L'articolo di seguito, liberamente
tratto da uno scritto di Carlos Crespo Flores, apparso su "El
Libertario" di Caracas (a. 14, n. 55), mette in evidenza alcuni aspetti
delle politiche idriche del governo Morales.
Da mesi il governo boliviano ha diffuso la notizia che la nuova
Costituzione (CPE) avrebbe abolito la partecipazione privata nel
settore idrico. Così, in una conferenza sul tema tenuta in
Messico nel novembre dello scorso anno, il governo sottolineava come il
nuovo testo annullasse le concessioni ai privati e il Presidente
dell'Assemblea costituente Silvia Lazarte affermava: "la costituzione
stabilisce che l'acqua non può essere privatizzata".
(http://abi.bo)
La stampa dal canto suo scriveva: "la nuova costituzione garantisce che
i servizi idrici non saranno privatizzati in quanto l'acqua rientra
nella categoria di diritto fondamentale.
(http://www.tarijalibre.tarijaindustrial.com)
La costituzione assegna allo stato un ruolo preminente nella gestione
dell'acqua potabile e dei servizi sanitari: "E' dovere dello Stato
gestire, regolare, proteggere e pianificare l'uso adeguato e
sostenibile delle risorse idriche, per mezzo della partecipazione
sociale, garantendo l'accesso all'acqua a tutti gli abitanti" (art.
347). Allo stesso tempo essa stabilisce che "le risorse idriche non
potranno essere oggetto di appropriazione da parte dei privati e tanto
queste come i servizi idrici non potranno essere dati in concessione e
sono soggetti a un regime di licenze, registrazioni e autorizzazioni
conformi alla legge" (art. 373 inc. II).
Questo significa che le risorse idriche non saranno privatizzate;
però, anche se è scritto che il servizio non sarà
dato in concessione, tuttavia non si fa nessun tipo di riferimento ad
altre forme di partecipazione privata. L'articolo 309 chiarisce la
questione, introducendo l'impresa mista, pubblica-privata, tra le
possibilità di gestione del servizio: "i servizi di base per
l'acqua potabile e i servizi sanitari sono amministrati direttamente o
per mezzo di imprese pubbliche, comunitarie, cooperative o miste" (art.
309).
Di fatto, tra le forme di organizzazione economica riconosciute nella
nuova Costituzione ci sono la comunitaria, la statale, la cooperativa
privata e sociale, che "potranno costituire imprese miste" (art. 306,
inc. IV). Insomma, contraddicendo quel che affermano il governo e gli
intellettuali organici ad esso, nonostante la maggiore presenza statale
nella gestione delle risorse idriche e dei suoi servizi, la
partecipazione privata non solo non scompare, ma viene
costituzionalizzata attraverso l'introduzione dell'impresa mista,
figura giuridica che non esisteva nella prima versione della
Costituzione approvata dall'Assemblea costituente a Oruro, dove era
scritto che i servizi pubblici sarebbero stati amministrati
"direttamente o per mezzo di imprese pubblico-comunitarie" (art. 310).
Due fattori correlati tra loro sono alla radice di questo cambiamento:
da un lato la crisi generale dei modelli di privatizzazione dei servizi
per l'acqua potabile nel mondo, dall'altra la resistenza sociale che
essi hanno generato; ciò ha obbligato la cooperazione
internazionale a ripensare i modi della partecipazione privata e la
più diffusa è ormai la cosiddetta "società
pubblico-privata", o impresa mista. La forma classica di
privatizzazione o concessione totale del servizio è qualcosa di
indifendibile a questo punto, ma non così la sinergia tra
pubblico e privato. E la Bolivia non fa eccezione; la figura
dell'impresa mista arriva proprio attraverso la cooperazione
internazionale. Non dimentichiamo che il finanziamento del settore di
gestione dell'acqua potabile e del sistema fognario all'interno del
Piano nazionale di sviluppo (528 milioni di dollari) fondamentalmente
proviene da prestiti e donazioni da parte della cooperazione
internazionale. Oggi organismi come il BID (banco interamericano de
desarollo) e la GTZ/KfW (banca di sviluppo tedesca), difensori e
promotori dei modelli misti, sono i principali finanziatori dei servizi
di acqua potabile e irrigazione. Il BID finanzia il programma nazionale
di irrigazione (25 milioni di dollari), quello per l'accesso all'acqua
potabile da parte delle piccole comunità (24,5 milioni di
dollari) e anche il programma di sviluppo urbano di La Paz è
supportato da un prestito del BOD. La KfW a sua volta appoggia progetti
per l'acqua potabile e il sistema fognario in piccole comunità
(25 milioni di dollari) e progetti di irrigazione (12,1 milioni di
dollari).
E' evidente come il governo boliviano abbia ceduto alla pressione e
alle condizioni poste da questi finanziatori, accettando l'impresa
mista come modello di gestione dei servizi idrici.
Questo fatto senza dubbio può servire da modello per il tipo di
gestione dei servizi idrici anche a La Paz/el Alto – ancora in
discussione – aprendo la strada all'introduzione dell'impresa mista in
quelle città.
Il dilemma a questo punto si pone per le organizzazioni sociali di El
Alto, particolarmente per la FEJUVE (Federación de Juntas
Vecinales), a capo della resistenza alle multinazionali dell'acqua
Illimani/Suez: metteranno in discussione il quadro normativo
costituzionale, al quale oggi sono totalmente fedeli, sebbene questo
sia in contraddizione con quel principio antiprivatizzatore che ha
orientato la lotta in difesa dell'acqua?
Oggi il movimento nazionale dell'acqua, avendo deciso di appoggiare il
governo, in generale è neutralizzato nella sua capacità
di azione collettiva autonoma, pertanto difficilmente nascerà un
movimento autonomo critico verso la costituzionalizzazione della
partecipazione privata nel settore acqua attraverso le imprese miste.
La subordinazione del governo boliviano nei confronti della
cooperazione internazionale, in un tema fondamentale come quello
dell'acqua, mostra due cose: innanzitutto che, nonostante la retorica
antimperialista dei governanti, la Bolivia continua a essere un paese
sottomesso al potere sovranazionale delle multinazionali e degli
organismi di cooperazione internazionale. In secondo luogo che governi
autodefiniti come antiliberali e di sinistra, e che rivendicano una
matrice indigena – come nel caso boliviano – non garantiscono la difesa
dell'acqua e dei servizi idrici dalla mercificazione, ma al contrario
continuano a perseguire la privatizzazione e il rispetto alla
disciplina del mercato.