Umanità Nova, n.23 del 14 giugno 2009, anno 89

Un monito di riflessione su fascismo, chiesa, guerra e psichiatria


"Vincere" di Marco Bellocchio

L'ultimo lavoro di Bellocchio, tecnicamente più lineare di altri suoi film, è sostenuto dall'esplicita intenzione di far riemergere la memoria storica su alcune delle salienti tappe che hanno segnato la storia d'Italia di inizio Novecento.
Nella prima parte del film Filippo Timi, con il giusto vigore, si cala nei panni di un Benito Mussolini socialista e anticlericale, negli anni in cui visse una passionale relazione con Ida Dalser, donna di considerevole temperamento che lo sostenne in tutte le scelte politiche che anticiparono la marcia su Roma: l'interventismo nella prima guerra mondiale, la conseguente fuoriuscita dall'Avanti e dal partito socialista.
Il film ha scatenato forti attacchi al regista dai paladini di destra perché racconta di Benito Albino, figlio della Dalser e Mussolini, del loro matrimonio celebrato in chiesa e non in municipio, del fatto che lei rinunciò alla sartoria e agli immobili che possedeva per permettergli di dar vita a Il popolo d'Italia, giornale della dissidenza interventista e poi organo del partito fascista.
La scena del matrimonio è avvolta da un alone onirico: viene poi ribadito che nonostante non siano mai stati trovati documenti scritti sull'accaduto, numerose testimonianze concordino sulla ricostruzione proposta da Vincere; la notizia era anche stata pubblicata negli anni Cinquanta su La settimana illustrata ma ebbe poco credito perché quegli anni furono segnati da un incalzante susseguirsi di report su misfatti dell'epoca fascista che generarono una sorta di difficile cernita sulla credibilità delle notizie. Il Mussolini del periodo della "grande guerra" ha già chiari propositi politici e deve disfarsi di tutto ciò che potrebbe ostacolarli; per cancellare gli impegni presi con moglie e figlio, quale alleato migliore della psichiatria?
Così Ida, interpretata con convincente passionalità da Giovanna Mezzogiorno, continua a sostenere di aver contratto un valido matrimonio con Mussolini e che dall'unione sia nato un figlio legittimo, ma il muro di gomma che le si para di fronte reprime la sua voce e il suo corpo e viene giudicata pazza: finisce in manicomio legata, imbavagliata e costretta a subire le contenzioni fisiche in uso all'epoca (per altro descritte con troppa bonarietà) in compagnia di altre donne dal vissuto comune, la cui vita e morte verranno cancellate da un oblìo crudele e le cui immagini sofferenti ci accompagnano fin dall'inizio della visione come flash che danno la percezione del rischio di un destino possibile per tutti.
Ida vive nella disillusione che il duce stia semplicemente mettendo alla prova il suo amore, soffre per il forzato allontanamento dal figlio (finito in collegio registrato col cognome della madre e dal quale riuscirà a ricevere un'unica lettera) e da tutte le persone che la potrebbero aiutare, ma non si lascerà mai convincere a cambiare la versione dei fatti.
La resistenza alle innumerevoli forme repressive che il potere riesce ad attuare, obbliga spesso a sperimentare strategie di autodifesa – che potremmo anche chiamare situazioni di forzato adattamento – ma non fino ad essere percepite come una completa perdita dell'autostima, come autodiniego. Ida non può tradire se stessa, non può recitare la parte della donna fascista tutta casa-chiesa, come le suggerisce lo psichiatra "buono" pur nella consapevolezza che il periodo storico consiglierebbe di saper tacere.
Nella seconda parte del film F. Timi interpreta Benito Albino ormai adulto, a riprova della somiglianza col padre. Mussolini duce è visto solo in filmati d'archivio, dai quali si evince una capillare ricerca per il montaggio di Vincere.
Non è un film sul fascismo ma se ne sottolineano alcune cornici sostanziali (ad esempio la spedizione punitiva delle camicie nere che reprimono violentemente una festa da ballo socialista) e alcuni dei passaggi storici più salienti.
Prima fra tutti la stipula dei Patti lateranensi del 11.02.1929, perché se il matrimonio Dalser/Mussolini fosse stato contratto secondo il Concordato probabilmente il destino di Ida sarebbe stato diverso e perché il connubio di potere tra chiesa e stato è presente in tutto il film e caratterizza le modalità di gestione di tutte le istituzioni, non da ultime quelle psichiatriche. I manicomi femminili sono gestiti da donne religiose autorecluse che si fanno artefici dell'oppressione di altre donne, guidandole con morale bigotta al "giusto ruolo della femminilità"; non manca la visione di un gruppo di psichiatrizzati guidati da frati… pochi fotogrammi per un'efficace puntualizzazione.
Ida non cede, Ida accusa chi l'ha derubata e non solo negli affetti, Ida resiste scrivendo lettere che invia arrampicandosi sulle sbarre della sua prigione ma, se il vento non aiuta, queste ricadono sul terreno magari cosparso di neve. Il pensiero va però espresso, a volte gridato… non tutte le parole si scioglieranno al sole: qualcosa deve rimanere!
Ida e Benito Albino moriranno entrambi in manicomio prima della Liberazione e se l'Italia è riemersa dal ventennio e dalle guerre, anche per l'oggi forse non tutto è perduto…
La psichiatria, da quando esiste, svolge il suo ruolo repressivo affiancando poteri politici e religiosi.
Bellocchio non sembra voler dare agganci espliciti all'attualità ma sicuramente offre spunti di riflessione su temi, simboli, linguaggi e prese di posizione che non possono essere confinati al passato; non dando per scontata nemmeno la circostanza e la data della morte del duce, ci comunica di sentire la necessità di dare il suo contributo alla memoria storica.
La società non può essere sorda nella sua interezza; un pensiero può subire lo stravolgimento della propaganda o fatto passare per deviante, ma se espresso potrà volare nel vento e non sarà inutile.

chiara gazzola

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