenti sono diventati una
cinquantina, parte una nuova carica di alleggerimento. Un'esponente di
Rifondazione ne esce con un braccio rotto.
Nel pomeriggio un gruppetto di studenti del Politecnico armati di
striscione "fuori le aziende dall'Università" occupa gli uffici
della General Motors Powertrain Europe, che hanno sede all'interno
delle strutture del Politecnico. Gli occupanti fanno un'assemblea,
redigono un documento e pongono poi fine spontaneamente all'iniziativa.
Il giorno successivo c'è il corteo dei Block G8. La partenza
è fissata per le 10 ma a quell'ora, davanti alla palazzina Aldo
Moro, non ci sono più di un centinaio di persone. Il corteo
partirà ben dopo mezzogiorno, dopo l'arrivo del gruppo
proveniente di Milano. Oltre agli studenti ci sono i precari della
ricerca e i lavoratori delle biblioteche e, in fondo, un gruppetto di
Rifondazione, il partito che il sindaco Chiamparino ha appena buttato
fuori dalle poltrone dell'amministrazione. In tutto circa duemila
manifestanti. Il corteo sfila di corsa, senza soste per arrivare al
Valentino prima della chiusura del summit prevista per le 13,30.
Lo schieramento predisposto dalla Questura è imponente. Le prime
file avanzano incordonate ma non arriveranno mai a contatto con i
poliziotti che sparano un inferno di lacrimogeni. In pochi minuti corso
Marconi, la strada che porta al Castello, è avvolta in una fitta
nebbia bianca e gli uomini in divisa sono padroni della strada. Nel
quartiere di S. Salvario, durante la ritirata, un po' di cassonetti
vengono messi in strada, un paio di auto e il dehor di un bar subiscono
danni. Il giorno successivo gli autonomi annunciano che rifonderanno il
proprietario del bar. Durante la carica, uno studente di Milano viene
arrestato con l'accusa di danneggiamento e resistenza e tradotto in
carcere. In mattinata, prima della partenza del corteo, era stato
fermato e poi arrestato un operaio torinese, che pare avesse con
sé petardi e benzina. Due giorni dopo il tribunale
convaliderà entrambi gli arresti.
R. Em.
Il compagno Uri Gordon, di "anarchici contro il muro", una rete che,
nell'Israele dell'apartheid, sostiene attivamente la resistenza della
popolazione dei villaggi palestinesi contro la barriera di separazione,
ha tenuto una conferenza a Torino il 12 maggio.
Una serata densa, dove il racconto delle azioni si è intrecciato
con la storia di un movimento, quello anarchico israeliano, che trova
le proprie origini nelle sperimentazioni autogestionarie e comuniste
dei primi kibbutz. Nato e vissuto in Israele, Uri fa le sue prime,
decisive, esperienze politiche e di lotta sociale nell'Inghilterra di
fine anni '90, quando il movimento no global è nella fase
ascendente della sua parabola. Viene influenzato da un anarchismo delle
reti e delle relazioni, leggero nelle forme organizzative,
culturalmente pervaso dalla lettura dei poststrutturalisti.
"Anarchici contro il muro" si possono rappresentare come un ponte. Un
ponte contro il muro di separazione simbolica e reale tra due
popolazioni. Un ponte fatto di gente che si incontra, discute,
collabora, agisce insieme. Questa l'intuizione semplice e radicale
degli anarchici israeliani. La maggior parte di loro sono cresciuti in
un paese sempre più dominato dalla paura, dall'odio, sempre
più separato dai territori occupati durante la guerra dei 6
giorni nell'ormai lontano '67. Almeno due generazioni di palestinesi
sono nate e vissute nella Cisgiordania occupata, dove il filo spinato,
i posti di blocco, la presenza costante dei militari hanno fatto parte
del panorama quotidiano ben prima che l'inevitabile fallimento della
cosiddetta "pace" di Oslo portasse alla rivolta, all'intifada.
Il muro di separazione che taglia come un mostruoso serpente la
Cisgiordania non fa che rendere visibile la frattura tra due
società che la geografia vorrebbe vicine ma la politica statuale
divide.
I giovani anarchici israeliani lottano contro il muro di cemento, la
fitta selva di filo spinato, i fossati che materialmente creano una
serie di bantustan nei quali è relegata la popolazione
palestinese, ma anche contro il muro di diffidenza e odio.
Il percorso che li ha portati a costituirsi in gruppo parte dalla
volontà di conoscere la realtà al di là della
rappresentazione mediatica, recandosi nei territori, costruendo
relazioni dirette, conoscendo e facendosi conoscere.
Uri così descrive la loro azione "Gli Anarchici Contro Il Muro
sono una bandiera nel cui nome vengono compiute azioni che sono in
radicale opposizione all'occupazione e alle sue cause più
profonde: il sistema politico, militare e civile, che all'interno di
Israele sostiene l'occupazione.
Gli ACIM cercano di evitare il peso eccessivo ed ingombrante delle
impalcature ideologiche, per assumere come proprio centro di
gravità le pratiche – ma non come "praxis". Il che non implica –
naturalmente – che l'analisi teorica ed i principi non siano necessari,
dal momento che noi vi facciamo ricorso quando occorre decostruire i
miti dell'apartheid sionista. Tuttavia, in questo momento, le
individualità che compongono gli ACIM preferiscono dedicarsi,
armati di corde da rocciatori, di tronchesi per il fil di ferro e di
mazze pesanti, alla decostruzione del muro di Israele e ad esprimere il
loro dissenso contro i blocchi stradali messi dall'esercito israeliano."
R. Em.
Nei primi mesi del 2009, precisamente l'8 marzo, è stata
ufficialmente presentata la "Rete per l'educazione libertaria" che
nasce grazie all'iniziativa di un gruppo di educatori, insegnanti,
studenti e genitori. L'incontro è avvenuto a villa Buri, presso
Verona, sede della scuola Kiskanu, piccola scuola privata di stampo
libertario, tra i fautori dell'iniziativa.
Scopo fondamentale della Rete è di contribuire, attraverso
azioni e iniziative, alla conoscenza e alla diffusione delle esperienze
concrete di un'educazione antiautoritaria e libertaria.
Gli aderenti si riconoscono nella seguente risoluzione approvata al
congresso internazionale dell'educazione democratica svoltosi a Berlino
nel 2005: "Noi sosteniamo che, in qualsiasi contesto educativo, i
bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, hanno il diritto di
decidere individualmente, come, quando, che cosa, dove e con chi
imparare e abbiano il diritto di condividere in modo paritario le
scelte che riguardano i loro ambiti organizzati, in modo particolare le
loro scuole, stabilendo, se ritenuto necessario, regole e sanzioni."
La Rete per l'educazione libertaria si propone di organizzare convegni
e incontri sui temi dell'educazione, di produrre documenti di critica e
di riflessione, di fornire un supporto organizzativo, didattico e
culturale a esperienze in fieri o già in atto e una consulenza
attiva a insegnanti, educatori, genitori, ecc., che ne facciano
richiesta per perfezionare o iniziare nuove relazioni dialogiche e
antiautoritarie.
Il sito su cui si possono trovare ulteriori notizie e approfondimenti,
indicazioni su realtà esistenti in Italia e all'estero, link con
altri siti, nonché schede su libri e film legati al tema
dell'educazione antiautoritaria è: www.educazionelibertaria.org
Elisabetta
Domenica 24 maggio: gli immigrati rinchiusi nel Cie di Bologna fanno sapere che all'interno continuano le proteste.
La situazione é molto calda: in una quindicina sono in sciopero
della fame e all'interno del centro alcuni detenuti continuano a
tagliarsi e a ingoiare oggetti.
RedB