Umanità Nova, n.23 del 14 giugno 2009, anno 89

Acqua s.p.a.


L'articolo di seguito, liberamente tratto da uno scritto di Carlos Crespo Flores, apparso su "El Libertario" di Caracas (a. 14, n. 55), mette in evidenza alcuni aspetti delle politiche idriche del governo Morales.
    
Da mesi il governo boliviano ha diffuso la notizia che la nuova Costituzione (CPE) avrebbe abolito la partecipazione privata nel settore idrico. Così, in una conferenza sul tema tenuta in Messico nel novembre dello scorso anno, il governo sottolineava come il nuovo testo annullasse le concessioni ai privati e il Presidente dell'Assemblea costituente Silvia Lazarte affermava: "la costituzione stabilisce che l'acqua non può essere privatizzata". (http://abi.bo)
La stampa dal canto suo scriveva: "la nuova costituzione garantisce che i servizi idrici non saranno privatizzati in quanto l'acqua rientra nella categoria di diritto fondamentale. (http://www.tarijalibre.tarijaindustrial.com)
La costituzione assegna allo stato un ruolo preminente nella gestione dell'acqua potabile e dei servizi sanitari: "E' dovere dello Stato gestire, regolare, proteggere e pianificare l'uso adeguato e sostenibile delle risorse idriche, per mezzo della partecipazione sociale, garantendo l'accesso all'acqua a tutti gli abitanti" (art. 347). Allo stesso tempo essa stabilisce che "le risorse idriche non potranno essere oggetto di appropriazione da parte dei privati e tanto queste come i servizi idrici non potranno essere dati in concessione e sono soggetti a un regime di licenze, registrazioni e autorizzazioni conformi alla legge" (art. 373 inc. II).
Questo significa che le risorse idriche non saranno privatizzate; però, anche se è scritto che il servizio non sarà dato in concessione, tuttavia non si fa nessun tipo di riferimento ad altre forme di partecipazione privata. L'articolo 309 chiarisce la questione, introducendo l'impresa mista, pubblica-privata, tra le possibilità di gestione del servizio: "i servizi di base per l'acqua potabile e i servizi sanitari sono amministrati direttamente o per mezzo di imprese pubbliche, comunitarie, cooperative o miste" (art. 309).
Di fatto, tra le forme di organizzazione economica riconosciute nella nuova Costituzione ci sono la comunitaria, la statale, la cooperativa privata e sociale, che "potranno costituire imprese miste" (art. 306, inc. IV). Insomma, contraddicendo quel che affermano il governo e gli intellettuali organici ad esso, nonostante la maggiore presenza statale nella gestione delle risorse idriche e dei suoi servizi, la partecipazione privata non solo non scompare, ma viene costituzionalizzata attraverso l'introduzione dell'impresa mista, figura giuridica che non esisteva nella prima versione della Costituzione approvata dall'Assemblea costituente a Oruro, dove era scritto che i servizi pubblici sarebbero stati amministrati "direttamente o per mezzo di imprese pubblico-comunitarie" (art. 310).
Due fattori correlati tra loro sono alla radice di questo cambiamento: da un lato la crisi generale dei modelli di privatizzazione dei servizi per l'acqua potabile nel mondo, dall'altra la resistenza sociale che essi hanno generato; ciò ha obbligato la cooperazione internazionale a ripensare i modi della partecipazione privata e la più diffusa è ormai la cosiddetta "società pubblico-privata", o impresa mista. La forma classica di privatizzazione o concessione totale del servizio è qualcosa di indifendibile a questo punto, ma non così la sinergia tra pubblico e privato. E la Bolivia non fa eccezione; la figura dell'impresa mista arriva proprio attraverso la cooperazione internazionale. Non dimentichiamo che il finanziamento del settore di gestione dell'acqua potabile e del sistema fognario all'interno del Piano nazionale di sviluppo (528 milioni di dollari) fondamentalmente proviene da prestiti e donazioni da parte della cooperazione internazionale. Oggi organismi come il BID (banco interamericano de desarollo) e la GTZ/KfW (banca di sviluppo tedesca), difensori e promotori dei modelli misti, sono i principali finanziatori dei servizi di acqua potabile e irrigazione. Il BID finanzia il programma nazionale di irrigazione (25 milioni di dollari), quello per l'accesso all'acqua potabile da parte delle piccole comunità (24,5 milioni di dollari) e anche il programma di sviluppo urbano di La Paz è supportato da un prestito del BOD. La KfW a sua volta appoggia progetti per l'acqua potabile e il sistema fognario in piccole comunità (25 milioni di dollari) e progetti di irrigazione (12,1 milioni di dollari).
E' evidente come il governo boliviano abbia ceduto alla pressione e alle condizioni poste da questi finanziatori, accettando l'impresa mista come modello di gestione dei servizi idrici.
Questo fatto senza dubbio può servire da modello per il tipo di gestione dei servizi idrici anche a La Paz/el Alto – ancora in discussione – aprendo la strada all'introduzione dell'impresa mista in quelle città.
Il dilemma a questo punto si pone per le organizzazioni sociali di El Alto, particolarmente per la FEJUVE (Federación de Juntas Vecinales), a capo della resistenza alle multinazionali dell'acqua Illimani/Suez: metteranno in discussione il quadro normativo costituzionale, al quale oggi sono totalmente fedeli, sebbene questo sia in contraddizione con quel principio antiprivatizzatore che ha orientato la lotta in difesa dell'acqua?
Oggi il movimento nazionale dell'acqua, avendo deciso di appoggiare il governo, in generale è neutralizzato nella sua capacità di azione collettiva autonoma, pertanto difficilmente nascerà un movimento autonomo critico verso la costituzionalizzazione della partecipazione privata nel settore acqua attraverso le imprese miste.
La subordinazione del governo boliviano nei confronti della cooperazione internazionale, in un tema fondamentale come quello dell'acqua, mostra due cose: innanzitutto che, nonostante la retorica antimperialista dei governanti, la Bolivia continua a essere un paese sottomesso al potere sovranazionale delle multinazionali e degli organismi di cooperazione internazionale. In secondo luogo che governi autodefiniti come antiliberali e di sinistra, e che rivendicano una matrice indigena – come nel caso boliviano – non garantiscono la difesa dell'acqua e dei servizi idrici dalla mercificazione, ma al contrario continuano a perseguire la privatizzazione e il rispetto alla disciplina del mercato.

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