"Vincere" di Marco Bellocchio
L'ultimo lavoro di Bellocchio, tecnicamente più lineare di altri
suoi film, è sostenuto dall'esplicita intenzione di far
riemergere la memoria storica su alcune delle salienti tappe che hanno
segnato la storia d'Italia di inizio Novecento.
Nella prima parte del film Filippo Timi, con il giusto vigore, si cala
nei panni di un Benito Mussolini socialista e anticlericale, negli anni
in cui visse una passionale relazione con Ida Dalser, donna di
considerevole temperamento che lo sostenne in tutte le scelte politiche
che anticiparono la marcia su Roma: l'interventismo nella prima guerra
mondiale, la conseguente fuoriuscita dall'Avanti e dal partito
socialista.
Il film ha scatenato forti attacchi al regista dai paladini di destra
perché racconta di Benito Albino, figlio della Dalser e
Mussolini, del loro matrimonio celebrato in chiesa e non in municipio,
del fatto che lei rinunciò alla sartoria e agli immobili che
possedeva per permettergli di dar vita a Il popolo d'Italia, giornale
della dissidenza interventista e poi organo del partito fascista.
La scena del matrimonio è avvolta da un alone onirico: viene poi
ribadito che nonostante non siano mai stati trovati documenti scritti
sull'accaduto, numerose testimonianze concordino sulla ricostruzione
proposta da Vincere; la notizia era anche stata pubblicata negli anni
Cinquanta su La settimana illustrata ma ebbe poco credito perché
quegli anni furono segnati da un incalzante susseguirsi di report su
misfatti dell'epoca fascista che generarono una sorta di difficile
cernita sulla credibilità delle notizie. Il Mussolini del
periodo della "grande guerra" ha già chiari propositi politici e
deve disfarsi di tutto ciò che potrebbe ostacolarli; per
cancellare gli impegni presi con moglie e figlio, quale alleato
migliore della psichiatria?
Così Ida, interpretata con convincente passionalità da
Giovanna Mezzogiorno, continua a sostenere di aver contratto un valido
matrimonio con Mussolini e che dall'unione sia nato un figlio
legittimo, ma il muro di gomma che le si para di fronte reprime la sua
voce e il suo corpo e viene giudicata pazza: finisce in manicomio
legata, imbavagliata e costretta a subire le contenzioni fisiche in uso
all'epoca (per altro descritte con troppa bonarietà) in
compagnia di altre donne dal vissuto comune, la cui vita e morte
verranno cancellate da un oblìo crudele e le cui immagini
sofferenti ci accompagnano fin dall'inizio della visione come flash che
danno la percezione del rischio di un destino possibile per tutti.
Ida vive nella disillusione che il duce stia semplicemente mettendo
alla prova il suo amore, soffre per il forzato allontanamento dal
figlio (finito in collegio registrato col cognome della madre e dal
quale riuscirà a ricevere un'unica lettera) e da tutte le
persone che la potrebbero aiutare, ma non si lascerà mai
convincere a cambiare la versione dei fatti.
La resistenza alle innumerevoli forme repressive che il potere riesce
ad attuare, obbliga spesso a sperimentare strategie di autodifesa – che
potremmo anche chiamare situazioni di forzato adattamento – ma non fino
ad essere percepite come una completa perdita dell'autostima, come
autodiniego. Ida non può tradire se stessa, non può
recitare la parte della donna fascista tutta casa-chiesa, come le
suggerisce lo psichiatra "buono" pur nella consapevolezza che il
periodo storico consiglierebbe di saper tacere.
Nella seconda parte del film F. Timi interpreta Benito Albino ormai
adulto, a riprova della somiglianza col padre. Mussolini duce è
visto solo in filmati d'archivio, dai quali si evince una capillare
ricerca per il montaggio di Vincere.
Non è un film sul fascismo ma se ne sottolineano alcune cornici
sostanziali (ad esempio la spedizione punitiva delle camicie nere che
reprimono violentemente una festa da ballo socialista) e alcuni dei
passaggi storici più salienti.
Prima fra tutti la stipula dei Patti lateranensi del 11.02.1929,
perché se il matrimonio Dalser/Mussolini fosse stato contratto
secondo il Concordato probabilmente il destino di Ida sarebbe stato
diverso e perché il connubio di potere tra chiesa e stato
è presente in tutto il film e caratterizza le modalità di
gestione di tutte le istituzioni, non da ultime quelle psichiatriche. I
manicomi femminili sono gestiti da donne religiose autorecluse che si
fanno artefici dell'oppressione di altre donne, guidandole con morale
bigotta al "giusto ruolo della femminilità"; non manca la
visione di un gruppo di psichiatrizzati guidati da frati… pochi
fotogrammi per un'efficace puntualizzazione.
Ida non cede, Ida accusa chi l'ha derubata e non solo negli affetti,
Ida resiste scrivendo lettere che invia arrampicandosi sulle sbarre
della sua prigione ma, se il vento non aiuta, queste ricadono sul
terreno magari cosparso di neve. Il pensiero va però espresso, a
volte gridato… non tutte le parole si scioglieranno al sole: qualcosa
deve rimanere!
Ida e Benito Albino moriranno entrambi in manicomio prima della
Liberazione e se l'Italia è riemersa dal ventennio e dalle
guerre, anche per l'oggi forse non tutto è perduto…
La psichiatria, da quando esiste, svolge il suo ruolo repressivo affiancando poteri politici e religiosi.
Bellocchio non sembra voler dare agganci espliciti all'attualità
ma sicuramente offre spunti di riflessione su temi, simboli, linguaggi
e prese di posizione che non possono essere confinati al passato; non
dando per scontata nemmeno la circostanza e la data della morte del
duce, ci comunica di sentire la necessità di dare il suo
contributo alla memoria storica.
La società non può essere sorda nella sua interezza; un
pensiero può subire lo stravolgimento della propaganda o fatto
passare per deviante, ma se espresso potrà volare nel vento e
non sarà inutile.
chiara gazzola