Intorno alle 4.40 del 4 giugno, a Bologna una mano ignota ha
appiccato il fuoco al portone della sede dell'associazione neofascista
CasaPound. In quel momento, all'interno della sede stavano dormendo il
dirigente Alessandro Vigliani e la fidanzata. La Polizia, chiamata
subito sul posto da Vigliani, ha spento le fiamme con un estintore
prima dell'arrivo dei Vigili del Fuoco. Sul posto sono stati trovati
scampoli di stoffa imbevuti di liquido infiammabile e i resti di una
tanica in plastica da 5 litri.
Secondo gli inquirenti i piromani hanno organizzato nei dettagli il
gesto, ma l'attentato incendiario non avrebbe comunque potuto
danneggiare altro che la porta esterna d'ingresso. Ovviamente i
neofascisti hanno sfruttato al massimo l'occasione per posare da bravi
ragazzi perseguitati, lagnandosi sui giornali di un «attentato
alle nostre vite».
Certo fa impressione che un'organizzazione dichiaratamente neofascista
e violenta come CasaPound si scandalizzi delle intimidazioni solamente
nei rari casi in cui le subisce, mentre in tutt'Italia pratica con
sistematicità l'aggressione squadrista e il suo guru indiscusso,
Gianluca Iannone, ha una spiccata e documentata attitudine per il
pestaggio. «Nel dubbio mena» è uno dei motti
preferiti e più applicati dai militanti di CasaPound. Sbarcando
a Bologna avevano promesso «panico», e anche recentemente
hanno rivendicato il valore del «pugno nello stomaco» e del
«calcio nei denti».
Allo stesso modo, pare indecente e ipocrita lo sdegno della destra
razzista e xenofoba, che a Bologna non è mai riuscita, in questi
anni, a prendere le distanze nemmeno dalle svastiche sui monumenti
partigiani, dagli attentati incendiari contro i migranti, dai pestaggi
e dalle continue angherie e minacce contro studenti, giovani di
sinistra e malvestiti. Una destra neo e/o «postfascista»
che non intende davvero tagliare i ponti né con le proprie
origini totalitarie e antisemite, né con il proprio passato
stragista, né con il proprio presente di violenza legale e
illegale.
Non sorprende, del resto, che i giornali di regime diano regolarmente
spazio ad Alessandro Vigliani senza mai ricordare il suo curriculum
noto e meno noto di nazistoide violento, fra cui spicca una denuncia –
e copiamo il pomposo linguaggio dei tribunali – «per associazione
per delinquere finalizzata alle lesioni personali, al porto abusivo di
armi improprie, alla violenza privata ed alla discriminazione, all'odio
o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»
(traduzione: un gruppo organizzato che picchiava migranti). In tempi di
crisi i neofascisti vanno coccolati dalla stampa borghese e ogni voce
critica va invece criminalizzata. Come sorprendersi? Era già
successo negli anni Venti.
Resta il fatto che l'attentato incendiario contro CasaPound non
è stato rivendicato da nessuno e può averlo compiuto
chiunque. Invece i leader di CasaPound hanno le idee chiare tanto che
paiono candidarsi a dirigere la Questura. «Non si tratta di Tpo,
Crash o centri sociali. Le forme politiche organizzate non fanno queste
cose», dichiara Vigliani al Resto del Carlino. E il responsabile
Massimiliano Mazzanti parla allusivamente dei «professionisti
dell'antifascismo». Non da oggi i neofascisti di CasaPound usano
i giornalisti amici per criminalizzare quella parte del movimento
antifascista bolognese che svolge un lavoro permanente di denuncia e
inchiesta sul fenomeno neofascista in città e sui suoi appoggi
istituzionali. Un lavoro pubblico, alla luce del sole, organizzato in
assemblea aperta, da persone che si riconoscono nei valori
dell'antifascismo (http://assembleantifascistabologna.noblogs.org). Ed
è una conferma che ciò che più irrita e ostacola
il neofascismo è la lotta e la contestazione sociale. Oggi si
tratta anzitutto di contrastare nella testa della gente ogni spazio per
idee nazionaliste e pratiche razziste e sessiste. Si devono chiudere
gli spazi di agibilità sociale e mentale per chi predica e
pratica, palesemente o meno, l'odio e l'intolleranza.
Intanto, una prima risposta neofascista non si è fatta
attendere. Nella notte del 5 giugno è comparsa una grande
scritta nera sul sacrario partigiano di piazza Maggiore: «W il
Duce! Onore a Gelli!», con due croci celtiche. Ed è una
rivendicazione esplicita del totalitarismo fascista e del golpismo e
stragismo neofascista. Al vittimismo lamentoso sui giornali si unisce,
di notte, la minaccia indiretta, ma inequivocabile.
RedB